Latina: polizia lavoro nero e sfruttamento

La Polizia di Stato di Latina, nell’ambito di servizi di contrasto al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed allo sfruttamento del lavoro nell’agro pontino, ha controllato alcune case rurali in località Borgo Le Ferriere abitate da diversi cittadini indiani all’interno delle quali sono stati identificati cinque cittadini di etnia Sikh, in possesso di permesso di soggiorno, che hanno dichiarato di svolgere l’attività di braccianti  agricoli in diverse aziende presenti in quel territorio.

Gli approfondimenti investigativi svolti dalla Squadra Mobile hanno consentito di individuare all’interno di una camera occupata da uno degli stranieri alcune buste contenenti bulbi di papavero essiccati, le stesse inflorescenze da cui viene estratta l’eroina. I narcotest effettuati presso il locale Gabinetto Provinciale di Polizia Scientifica hanno consentito di rilevare la presenza del principio attivo dei derivati dell’oppio.

Gli stranieri utilizzavano il vegetale essiccato per la preparazione di infusi e bevande che assumevano prima e durante i pesanti turni di lavoro nei campi per vincere la fatica ed il senso di spossamento.

Sono stati controllati, inoltre, alcuni caseggiati ubicati in località Pontinia a ridosso di alcune grandi serre per la produzione di ortaggi esotici; all’interno di tre fabbricati sono stati individuati una decina di cittadini indiani in pessime condizioni igienico-sanitarie, quattro dei quali clandestini sul territorio nazionale.

Di Umberto Buzzoni e Renato D’Angelo

Operazione “Boschetari” Polizia di Stato

La Polizia di Stato di Ragusa ha fermato cinque cittadini rumeni per reati connessi al fenomeno del “caporalato“, associazione a delinquere, traffico di esseri umani e sfruttamento pluriaggravato della prostituzione, anche minorile.
Il provvedimento è stato emesso a seguito delle indagini svolte dagli uomini della Squadra Mobile di Ragusa a seguito delle dichiarazioni rese da un cittadino romeno che, prostrato da una situazione di grave sfruttamento lavorativo, si era recato presso la Questura di Ragusa, offrendo un agghiacciante narrato sulle modalità del suo trasferimento in Italia e sull´attività lavorativa in cui era impegnato.
Da tali dichiarazioni partiva l´indagine con cui veniva accertata l´esistenza di una associazione criminale finalizzata al traffico di esseri umani a fini dello sfruttamento lavorativo.
Le vittime venivano attirate con l´inganno e la falsa promessa di un´occupazione lavorativa, di una sistemazione abitativa dignitosa e, poi, invece, venivano private di ogni facoltà di negoziare condizioni di lavoro e di vita.
All´arrivo in Italia tutte le vittime venivano costrette ad abitare in immobili privi di riscaldamento, a vestirsi con indumenti prelevati dai rifiuti, a cibarsi di alimenti scaduti o di pessima qualità ed erano condotte nei vari terreni dai sodali e lì controllate al fine di mantenerne alta la produttività, usando a tale scopo una violenza inaudita.
L´attività permetteva di identificare numerose vittime del traffico di esseri umani gestito dagli indagati.
Tutte le vittime presenti sul territorio sono ora presso un´associazione anti-tratta specializzata nell´ambito della tratta di persone a scopo di sfruttamento lavorativo.

