Mafia, 200 boss al 41 bis trasferiti

riinada TGCOM24

Sono circa 250 i carcerati in regime di 41 bis trasferiti dagli istituti di pena in cui erano detenuti. Si tratta di boss di mafia, ‘ndrangheta, camorra e sacra corona unita. Il provvedimento riguarda anche Bernardo Provenzano, Totò Riina, i fratelli Graviano e Leoluca Bagarella. L’iter per il trasferimento, che rientra in un normale avvicendamento carcerario dei boss, è stato avviato a febbraio con il parere favorevole della direzione nazionale antimafia.

L’iter della procedura è stato avviato a febbraio dal dipartimento per l’amministrazione penitenziaria e ne sono state informate anche le direzioni distrettuali antimafia competenti.

Bernardo Provenzano è stato trasferito il 6 aprile dall’Ospedale Civile di Parma dov’era ricoverato dal giugno del 2013, presso l’istituto penitenziario di Milano Opera. Alla richiesta di chiarimenti del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, il Dap ha scritto: “Il trasferimento è parte di una più generale movimentazione disposta da questa Direzione Generale che ha riguardato circa 250 detenuti, ristretti in regime di 41 bis e reclusi nel medesimo penitenziario da oltre cinque anni”.

Mafia, un confidente svela il volto del boss Matteo Messina Denaro

messina denaroda TGCOM24

L’ultimo padrino latitante di Cosa Nostra, il boss trapanese Matteo Messina Denaro, ha un “nuovo” volto. Il Gico della guardia di finanza, grazie all’aiuto di un confidente, ha elaborato al computer un identikit del capomafia ricercato dal 1993. Il boss di Castelvetrano appare con capelli ancora scuri, una stempiatura più ampia del passato e leggermente appesantito.

L’immagine sarebbe stata diffusa alle forze dell’ordine impegnate da 21 anni nella ricerca del padrino. Unica vera novità rispetto alle ricostruzioni del passato – l’ultima venne elaborata dalla polizia grazie all’aiuto di collaboratori di giustizia e testimoni – sarebbe il fatto che Messina Denaro non porta occhiali.

Le vecchie foto del boss lo immortalavano con grosse lenti: il capomafia è affetto da una patologia alla retina che lo ha costretto a recarsi da uno specialista spagnolo. Il medico, che ha una clinica a Barcellona, interrogato dagli inquirenti, confermò la serietà della patologia e ipotizzò che nel frattempo il capomafia fosse diventato cieco da un occhio.

Il boss avrebbe fornito alla reception del centro oftalmico la sua vera data di nascita e rivelato la città di origine: Castelevetrano. Ma avrebbe detto di chiamarsi Matteo Messina, omettendo, dunque, il secondo cognome, Denaro. Fu il pentito, Vincenzo Sinacori, a dire per primo agli inquirenti che il capomafia soffriva della malattia. Il boss gli aveva rivelato che aveva intenzione di andare in Spagna per farsi visitare.

Ultimo capo di Cosa nostra ricercato, Messina Denaro, figlio dello storico padrino di Castelvetrano Ciccio, è un “enfant prodige” del crimine: a 14 anni inizia ad usare le armi da fuoco e a diciotto fa il suo primo omicidio. Ad un amico avrebbe confidato: “Con le persone che ho ammazzato, io potrei fare un cimitero”.

Da sempre nel cuore del boss Totò Riina e strenuo sostenitore della strategia stragista dei corleonesi, è stato condannato, tra l’altro, per gli attentati mafiosi a Roma, Firenze e Milano del ’93. Nonostante la vicinanza ai “viddani” di Corleone la sua immagine è ben diversa da quella dei vecchi boss di paese. Amante delle auto sportive e delle belle donne, soprannominato Diabolik per la passione per il famoso personaggio dei fumetti, fa affari con le estorsioni e con gli appalti, ma anche col traffico di droga e le operazioni imprenditoriali e finanziarie.

Secondo gli inquirenti dietro il business dell’eolico in provincia di Trapani ci sarebbero i suoi capitali. Come suoi sarebbero i soldi investiti da prestanomi nella grande distribuzione alimentare: uno per tutti Giuseppe Grigoli, re dei supermercati Despar di mezza Sicilia a cui sono stati sequestrati beni per 700 milioni di euro. Un tesoro che, secondo gli inquirenti, sarebbe della primula rossa di Castelvetrano.

Palermo,maxi sequestro di beni a imprenditore vicino a Messina Denaro

da TGCOM24messina

Beni per un valore complessivo di circa 51 milioni di euro sono stati sequestrati dai carabinieri del Ros e dallo Scico della Guardia di Finanza di Palermo a un noto imprenditore palermitano. Secondo la Procura distrettuale antimafia l’indagato sarebbe un prestanome del boss latitante Matteo Messina Denaro. Nel sequestro diverse società attive nel settore immobiliare, nel commercio dell’abbigliamento e di preziosi, nonchè in quello della nautica.

Il sequestro è scattato nei confronti di Mario Niceta e dei figli Massimo, Pietro e Olimpia. Vale 50 milioni di euro e comprende le società che gestiscono una serie di negozi a Palermo (in via Roma, Corso Camillo Finocchiaro Aprile, viale Strasburgo e via Ruggero Settimo con il marchio Olimpia) e a Trapani (Blue Spirit e Niceta Oggi all’interno del centro commerciale Belicittà di Castelvetrano). Il lavoro prosegue regolarmente, ma in amministrazione giudiziaria.

