Contro la mafia tolleranza zero e cultura cento

da Ministero dell’Interno

E’ la ricetta per sconfiggere la criminalità organizzata indicata dal ministro dell’Interno nel suo intervento all’VIII rassegna culturale ‘Politicamente scorretto’ a Casalecchio di Reno, nel bolognese. Nelle ultime manifestazioni di piazza a Roma, Cancellieri: «Una vittoria della democrazia»

«Una vittoria della democrazia, è stata una bella giornata». Così il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, ha definito ieri, nel corso dell’VIII edizione della rassegna  ‘Politicamente scorretto’, a Casalecchio di Reno (BO), le manifestazioni pacifiche degli studenti in piazza sabato scorso a Roma. «C’è stato – ha detto – da entrambe le parti un grande impegno» e , riferendosi alla gestione dell’ordine pubblico, ha spiegato che «il momento è delicato perché è dettato dalla situazione sociale», aggiungendo che si fa molto affidamento sulle «prove di maturità» date ieri dalla piazza.

Entrando nel vivo del dibattito che ha animato l’ultima giornata dell’iniziativa culturale, promossa dall’assessorato alla cultura del comune bolognese in collaborazione con lo scrittore Carlo Lucarelli, Cancellieri ha indicato nel binomio «tolleranza zero e cultura cento» la ricetta per sconfiggere la mafia. «La lotta alla criminalità organizzata – ha proseguito – deve essere la prima delle nostre battaglie, il nostro è un Paese sano e se riesce a liberarsi di questa piovra che rende difficile la vita degli imprenditori è destinata a diventare un Paese grandissimo».

Tracciando l’identikit dei nuovi professionisti del crimine, il ministro ha ricordato che si tratta di «giovani in giacca e cravatta che hanno studiato all’estero». Un nemico, quindi, con capacità culturali ed imprenditoriali ormai tali da richiedere una risposta altrettanto qualificata da parte degli operatori di giustizia.

Quanto alle infiltrazioni, tuttavia, «il problema resta pesante», ha precisato la titolare del Viminale, ricordando sono già 24 i comuni sciolti per mafia durante la propria gestione, contro i 26 degli ultimi tre anni.

Parlando, poi, con i giornalisti dell’arresto da parte della Guardia di finanza di 15 affiliati alla ‘Ndrangheta sabato scorso a Milano, Cancellieri ha spiegato che si tratta di un’operazione «significativa, che fa tremare i polsi». «Che la mafia soprattutto la ‘Ndrangheta, avesse esteso la sua presenza nel Nord, in Lombardia, Liguria, Piemonte – ha aggiunto –  era già stato dimostrato da molte inchieste». «Questa – ha concluso – è un’ulteriore prova che bisogna tenere alta la guardia».

Giornata antiracket per Manganelli a Napoli

da Polizia di Stato

” Se si denuncia non si resta soli..” questo il capo della Polizia Antonio Manganelli ha dichiarato, ai giornalisti, a conclusione di un incontro con le associazioni antiracket della Campania svolto, questa mattina, presso la chiesa della Piazzetta Pietrasanta a Napoli; Manganelli ha tenuto a precisare che questa frase non è uno slogan, ma un’espressione intorno alla quale la Polizia ha costruito il suo rapporto di vicinanza con chi ha il coraggio di denunciare.

Alla fine dell’evento sono state consegnate 6 targhe, di cui una al questore di Napoli Luigi Merolla e le altre a poliziotti, appartenenti alla Squadra mobile, alle scorte e ai commissariati di “frontiera” che si son distinti per la loro professionalità.

Nel corso dell’incontro, promosso dalla Fai (Federazione delle Associazioni antiracket e antiusura Italiane), è stata presentata la campagna “Cento strade. Natale Antiracket”. L’iniziativa è stata presentata da Tano Grasso e Silvana Fucito, rispettivamente presidente e coordinatrice regionale e fa parte di un programma di manifestazioni antiracket che si svolgeranno a Napoli e in provincia fino al prossimo 20 dicembre.

Arrestato Antonio Zagaria, fratello del boss Michele

da Polizia di Stato

Erano specializzati nell’estorcere denaro agli imprenditori che  entravano nella loro rete e non ne uscivano più.