Di Umberto Buzzoni e Renato D’Angelo
Foto Polizia di Stato

OPERAZIONE DELLA POLIZIA DI STATO CONTRO I FIANCHEGGIATORI DEL LATITANTE MATTEO MESSINA DENARO

CASTELVETRANO: 17 PERSONE INDAGATE E SOTTOPOSTE A PERQUISIZIONE SU ORDINE DELLA DIREZIONE DISTRETTUALE ANTIMAFIA DI PALERMO.
La Polizia di Stato di Trapani sta eseguendo dalle prime luci dell’alba una  serie di perquisizioni a Castelvetrano, Mazara del Vallo, Partanna, Santa Ninfa, Salaparuta e Campobello di Mazara, finalizzate a colpire la rete di fiancheggiatori del latitante Matteo Messina Denaro e a raccogliere ulteriori elementi utili alla sua cattura.
Sono 17 gli indagati dell’operazione condotta dalla Polizia di Stato e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo.
Si tratta di soggetti che, nel corso degli anni, sono stati arrestati per associazione mafiosa e che hanno avuto collegamenti e frequentazioni con appartenenti a “Cosa nostra”. Fra loro vi sono anche alcuni soggetti che, storicamente, sono stati in stretti rapporti con il latitante Matteo Messina Denaro. Ora la Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, su segnalazione della Polizia di Stato, li ha sottoposti a una nuova indagine perché sospettati di agevolare la latitanza del capomafia della provincia di Trapani.
150 uomini del Servizio Centrale Operativo, delle Squadre Mobili di Palermo e di Trapani e del Reparto Prevenzione Crimine di Palermo hanno perquisito edifici, abitazioni, attività commerciali e imprenditoriali di persone legate al boss latitante.
Gli investigatori della Polizia stanno utilizzando anche attrezzature speciali per verificare l’esistenza di cavità o nascondigli all’interno degli edifici.
L´attività investigativa di oggi dà un altro duro colpo alle famiglie mafiose del trapanese, dopo i 21 arresti di boss e gregari di Cosa nostra finiti in cella ad aprile, su ordine della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, nel corso dell´operazione “Anno Zero” contro i clan di Castelvetrano, Partanna e Mazara del Vallo.
Lo scorso mese di dicembre altri trenta mafiosi erano stati iscritti nel registro degli indagati dalla D.D.A. di Palermo quali fiancheggiatori della latitanza del boss Matteo Messina Denaro ed erano stati sottoposti a perquisizione dagli investigatori della Polizia di Stato di Palermo e di Trapani.

di Umberto Buzzoni e Renato D’Angelo
foto Polizia di Stato

Bologna: indagine in 3D incastra assassino 20 anni dopo

Oggi, grazie alla ricostruzione delle scene del crimine in 3D, è stato risolto un nuovo cold case: dopo 20 anni è stato arrestato l’uomo che a Bologna ha ucciso il giovane buttafuori, Valeriano Poli.

Il risultato investigativo è stato raggiunto dopo oltre due anni di accertamenti, grazie ad un’innovativa tecnica di comparazione tridimensionale, utilizzata per la prima volta in Italia in ambito forense, denominata Analysis of Virtual Evidence (c.d. teatro virtuale).

A sfruttare questa nuova tecnologia, che ha consentito di raccogliere un quadro indiziario grave, preciso e concordante a carico dell´indagato, è stata la Squadra mobile di Bologna, con la determinante collaborazione dell’Udi (Unità Delitti Insoluti) della Direzione centrale anticrimine.

I fatti

L’omicidio di Valeriano Poli avveniva in strada la sera del 5 dicembre 1999, vicino alla sua residenza.

Il sopralluogo stabiliva che l’assassino, armato di una pistola cal.7,65 e da una distanza non superiore ai sei metri, aveva colpito la vittima con cinque colpi, di cui uno mortale alla testa.

Le indagini, della Squadra mobile di Bologna, sviluppate in un ambiente omertoso, portavano comunque i poliziotti a stabilire, come movente, un atto di rivalsa dell’assassino nei confronti dell’addetto alla sicurezza, per una lite avvenuta a maggio 1999, davanti ad una nota discoteca della città.

Da maggio a dicembre ’99 l’arrestato aveva spesso intimorito Poli con spilloni funebri (c.d. “Stecche per Corone”), bossoli e proiettili fatti ritrovare sull’auto della vittima, e con lettere minatorie.

Il nuovo ed oggettivo elemento di prova, che ha portato all’arresto di oggi, è stato l’individuazione, sugli scarponcini indossati dalla vittima al momento dell’omicidio, di tracce di sangue dell’indagato.

Come è stato possibile? L’unico elemento in grado di contestualizzare questo fatto è un video, in cui si vede la vittima, pochi giorni prima dell’omicidio, portare le stesse scarpe del giorno della morte.

Gli specialisti della scientifica attraverso l’analysis of virtual evidence, come si vede anche dal nostro video, è riuscita, con una scansione laser sulla scarpa, a trasformarla in una “virtual evidence” cioè una fonte di prova digitale.

