ECOMAFIA GLOBALIZZATA

di Grazia De Marco

Le organizzazioni mafiose non sono tali solo quando si manifestano attraverso reati palesi e sanguinari, le loro attività, infatti, spesso sono silenziose e penetrano le strutture dell’economia, della politica e del tessuto sociale. Tutte le mafie si adeguano al mercato, per inserirsi in attività illegali che consentono di investire ingenti somme di denaro per ricavarne profitti altrettanto enormi. Tra queste, sicuramente al primo posto vi sono le ecomafie, che riguardano il traffico illecito di rifiuti, la cementificazione abusiva, nonché gli attacchi al patrimonio culturale e alla fauna.

Lo scorso 4 Luglio è stato presentato il rapporto “Ecomafia 2012”, l’indagine annuale di Legambiente sull’illegalità ambientale, che ha fotografato una situazione impressionante, con un business illecito dalle cifre scioccanti, spesso contrastato con impegno e perizia dalle forze dell’ordine, le quali, solo nel 2011, hanno effettuato 8.765 sequestri, con 305 arresti (100 in più, rispetto all’anno precedente) e 27.969 persone denunciate. Nonostante questo grande lavoro, però, i traffici illeciti gestiti dagli ecomafiosi nel 2011 hanno fruttato ancora troppo, ben 16,6 miliardi di euro, anche a causa dell’accresciuta aggressività dei clan e dell’eccessiva disinvoltura con la quale il denaro illegale si muove nei circuiti della finanza internazionale.

Nel rapporto si precisa inoltre che i clan che gestiscono questi traffici sono 296, sparsi in tutte le regioni d’Italia, anche se la maggior parte dei reati registrati (il 47,7%) riguarda ancora una volta le 4 regioni a tradizionale presenza mafiosa, con in testa la Campania, seguita dalla Calabria, dalla Sicilia e dalla Puglia, ma nell’elenco sono anche compresi il Lazio ed  alcuni comuni del nord Italia sciolti per mafia, come Bordighera, Ventimiglia, Rivarolo e Leini.

Tra i vari settori illegali, quello più pericoloso e difficile da contrastare è certamente il traffico illecito di rifiuti internazionali. In Italia è comunque possibile investigare questo fenomeno grazie all’introduzione, nel 2001, del delitto di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti (ex art. 53 bis del decreto Ronchi, ora art. 260 del D.Lgs 152/2006), che è anche l’unico delitto ambientale esistente nel nostro Paese. Il fenomeno del traffico internazionale di rifiuti comincia ad affacciarsi all’inizio degli anni ’80, grazie all’adozione di normative più rigide sullo smaltimento, che alcuni Governi europei hanno adottato per rendere sempre più difficile e onerosa l’eliminazione di scarti industriali e di oggetti dismessi.

I movimenti transfrontalieri di rifiuti sono regolati dalla “Convenzione di Ginevra”, entrata in vigore nel 1992 e ratificata, a oggi, da 138 Governi. La “Convenzione” ha l’obiettivo di vietare l’esportazione di scorie verso i Paesi in via di sviluppo, prevedendo anche un sistema di accordi bilaterali per disciplinarne i movimenti e consentendo le spedizioni in questi Paesi solo di alcune tipologie di rifiuti, destinati al recupero e mai al mero smaltimento.

Con l’entrata in vigore della normativa, tuttavia, una parte dei traffici è stata dirottata nel circuito illegale, finendo per cambiare forma. Per cercare di aggirare la “Convenzione” e le sue regole, infatti, i trafficanti hanno incominciato a far ricorso a triangolazioni tra vari Paesi, adottando la tecnica del “giro-bolla”, ossia la falsificazione dei documenti di accompagnamento dei carichi. Grazie a questa tecnica, container carichi fino all’orlo di veri e propri rifiuti, spacciati alla frontiera  per materie prime secondarie o scarti di lavorazione, hanno la possibilità di passare da un intermediario all’altro o da un Paese all’altro.