La Squadra mobile Caserta, con l’ausilio degli uomini del Reparto prevenzione crimine ha arrestato Antonio Zagaria, ritenuto dagli investigatori  l’erede al trono del clan lasciato dal fratello, il boss Michele, elemento di primo livello dei Casalesi, arrestato il 7 dicembre dello scorso anno  dopo una latitanza di oltre 16 anni. Insieme a lui è finito in carcere anche suo cugino Filippo Capalbo.

Entrambi sono tutti accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso per aver agito al fine di agevolare l’organizzazione di stampo mafioso del  clan dei Casalesi, gruppo Zagaria.

L’indagine, denominata “Thunderball 2”, ha permesso di fare luce su due episodi estorsivi di cui era stato vittima un imprenditore casertano, posti  in essere dai due criminali arrestati.

La vittima aveva preso dei soldi in prestito dalla famiglia e, avendo avuto difficoltà nel pagare le somme pretese a titolo di interessi  usurari, la obbligarono, sotto minaccia di morte, a estinguere il debito anche sottoscrivendo cambiali per oltre 150 milioni delle vecchie lire e  svendendo alcuni beni strumentali e attrezzature di sua proprietà.

Antonio Zagaria e Filippo Capalbo sarebbero stati, insieme agli altri due fratelli del boss Carmine, Pasquale (entrambi già in carcere), i  protagonisti anche del secondo episodio estorsivo nel quale lo stesso imprenditore fu costretto a “ripulire” 500 milioni di lire del clan. L’uomo  fu obbligato a restituire una somma, ricevuta a titolo di caparra per un affare non andato a buon fine, suddivisa in contanti e assegni di importo  inferiore ai 20 milioni, anziché con bonifico postale, modalità con cui l’aveva ricevuta.

Anche in questo caso gli arrestati furono autori delle minacce di morte e percosse che “convinsero” la vittima a versare la somma secondo le  modalità pretese.

L’indagine degli investigatori, che ha accertato il passaggio di alcune di quelle tranches di denaro proprio nelle mani dei membri del clan, si  inserisce nel contesto dell’operazione “Thunderball” che il 3 ottobre scorso portò all’arresto di sei esponenti del clan Zagaria, sempre per  reati di estorsione.

Criminalità a Napoli: Manganelli riunisce vertice operativo

da Polizia di Stato

Tavolo tecnico questa mattina al Viminale. Il tema affrontato è l’emergenza criminalità nella provincia di Napoli. La decisione di convocare il vertice è arrivata dopo l’omicidio del giovane rimasto vittima di uno scambio di persona da parte di un killer.

Intorno a sé il capo della Polizia Antonio Manganelli ha riunito i vertici investigativi del Dipartimento della PS: Francesco Cirillo vice capo della Polizia e direttore Centrale della polizia criminale, Alessandro Valeri a capo della segreteria del Dipartimento, Gaetano Chiusolo responsabile della Direzione centrale anticrimine, Maria Luisa Pellizzari direttore del Servizio centrale operativo e Raffaele Grassi al vertice del Servizio per il controllo del territorio.

”Chiudere il cerchio attorno ai boss emergenti della Camorra”. È questo l’obiettivo che il capo della Polizia Antonio Manganelli ha chiesto di raggiungere ai responsabili dell’investigazione presenti al Viminale per il vertice. Il Prefetto ha chiuso l’incontro chiedendo di “Dare una risposta durissima ai clan della Camorra”.

Il dispositivo di contrasto sarà operativo da lunedì 22 ottobre. L’agenda prevede inoltre che martedì prossimo il vice capo della Polizia Cirillo ed il responsabile della Dac Chiusolo saranno a Napoli per un incontro con il procuratore capo del capoluogo partenopeo, Colangelo.

Il Consiglio dei ministri ha sciolto il comune di Reggio Calabria. Deliberato un movimento di prefetti

da Ministero dell’Interno

L’ente sciolto per condizionamenti esterni da parte della criminalità organizzata. Cancellieri:  «Decisione sofferta, Governo vicino alla città». Cambio al vertice alla prefettura di Napoli; nominati il nuovo commissario antiracket e antiusura e il nuovo capo dell’Ispettorato generale di amministrazione

È stato «un atto sofferto», fatto «a favore della città», con la volontà di «restituire il Paese alla legalità, perché senza legalità non c’è sviluppo». Lo scioglimento del comune di Reggio Calabria, annunciato in serata a Roma, a Palazzo Chigi, dal ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, è stato deciso dal Consiglio dei ministri per «contiguità e non per infiltrazioni mafiose», in altre parole per condizionamenti esterni da parte dei clan. Si tratta della prima volta nella storia d’Italia, ha ricordato il ministro, che viene sciolto il consiglio comunale di un capoluogo di provincia.