Gli accertamenti svolti con una perfetta sovrapposizione della virtual evidence del reperto, sulle immagini registrate, ha consentito ai tecnici di determinare in via definitiva che sulle scarpe riprese nel video non erano presenti le macchie di sangue. Questo permetteva di stabilire che quelle tracce ematiche erano finite sullo scarponcino il giorno dell’omicidio a seguito di un contatto violento tra i due.

fonte foto e video polizia di stato

BRESCIA: OPERAZIONE “PARCHI PULITI”

La Polizia di Stato di Brescia ha arrestato 10 stranieri, ritenuti responsabili di spaccio di sostanze stupefacenti in un parco cittadino.
Le indagini dei poliziotti della squadra mobile e del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, sono state avviate lo scorso febbraio e sono state supportate dalla Direzione Centrale per Servizi Antidroga con la collaborazione dell´Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico della Questura.
Le indagini, dirette dalla Procura della Repubblica di Brescia, sono state sviluppate con l´impiego di operatori sotto copertura del Servizio Centrale Operativo per l´acquisto di droga.
Sono stati utilizzati i cd. “undercover”, per l´acquisto di droga, tecnica investigativa che consente di “acquistare” lo stupefacente e di ritardare l´arresto degli spacciatori.
L´attività ha permesso di ottenere elementi probatori nei confronti di 10 persone: dopo l´esecuzione il GIP del Tribunale di Brescia ha convalidato gli arresti, disponendo la custodia in carcere per 4 persone e il divieto di dimora per 6.
L´attività investigativa si è sviluppata nei confronti di un gruppo di spacciatori stranieri, alcuni richiedenti asilo, che hanno presidiato stabilmente e a turno le aree del parco di via Sardegna, in prossimità dell´Oratorio Santa Maria da Silva e della Scuola Media Bettinsoli, luoghi notoriamente frequentati da giovani.
L’attività investigativa ha permesso di rilevare come gli indagati abbiano realizzato numerosi episodi di spaccio in pieno giorno senza che la presenza di estranei o di condizioni di tempo sfavorevoli influenzasse in negativo l´attività illecita, evidenziando una certa pervicacia e sfrontatezza da parte degli spacciatori, disinvolti nella reiterata consumazione del reato.
Lo stupefacente è stato sovente occultato all´interno di buche ricavate nel parco, in cespugli o muretti di recinzione; i quantitativi minori sono stati invece a volte nascosti dagli spacciatori sulla loro persona negli indumenti.

Di Umberto Buzzoni e Renato D’Angelo
Foto Polizia di Stato

Polizia di Stato di Modena indaga una Guardia Particolare Giurata Ruba merchandising “Maserati” 

La Polizia di Stato di Modena ha dato esecuzione al decreto di perquisizione presso il domicilio, nell´ambito di un procedimento penale, a carico di un italiano 46enne, denunciato in stato di libertà per il reato di furto aggravato.
L´uomo, in qualità di Guardia Particolare Giurata, in servizio presso una ditta di logistica del modenese, si è reso autore di una serie di furti in orario notturno ai danni della stessa azienda.
Le indagini sono state avviate a seguito di denuncia sporta dai titolari dell´azienda, accortisi di svariati ammanchi di merce depositata per lo smistamento e del fatto che il sistema d´allarme veniva spesso inserito in ritardo rispetto all´orario previsto.
Grazie anche alle immagini del sistema di videosorveglianza interno, che si attiva nell´orario di chiusura del magazzino, gli agenti sono risaliti all´autore dei furti, il quale prelevava il materiale dagli scatoloni, sostituendolo a volte con altri oggetti di peso equivalente, per poi richiuderli con nastro adesivo al fine di ripristinare la confezione originale.
La perquisizione ha dato esito positivo, in quanto presso il domicilio della Guardia Giurata e precisamente all´interno di un armadio, sono stati rinvenuti oltre 380 capi di abbigliamento griffati “Maserati” per un valore complessivo di circa 80mila euro. Tutta la refurtiva è stata restituita al legittimo proprietario.

