Scala, scontri alla prima: carabinieri e manifestanti feriti. Ma il Fidelio ha convinto tutti

di Repubblica

Milano blindata, ma lo schieramento di uomini non ha fermato la protesta: cariche e lanci di uova, sassi e bengala. Sequestrata una molotov. Franceschini: “Le proteste sono un danno economico”

Volevano la piazza, nel giorno della prima (applauditissima) del Fidelio alla Scala, e se ne sono presi un pezzo. Volevano i riflettori, i taccuini e le telecamere, un obiettivo cui urlare rabbia e un obiettivo contro cui scaricare quello che si erano portati dietro. Uova, pomodori, zucchine, pietre, molti fumogeni e anche molto colorati. La molotov no, non sono riusciti a fabbricarla per tempo: una bottiglia di birra, piena di liquido infiammabile e con lo stoppino già inserito, finisce a terra prima di essere lanciata e nelle mani dei funzionari della Digos. Ma il resto c’è stato tutto, nel cuore di una Milano che non ha avuto fra i suoi spettatori né il presidente Giorgio Napolitano né il premier Matteo Renzi.

Gli scontri nel cuore della città. Le cariche in via Santa Margherita e sotto Palazzo Marino, le trattative per liberare la piazza e il corteo attraverso la Galleria con giro sotto il Duomo prima di sfilare via nel metrò, non senza aver lasciato un segno sulle telecamere. «Manifestazioni di protesta violenta inaccettabili — dirà il prefetto Francesco Paolo TroncaLa legalità non è negoziabile». Era il Sant’Ambrogio della protesta, e così è stato, nonostante i 750 uomini — tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e vigili del fuoco, a presidiare la Scala, dietro e davanti alle transenne. Tre contusi fra i manifestanti, due tra i carabinieri, nessun arresto. Ma le cifre finali, stavolta, raccontano pochissimo. “Diamo sempre il peggio di noi al mondo”, ha commentato il presidente della Lombardia, Roberto Maroni, ex ministro dell’Interno. “La prima della Scala è uno spettacolo unico e riusciamo a rovinare anche questo”. E la conseguenza può essere “un danno di immagine e anche economico” secondo il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, perché “centinaia di migliaia di persone stanno decidendo se venire durante Expo e agli appuntamenti della Scala di mesi”.

Dodici minuti di applausi. Tensione alle stelle fuori dal teatro, dodici minuti di applausi intensi, grida di ‘bravi!’ e salve di fiori sugli interpreti: un successo pieno per il Fidelio di Beethoven riletto dalla regista Deborah Warner. Ma anche il saluto commosso al direttore musicale uscente Daniel Barenboim, a cui al termine del primo atto hanno gridato “grandissimo il maestro” e all’inizio del secondo un “evviva!” suscitando la sua risposta autoironica, “speriamo!”, che ha fatto ridere il pubblico. Approvazione piena per tutti quindi: anche per la compagnia di canto basata sulla voce di Anja Kampe nel ruolo di Leonora/ Fidelio; Klaus Florian Vogt (il marito imprigionato, Florestan); Kwangchul Youn (il capocarceriere Rocco), Mojca Erdmann (sua figlia Marzelline) e Florian Hoffmann (spasimante non ricambiato, Jaquino); Falk Struckmann (Don Pizzarro, governatore della prigione); Peter Mattei (il ministro Don Fernando).

La standing ovation per Barenboim. Beethoven si era ispirato a un alto contenuto morale, alla fede nei valori positivi. A vantaggio di questi ultimi, Warner non trascura gli altri contrasti emergenti: prigione e libertà, ingiustizia e giustizia, sofferenza e felicità. Soprattutto, buio e luce. Che con il lavoro creativo di Jean Kalman danno un’impronta decisiva allo spettacolo. Nella sua rivisitazione la prigione, in un dramma dai contenuti universali, diventa una vecchia struttura industriale abbandonata, che fa da scena fissa allo spettacolo. Alte pareti, cemento a vista, bidoni, vecchi macchinari impolverati. Qui Rocco e la figlia Marzelline (calze scure, minigonna e felpa rosa) vivono anche la loro vita domestica, fra tavolini e scartoffie, lenzuola stese ad asciugare, l’asse da stiro usato dalla ragazza; in un angolo, un secchio e il mocio per pulire a terra. E’ qui che lavora anche Fidelio, suscitando l’amore di Marzelline (e un bacio rubato) e la gelosia di Jaquino: straordinario il quartetto a cui i personaggi danno vita. Il sipario si chiude, il pubblico applaude, standing ovation per Barenboim e l’orchestra.

In platea Lagarde e Grasso. Tornando alle proteste, il sindaco Giuliano Pisapia ha spiegato che sono legittime fino a che non diventano violente e ha pregato i giornalisti di evitare allarmismi in una “situazione delicata”. Il presidente Napolitano gli aveva scritto per spiegare che sono stati motivi “generali e personali” a tenerlo lontano dalla Scala. La speranza di Pisapia è di poterlo ospitare per la prima dell’anno prossimo che sarà con Giovanna d’Arco di Verdi. “Tutti sappiamo quello che sta soffrendo il presidente Napolitano – ha aggiunto – ma è importante che continui nel suo impegno per il nostro Paese”. Nel palco reale c’era però la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato, Pietro Grasso, oltre a Franceschini (fra i rappresentanti del governo anche il sottosegretario Ivan Scalfarotto). Ma la persona forse più potente in sala era la direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde (probabilmente anche la più elegante), invitata in platea dal presidente della Bocconi ed ex premier Mario Monti.

Pereira:”La Scala come la Ferrari”. “Le proteste ci sono sempre state” ha ricordato il sovrintendente Alexander Pereira, spiegando che i soldi guadagnati con la prima (biglietti in platea a 2mila 400 euro) serviranno per progetti importanti come il finanziamento dell’accademia o gli eventi per i bambini e per i giovani. E comunque dopo la Ferrari “la Scala è il brand italiano più conosciuto al mondo e va sostenuta” anche in Europa.

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