Alla guida del comune ci saranno per 18 mesi tre commissari straordinari: il prefetto di Crotone Vincenzo Panico, il viceprefetto Giuseppe Castaldo e il dirigente dei servizi ispettivi di finanza della Ragioneria dello Stato Dante Piazza. Tra i loro compiti ci sarà anche quello di lavorare per migliorare la situazione finanziaria del comune che, ha detto Cancellieri, «ha una situazione debitoria importante».

«Siamo molto vicini alla città», ha aggiunto il ministro, «vogliamo che Reggio Calabria sappia che questo del governo è un atto di rispetto per la città, che il governo è vicino alla città e vuole che la città ritrovi lo slancio».

Movimento di prefetti

Il Cdm, tra le decisioni assunte, ha anche deliberato un movimento di prefetti. Tra i ‘passaggi di consegne’ previsti c’è quello che riguarda la prefettura di una provincia nevralgica, quella di Napoli, alla guida della quale è stato destinato l’attuale prefetto di Genova, Francesco Musolino. Sarà, invece, il prefetto Elisabetta Belgiorno il nuovo commissario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket ed antiusura.

A capo dell’Ispettorato generale di amministrazione (Iga) presso il dipartimento per le Politiche del personale dell’amministrazione civile e per le Risorse strumentali e finanziarie del ministero dell’Interno andrà il prefetto Giovanna Maria Rita Iurato, che lascerà per questo incarico la prefettura dell’Aquila. A sostituirla al vertice dell’ufficio territoriale del governo del capoluogo abruzzese sarà il prefetto Francesco Alecci, in arrivo da Messina.

Foggia: in galera il “Clan del papa”

da Polizia di Stato

Estorcevano denaro  ai negozianti nel centro di Foggia con minacce e percosse, ma stamattina i criminali sono stati fermati dalla Squadra mobile di Foggia che ha  arrestato 7 persone responsabili di estorsione aggravata in concorso.

Si tratta di un’operazione che ha colpito due gruppi distinti: uno riconducibile a Giosuè Rizzi detto il “Papa di Foggia”, ucciso il 10  gennaio scorso, e l’altro che conta tra gli esponenti principali Rossana Trisciuoglio, figlia del noto boss Federico, attualmente agli arresti  domiciliari.

Il “Papa di Foggia”, così definito da un noto collaboratore di giustizia, è stato l’indiscusso capo della mafia foggiana sin dagli  anni 80 ed era tornato in libertà nel novembre 2010, dopo aver scontato una pena a 26 anni di detenzione perché ritenuto l’autore  della cosiddetta strage del Bacardi; riacquistata la libertà, il boss aveva immediatamente chiamato al suo fianco alcuni fedelissimi per  gestire in autonomia il racket delle estorsioni.

Proprio da un episodio in cui è stato protagonista è scaturita l’indagine, con l’acquisizione di immagini video, riprese all’esterno  di un noto negozio di abbigliamento del centro di Foggia, in cui venivano registrate le percosse inferte da Rizzi e dai suoi fiancheggiatori, nei  confronti del titolare dell’attività commerciale.

Ad una delle vittime era stato quasi completamente devastato il locale con alcuni ordigni esplosivi. Le somme richieste alle vittime si aggiravano  dai 50 mila ai 100 mila euro, per la cosiddetta protezione da parte del gruppo malavitoso.

Sequestro beni all’uomo di Messina Denaro

da Polizia di Stato

Ottantadue beni immobili tra ville e appartamenti; 33 auto tra quelle di lusso, furgoni, mezzi meccanici;18 quote  societarie; 2 società; 37 conti correnti e rapporti bancari per un valore totale di 25 milioni di euro.

A tanto ammonta il patrimonio di un imprenditore di Trapani, indicato come vicino al boss latitante Matteo Messina Denaro, sottoposto, questa  mattina, al sequestro preventivo dei beni.

Il provvedimento è stato eseguito dagli agenti della divisione anticrimine della Questura e dai militari del Nucleo di polizia tributaria  della Guardia di finanza di Trapani.