di Umberto Buzzoni e Renato D’Angelo
Foto Polizia di Stato

OPERAZIONE NERONE POLIZIA DI STATO

La Polizia di Stato di Stato di Reggio Calabria ha arrestato un elemento di vertice della `ndrangheta reggina per plurimo tentato omicidio.
L´indagine, condotta dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria, ha consentito di individuare nel boss l´autore materiale di un incendio appiccato, a fine febbraio, ad un´abitazione nella zona sud di Reggio Calabria, allo scopo di cagionare la morte di sei cittadini stranieri di origine rumena, di cui due bambini in tenerissima età.  I fatti risalgono al 27 febbraio scorso, quando fu data alle fiamme l´abitazione di fortuna in cui aveva trovato riparo una 46enne rumena senza fissa dimora, che ospitava quel giorno altri connazionali con bambini.
Gli occupanti della casa stavano festeggiando un compleanno quando improvvisamente si accorsero delle fiamme che divamparono all´interno, facendo appena in tempo a mettersi in salvo.
I Vigili del Fuoco e la Polizia di Stato, accorsero prontamente sul luogo per domare l´incendio, appena fu dato l´allarme.
Il soggetto è un elemento di elevato spessore criminale appartenente all´omonima cosca di `ndrangheta operante nella zona sud della città di Reggio Calabria.
I poliziotti hanno ricostruito le dinamiche dell´incendio che il 27 febbraio scorso ha messo a repentaglio la vita dei sei rumeni, tra cui donne e bambini.
Gli investigatori della Squadra Mobile hanno accertato che il 68enne durante un litigio, quella stessa mattina aveva picchiato con un bastone la donna rumena che occupava l´immobile con i suoi ospiti, con la minaccia di “bruciarli vivi” per aver abbandonato alcuni sacchetti di spazzatura accanto all´ingresso di un podere di sua proprietà. Il soggetto poi era passato dalle minacce ai fatti, cospargendo di benzina e dando fuoco all´androne dell´abitazione in cui erano presenti gli stranieri.
Decisivi per far luce sull´episodio dei sei rumeni che hanno rischiato di morire arsi in casa, si sono rivelati i filmati dei sistemi di video sorveglianza esaminati dagli investigatori della Polizia di Stato. L´accurata analisi delle immagini, ha consentito di accertare che, nello stesso pomeriggio, il 68enne, era andato a riempire un bidone di benzina, con una bicicletta elettrica, presso un distributore di carburanti della zona, dopodiché si era recato a casa dei rumeni per appiccare l´incendio al fine di “bruciarli vivi”. La Direzione Distrettuale Antimafia contesta l´aggravante mafiosa perché i fatti sono stati commessi per agevolare l´attività della cosca LABATE, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva. Il clan LABATE controlla il quartiere Gebbione di Reggio Calabria.

Di Umberto Buzzoni e Renato D’Angelo
Foto Polizia di Stato

Reggio Calabria. Scoperto dalla Polizia di Stato un bunker della `ndrangheta.

Un bunker di oltre 20 metri quadrati realizzato in muratura nel sottosuolo delle campagne di Rosarno, in contrada Bosco, ad una profondità di circa due metri, è stato scoperto, nella giornata di ieri, dagli investigatori della Squadra Mobile di Reggio Calabria impegnati nella ricerca di latitanti. Al bunker si accede da una botola in cemento che si apre a scomparsa scorrendo su appositi binari a circa mezzo metro al di sotto dalla superficie. Dalla botola, attraverso un pozzo verticale, si entra in un cunicolo-corridoio lungo circa nove metri che conduce alla stanza bunker munita di illuminazione elettrica, letti, cucina e bagno. La struttura, completamente interrata e mimetizzata da una superficie uniforme con lo stato naturale dei luoghi circostanti, era sorvegliata da alcune microtelecamere esterne nascoste nelle vicinanze. Gli investigatori della sezione criminalità organizzata e catturandi della Squadra Mobile di Reggio Calabria ritengono che il bunker sia stato utilizzato dai latitanti delle cosche della `ndrangheta di Rosarno. I tecnici del Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica di Reggio Calabria hanno effettuato accurati accertamenti alla ricerca di tracce utili alle indagini. Al bunker, che è stato sequestrato dalla Squadra Mobile, sono stati apposti i sigilli. Della scoperta del bunker è  stata informata la Direzione Distrettuale di Reggio Calabria che coordina le inchieste di criminalità organizzata e della cattura dei latitanti e la Procura della Repubblica di Palmi competente per territorio.

di Umberto Buzzoni e Renato D’Angelo

Foto Polizia di Stato

BOLOGA, Shopping in Galleria Cavour con carte di credito rubate

La Polizia Postale di Bologna ha arrestato in flagranza presso il negozio di una nota griffe della Galleria Cavour un pregiudicato di 45 anni mentre tentava di acquistare dei beni di lusso per migliaia di euro con carte di credito rubate. Le indagini dei poliziotti del Compartimento Polizia Postale hanno accertato che nella stessa mattinata tre diversi portalettere, nella zona del centro storico, erano stati derubati, durante il giro di recapito, di varie assicurate contenenti le carte di credito inviate ai titolari per il rinnovo. I furti, che si ripetevano con continuità dal novembre 2017, hanno colpito numerosi portalettere che venivano seguiti durante il recapito e ai quali veniva forzato poi il bauletto del mezzo, dove era custodita la preziosa corrispondenza. Le indagini accertavano altresì la predilezione del gruppo criminale per i negozi della famosa Galleria Cavour; infatti il 22 gennaio scorso erano stati fatti acquisti presso il negozio di altra nota griffe per migliaia di euro con carte rubate. Questa volta, però, i criminali hanno dovuto interrompere gli acquisti per l’intervento della Polizia che monitorava le transazioni delle carte rubate. Anche in questo caso era stato preferito “il salotto dello shopping bolognese” in Galleria Cavour; in un negozio erano stati tentati acquisti per 1400 euro e nel negozio di una nota griffe erano stati definitivamente bloccati. Le indagini, condotte con la collaborazione di Poste Italiane S.p.a e delle società emittenti delle carte di credito, hanno permesso di individuare i responsabili dei furti e degli indebiti utilizzi delle stesse.