In Italia i percorsi criminali transfrontalieri hanno inizio dalle grandi piattaforme logistiche, che rastrellano ogni genere di scarto, per poi destinarli all’estero. La direttrice storica dello smaltimento collegava in passato il Nord al Sud (ovvero i Paesi più ricchi a quelli più poveri), mentre la nuova destinazione sembra unire l’Ovest all’Est (ossia i Paesi più ricchi a quelli che lo vogliono diventare). Il tragitto tra Italia-Germania-Olanda-Hong Kong-Cina, ad esempio, è considerato un classico dei traffici illegali, regolati da cinque, sei, sette passaggi per ogni carico.

Più in generale, tuttavia, le tipologie di aree particolarmente considerate sono quelle caratterizzate da confini scarsamente controllati, da processi di disgregazione governativa o da conflitti interni. Per cercare di capire meglio quali siano le direttrici transnazionali più appetibili bisognerebbe anche conoscere tutti i mutamenti in corso nelle principali economie in espansione e in particolare la strutturazione della domanda, poiché non bisogna comunque dimenticare che quello della gestione illecita dei rifiuti è un vero e proprio mercato e quindi risente della fluttuazione dei circuiti economici.

Per quanto riguarda la tipologia, invece, una di quelle più appetibili, sempre secondo Legambiente, soprattutto per le organizzazioni criminali italo-cinesi, è quello dei materiali plastici, in particolare quelli a base di polictilene impregnati di fitofarmaci, pesticidi e fertilizzanti chimici, utilizzati per coprire le serre. Questi materiali dovrebbero essere smaltiti in impianti speciali, prima di essere destinati al riciclo, mentre, nei percorsi criminali, container carichi di questi rifiuti arrivano direttamente in aziende clandestine dove, mischiati ad altri materiali plastici, diventano nuova materia prima, poi spedita in giro per il mondo.

Tra i rifiuti sequestrati figurano molto spesso anche apparecchiature elettriche ed elettroniche come i Raee, che invadono soprattutto Paesi come l’India, vari Stati Africani, tra cui il Ghana e la Cina, dove finiscono nella più grossa discarica hi-waste del Guadong, nel sud del Paese orientale. Un’altra tipologia di rifiuti molto apprezzata dai trafficanti che operano sul mercato asiatico sembrano essere sia i pneumatici fuori uso, che vengono frantumati per poi essere utilizzati come combustibile per cementifici e termovalorizzatori, che altri materiali come l’acciaio, il ferro e la carta.

Per traffici e affari così imponenti, tuttavia, la criminalità organizzata, non potendo gestire e coordinare tutto da sola, si avvale di una vera e propria rete di rapporti con funzionari pubblici, produttori di rifiuti, addetti ai trasporti, gestori di stoccaggi, cosiddetti “colletti bianchi” (soggetti dalla fedina penale pulita che occupano posti chiave nelle pubbliche amministrazioni) e, in ultimo, con il commissario straordinario.

Una delle parti sicuramente più interessanti di “Ecomafia 2012” riguarda infine le proposte di Legambiente per cercare in qualche modo di arginare il fenomeno e cioè:

–           rafforzare da un lato e semplificare dall’altro il quadro sanzionatorio in materia di tutela penale dell’ambiente attualmente in vigore;

–           rendere pienamente operativa la nuova classificazione del delitto dia attività organizzata di traffico illecito di rifiuti, prevedendo l’utilizzo di intercettazioni telefoniche e ambientali, in presenza di sufficienti indizi di reato e prolungando fino a un anno i termini per le indagini preliminari;

–           prevedere una serie di modifiche normative finalizzate a rendere più efficaci le procedure di sequestro di rifiuti presso aree portuali e aeroportuali;

–           sollecitare l’estensione del delitto di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti in tutti i Paesi dell’Unione Europea;

–           inserire stabilmente e rafforzare il contrasto dei traffici illegali di rifiuti nelle attività di organismi investigativi e di controllo europei e internazionali (Europol, Interpol, Organizzazione mondiale delle dogane).

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