Le indagini condotte dalla questura di Trapani avvenute attraverso le intercettazioni e in particolare il ritrovamento di “pizzini” scritti da  Matteo Messina Denaro, hanno condotto gli investigatori ad individuare l’enorme massa di beni appartenenti all’imprenditore e a rafforzare il  sospetto dei collegamenti che quest’ultimo aveva intrattenuto con Cosa nostra

Dia: vent’anni di lotta alla mafia

da Polizia di Stato

”In piena intesa con il capo della Polizia, prefetto Antonio Manganelli è stato deciso che le celebrazioni previste per la ricorrenza di San Michele Arcangelo si svolgeranno nel modo più sobrio e religioso possibile”. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, durante la cerimonia per il ventennale della Dia, Direzione investigativa antimafia. Cancellieri ha precisato che la decisione ”è stata presa in comune accordo con il capo della Polizia per destinare ogni risorsa economica alla società civile”.

Prima del ministro dell’Interno sono intervenuti nell’ordine: il direttore della Scuola di perfezionamento per le forze di Polizia Vincenzo Giuliani, il direttore della Dia Alfonso D’Alfonso e il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso. Presenti alla cerimonia che è culminata con l'”annullo” del francobollo celebrativo del ventennale della nascita della Dia, le massime autorità civili e militari, tra cui il vice capo vicario della Polizia Nicola Izzo.

Il francobollo dedicato vuole ricordare non solo il ruolo svolto dalla Dia nel combattere la criminalità organizzata, ma soprattutto, il coraggio di chi ha sostenuto, fino all’estremo sacrificio, la difesa dei valori della società civile e combattuto per i diritti dei cittadini, come nel caso dei magistrati ritratti sul francobollo: Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rosario Livatino.

L’uccisione del giudice Livatino, avvenuta il 21 settembre del 1990, coincide non a caso con la nascita della Dia, istituita proprio il 21 settembre, esattamente due anni dopo il suo assassinio. Tre magistrati, tre uomini che hanno ispirato lo Stato a dotarsi di moderne tecniche investigative per combattere la mafia che utilizza sempre più sofisticate e complesse tecniche criminali.

ECOMAFIA GLOBALIZZATA

di Grazia De Marco

Le organizzazioni mafiose non sono tali solo quando si manifestano attraverso reati palesi e sanguinari, le loro attività, infatti, spesso sono silenziose e penetrano le strutture dell’economia, della politica e del tessuto sociale. Tutte le mafie si adeguano al mercato, per inserirsi in attività illegali che consentono di investire ingenti somme di denaro per ricavarne profitti altrettanto enormi. Tra queste, sicuramente al primo posto vi sono le ecomafie, che riguardano il traffico illecito di rifiuti, la cementificazione abusiva, nonché gli attacchi al patrimonio culturale e alla fauna.

Lo scorso 4 Luglio è stato presentato il rapporto “Ecomafia 2012”, l’indagine annuale di Legambiente sull’illegalità ambientale, che ha fotografato una situazione impressionante, con un business illecito dalle cifre scioccanti, spesso contrastato con impegno e perizia dalle forze dell’ordine, le quali, solo nel 2011, hanno effettuato 8.765 sequestri, con 305 arresti (100 in più, rispetto all’anno precedente) e 27.969 persone denunciate. Nonostante questo grande lavoro, però, i traffici illeciti gestiti dagli ecomafiosi nel 2011 hanno fruttato ancora troppo, ben 16,6 miliardi di euro, anche a causa dell’accresciuta aggressività dei clan e dell’eccessiva disinvoltura con la quale il denaro illegale si muove nei circuiti della finanza internazionale.

Nel rapporto si precisa inoltre che i clan che gestiscono questi traffici sono 296, sparsi in tutte le regioni d’Italia, anche se la maggior parte dei reati registrati (il 47,7%) riguarda ancora una volta le 4 regioni a tradizionale presenza mafiosa, con in testa la Campania, seguita dalla Calabria, dalla Sicilia e dalla Puglia, ma nell’elenco sono anche compresi il Lazio ed  alcuni comuni del nord Italia sciolti per mafia, come Bordighera, Ventimiglia, Rivarolo e Leini.