di Umberto Buzzoni e Renato D’Angelo

Foto Polizia di Stato

NAPOLI. OPERAZIONE POLIZIA DI STATO E CARABINIERI

Alle prime ore del giorno, personale dei Carabinieri e della Polizia di Stato ha dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 40 soggetti, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini della cessione di sostanza stupefacente, detenzione e porto illegale di arma comune da sparo, ricettazione, con l´aggravante prevista dall´art.7 L.203/91.
Le indagini, corroborate dalle attività tecniche e dal contributo dichiarativo dei collaboratori di giustizia, hanno documentato le responsabilità, in seno al clan Lo Russo, denominato “dei capitoni”, degli affiliati dediti in prevalenza al traffico di sostanze stupefacenti, individuando i responsabili dell´intera filiera, dai narcotrafficanti, che hanno operato nell´interesse del clan sfruttando alcuni canali di fornitura esteri, agli spacciatori che si sono occupati della distribuzione al minuto della sostanza.
Il provvedimento si fonda sugli esiti delle attività investigative frutto di un lavoro di sinergia, svolto di concerto dalla Compagnia CC  Napoli Vomero  e dalla Squadra Mobile.
Le indagini svolte dalla Squadra Mobile hanno consentito di individuare i narcotrafficanti che, oltre a rifornire le piazze di spaccio gestite dal clan Lo Russo, pagavano al medesimo clan una tangente mensile di 10.000 euro per poter vendere, in nome e per conto proprio, la sostanza stupefacente anche alle altre organizzazioni criminali.
Sono stati, altresì, raccolti elementi di prova a carico di personaggi ancora in libertà che vantano una lunga militanza nel clan Lo Russo.
Il materiale probatorio raccolto è stato confermato dal decisivo apporto dichiarativo dei collaboratori di giustizia un tempo ai vertici del clan Lo Russo (Mario Lo Russo, Carlo Lo Russo, Antonio Lo Russo e il suo braccio destro Claudio Esposito) e di altri recenti collaboratori di giustizia (Ferrara Ciro e De Simini Antonio) ben inseriti nel tessuto criminale dei quartieri in cui opera il clan Lo Russo.
Tra gli arrestati spiccano le figure di Damiano Pecorelli e Miraglia Salvatore Angelo, legato da vincoli di parentela alla famiglia Lo Russo, definiti dai collaboratori di giustizia, trafficanti di elevato spessore con importanti contatti con il Sud America e di Bosti Ettore, nipote di Bosti Patrizio (figura apicale del clan Contini) che in alcune occasioni ha rifornito Carlo Lo Russo di grossi quantitativi di sostanza stupefacente poi ceduta alle numerose piazze di spaccio, gestite direttamente dal clan.
Durante le indagini dei Carabinieri della Compagnia Vomero è stata accertata la partecipazione degli indagati alle attività dell´associazione camorristica, in particolare allo spaccio di droga e ad azioni di fuoco per il controllo o il predominio sul territorio, la custodia e la cura delle armi del clan.
Individuate responsabilità e ruoli degli indagati nella gestione di svariate “piazze” per la cessione di cocaina, eroina, marijuana ed hashish.
Rinvenuto e sequestrato un vero e proprio arsenale pronto all´uso che era stato messo a disposizione degli affiliati nascondendolo, ma a portata di mano, nel vano ascensore di uno degli edifici di via Janfolla, nel cuore del rione di origine del clan.
In un borsone, durante un intervento  ad alto impatto con perquisizioni per blocchi di edifici, furono rinvenute armi oliate ed efficienti e circa 1000 munizioni, un deposito di armi in piena regola pronto ad armare un commando per azioni di fuoco degne di scenari di guerra composto da un kalashnikov, un fucile a pompa, 3 fucili a canne mozze e un sovrapposto, una calibro 45 e una colt mk4, 2 revolver calibro 38 e due pistole semiautomatiche.

di Umberto Buzzoni e Renato D’Angelo

Foto Polizia di Stato