Tra i vari settori illegali, quello più pericoloso e difficile da contrastare è certamente il traffico illecito di rifiuti internazionali. In Italia è comunque possibile investigare questo fenomeno grazie all’introduzione, nel 2001, del delitto di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti (ex art. 53 bis del decreto Ronchi, ora art. 260 del D.Lgs 152/2006), che è anche l’unico delitto ambientale esistente nel nostro Paese. Il fenomeno del traffico internazionale di rifiuti comincia ad affacciarsi all’inizio degli anni ’80, grazie all’adozione di normative più rigide sullo smaltimento, che alcuni Governi europei hanno adottato per rendere sempre più difficile e onerosa l’eliminazione di scarti industriali e di oggetti dismessi.

I movimenti transfrontalieri di rifiuti sono regolati dalla “Convenzione di Ginevra”, entrata in vigore nel 1992 e ratificata, a oggi, da 138 Governi. La “Convenzione” ha l’obiettivo di vietare l’esportazione di scorie verso i Paesi in via di sviluppo, prevedendo anche un sistema di accordi bilaterali per disciplinarne i movimenti e consentendo le spedizioni in questi Paesi solo di alcune tipologie di rifiuti, destinati al recupero e mai al mero smaltimento.

Con l’entrata in vigore della normativa, tuttavia, una parte dei traffici è stata dirottata nel circuito illegale, finendo per cambiare forma. Per cercare di aggirare la “Convenzione” e le sue regole, infatti, i trafficanti hanno incominciato a far ricorso a triangolazioni tra vari Paesi, adottando la tecnica del “giro-bolla”, ossia la falsificazione dei documenti di accompagnamento dei carichi. Grazie a questa tecnica, container carichi fino all’orlo di veri e propri rifiuti, spacciati alla frontiera  per materie prime secondarie o scarti di lavorazione, hanno la possibilità di passare da un intermediario all’altro o da un Paese all’altro.

In Italia i percorsi criminali transfrontalieri hanno inizio dalle grandi piattaforme logistiche, che rastrellano ogni genere di scarto, per poi destinarli all’estero. La direttrice storica dello smaltimento collegava in passato il Nord al Sud (ovvero i Paesi più ricchi a quelli più poveri), mentre la nuova destinazione sembra unire l’Ovest all’Est (ossia i Paesi più ricchi a quelli che lo vogliono diventare). Il tragitto tra Italia-Germania-Olanda-Hong Kong-Cina, ad esempio, è considerato un classico dei traffici illegali, regolati da cinque, sei, sette passaggi per ogni carico.

Più in generale, tuttavia, le tipologie di aree particolarmente considerate sono quelle caratterizzate da confini scarsamente controllati, da processi di disgregazione governativa o da conflitti interni. Per cercare di capire meglio quali siano le direttrici transnazionali più appetibili bisognerebbe anche conoscere tutti i mutamenti in corso nelle principali economie in espansione e in particolare la strutturazione della domanda, poiché non bisogna comunque dimenticare che quello della gestione illecita dei rifiuti è un vero e proprio mercato e quindi risente della fluttuazione dei circuiti economici.

Per quanto riguarda la tipologia, invece, una di quelle più appetibili, sempre secondo Legambiente, soprattutto per le organizzazioni criminali italo-cinesi, è quello dei materiali plastici, in particolare quelli a base di polictilene impregnati di fitofarmaci, pesticidi e fertilizzanti chimici, utilizzati per coprire le serre. Questi materiali dovrebbero essere smaltiti in impianti speciali, prima di essere destinati al riciclo, mentre, nei percorsi criminali, container carichi di questi rifiuti arrivano direttamente in aziende clandestine dove, mischiati ad altri materiali plastici, diventano nuova materia prima, poi spedita in giro per il mondo.

Tra i rifiuti sequestrati figurano molto spesso anche apparecchiature elettriche ed elettroniche come i Raee, che invadono soprattutto Paesi come l’India, vari Stati Africani, tra cui il Ghana e la Cina, dove finiscono nella più grossa discarica hi-waste del Guadong, nel sud del Paese orientale. Un’altra tipologia di rifiuti molto apprezzata dai trafficanti che operano sul mercato asiatico sembrano essere sia i pneumatici fuori uso, che vengono frantumati per poi essere utilizzati come combustibile per cementifici e termovalorizzatori, che altri materiali come l’acciaio, il ferro e la carta.

Per traffici e affari così imponenti, tuttavia, la criminalità organizzata, non potendo gestire e coordinare tutto da sola, si avvale di una vera e propria rete di rapporti con funzionari pubblici, produttori di rifiuti, addetti ai trasporti, gestori di stoccaggi, cosiddetti “colletti bianchi” (soggetti dalla fedina penale pulita che occupano posti chiave nelle pubbliche amministrazioni) e, in ultimo, con il commissario straordinario.

Una delle parti sicuramente più interessanti di “Ecomafia 2012” riguarda infine le proposte di Legambiente per cercare in qualche modo di arginare il fenomeno e cioè:

–           rafforzare da un lato e semplificare dall’altro il quadro sanzionatorio in materia di tutela penale dell’ambiente attualmente in vigore;

–           rendere pienamente operativa la nuova classificazione del delitto dia attività organizzata di traffico illecito di rifiuti, prevedendo l’utilizzo di intercettazioni telefoniche e ambientali, in presenza di sufficienti indizi di reato e prolungando fino a un anno i termini per le indagini preliminari;

–           prevedere una serie di modifiche normative finalizzate a rendere più efficaci le procedure di sequestro di rifiuti presso aree portuali e aeroportuali;

–           sollecitare l’estensione del delitto di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti in tutti i Paesi dell’Unione Europea;

–           inserire stabilmente e rafforzare il contrasto dei traffici illegali di rifiuti nelle attività di organismi investigativi e di controllo europei e internazionali (Europol, Interpol, Organizzazione mondiale delle dogane).

Beni confiscati alla mafia, arriva la convenzione tra l’Agenzia Nazionale e il Corpo forestale dello Stato

da ministero dell’Interno

La collaborazione vuole promuovere e ottimizzare le azioni di legalità per l’utilizzazione più idonea di beni sottratti alla criminalità organizzata localizzati nei territori rurali e montani

È stata sottoscritta oggi a Roma la convenzione tra l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC)  e il Corpo forestale dello Stato che prevede una costante collaborazione tra i due enti in materia di gestione e monitoraggio dei beni confiscati alla criminalità organizzata.
Secondo quanto previsto dal protocollo d’intesa, il Corpo forestale dello Stato fornirà all’Agenzia un supporto operativo in tema di sopralluoghi sui territori interessati e redazione di stime riguardanti i beni confiscati che rientrano in zone montane e rurali. Il Corpo forestale metterà inoltre a disposizione il proprio supporto informatico denominato Sistema Informativo della Montagna (SIM) per la catalogazione dei sopralluoghi nelle aree rurali o montane sottoposte a sequestro o confisca.
«Il protocollo d’intesa sottoscritto con il Corpo Forestale dello Stato – ha affermato il direttore dell’ANBSC Giuseppe Caruso – costituisce un’ulteriore, grande opportunità nella lotta alla criminalità organizzata mediante l’aggressione ai beni patrimoniali illecitamente acquisititi e il loro utilizzo anche per fini sociali. La specializzazione del Corpo forestale potrà essere di fondamentale supporto sia per le risorse disponibili dell’Agenzia nazionale sia per tutti i nuclei di supporto operanti presso le prefetture dell’intero territorio nazionale».
«L’impiego del  Corpo forestale dello Stato nella lotta all’ecomafia per garantire sicurezza e legalità passa anche attraverso questo accordo operativo con l’Agenzia Nazionale» – ha dichiarato il capo del CFS Cesare Patrone. «Il Corpo non mancherà di fornire il proprio apporto di competenze tecniche e di polizia per far sì- ha aggiunto – che i beni un tempo della mafia, oggi dello Stato, tornino alla loro utilità sociale nell’interesse del Bene comune».
Il Corpo forestale sarà impegnato nel monitoraggio dei beni destinati o assegnati in via provvisoria relativamente alle aree rurali e montane anche al fine di reprimere i reati attinenti all’ambiente (traffico illecito di rifiuti, inquinamento delle falde acquifere, distruzione e deturpamento delle bellezze naturali, incendi, abusivismo edilizio, per citarne solo alcuni) con l’impiego del personale dei comandi territoriali e dei nuclei investigativi specializzati. In concorso con le altre Forze di polizia sarà impegnato nelle attività di sgombero forzoso del bene nell’ambito delle azioni disposte dal comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente per territorio.
L’Agenzia nazionale, nell’ambito delle attribuzioni di competenza, valuterà insieme alla Forestale la possibilità di procedere all’assegnazione a quest’ultimo di beni mobili registrati e/o animali o di beni immobili confiscati in via definitiva.