Maxi blitz contro Sacra corona unita, 46 arresti

carabinierida Agi (Agenzia di Stampa)

I carabinieri del Comando provinciale di Brindisi hanno eseguito, in provincia e sul territorio nazionale, un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Lecce su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia a carico di 46 indagati, accusati a vario titolo di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata alla cessione di stupefacenti, omicidio, reati in materia di armi, estorsione e altro, tutti aggravati dal metodo mafioso.

In corso di esecuzione anche un provvedimento di sequestro d’urgenza, emesso dal pm nei confronti di alcuni degli indagati, di beni mobili e immobili, comprese due attivita’ commerciali, e libretti postali per un valore complessivo di circa un milione di euro.

L’urlo di Crocetta: la mafia mi vuole morto

crocettada Corriere.it

«Sono un presidente condannato a morte. Un pentito ha riferito che la condanna può essere cancellata solo da chi l’ha emessa, ma chi l’ha emessa è deceduto, il boss Daniele Emanuello, ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia sei anni fa; dunque la mafia mi sta addosso». L’ha detto il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, intervenendo a Gela alla festa del «Megafono», il movimento ispirato proprio dal governatore.

SCHIAFFO AL PD – Crocetta non parteciperà oggi, lunedì, alla direzione regionale del Pd. «Non vado al teatrino della politica quando c’è un servitore dello Stato che rischia la vita», ha detto Crocetta, che oggi pomeriggio si recherà nell’ospedale Cannizzaro, a Catania, per stare a fianco di Tony Gricoli, 45 anni, ed Enzo Zerbo, 50 anni, feriti nel grave incidente della sua scorta lungo l’autostrada Siracusa-Gela.

LA SOLITUDINE DI SCILABRA – Il governatore difende il lavoro della sua giunta e legge dal suo telefono cellulare un sms inviatogli dall’assessore regionale alla Formazione, Nelli Scilabra. «Solo tu puoi capire e darmi risposte, lotto per questa nostra rivoluzione. Vorrei non sbagliare e non farti sbagliare – scrive l’assessore – Ma ormai da mesi provo solo la solitudine. Scusa lo sfogo, ma lo posso fare solo con te. Non fa niente anche se non rispondi, notte presidente». Crocetta quindi legge la risposte che le ha inviato sempre per sms. «Fregatene, ti voglio bene. Notte». «Dopo le sue denunce, non può più condurre una vita normale – dice Crocetta – Nelli lo urla. Ma perchè i giovani non dobbiamo metterli alla prova? Così non avranno mai un’esperienza». Poi l’affondo: «Invece di fare fregare i soldi a Genovese (il deputato nazionale del Pd indagato a Messina nell’inchiesta sulla formazione professionale), perchè non li investiamo sui giovani?».

E Riina disse: «Io andreottiano da sempre» Trattativa Stato-Mafia: le nuove prove

STRAGE RAPIDO 904: CHIESTO RINVIO GIUDIZIO RIINAda Corriere.it

Nuove rivelazioni sull’esistenza della trattativa stato-mafia. Un agente di polizia penitenziaria chiese al boss: «E’ vero che ha lei ha dato un bacio ad Andreotti?» e lui risponde: «Le posso solo dire che era un galantuomo e che io sono stato andreottiano da sempre».

LA CONFERMA – Dal capomafia dunque arriverebbero clamorose conferme sull’esistenza della trattativa Stato-mafia. Agli agenti penitenziari il boss avrebbe detto che a farlo arrestare furono Bernardo Provenzano e Vito Ciancimino. Le rivelazioni sono state raccolte dall’agente penitenziario alcune settimana fa, mentre il detenuto stava per essere trasferito dalla sua cella alla saletta delle videoconferenze.

LA RELAZIONE – Le parole del boss, che non collabora con la giustizia, sono finite in una relazione degli agenti che è stata depositata agli atti del processo sulla trattativa insieme agli interrogatori delle guardie carcerarie che hanno sentito le frasi di Riina. Dalle parole del boss verrebbe una conferma alle dichiarazioni del figlio di Ciancimino, Massimo, che ha raccontato ai pm che furono il padre e Provenzano a fare arrestare Riina ai carabinieri a gennaio del 1993. Il padrino avrebbe fatto riferimento poi alla circostanza che qualcuno sarebbe andato da lui: frase sibillina che potrebbe alludere al tentativo di dialogo avviato dal Ros con Riina attraverso Vito Ciancimino che avrebbe segnato l’avvio della trattativa.

Mafia: Dia sequestra beni per un milione

diada Ansa.it

Beni per un milione di euro sono stati sequestrati dalla Dia di Catania a Roberto Russo, 48 anni, ritenuto elemento di spicco della cosca Cintorino, legata al clan Cappello-Bonaccorsi.

Arrestato nel gennaio scorso nell’operazione Nuova Ionia, Russo e’ accusato di avere favorito l’infiltrazione mafiosa nel settore della raccolta dei rifiuti, nella zona dell’alto Jonio etneo.

Il sequestro e’ stato disposto del Tribunale su richiesta della Dda della Procura di Catania.

Palermo: la mafia gestiva le case popolari

da Polizia di Stato

Erano andati a Milano per alcune cure mediche. Mentre si trovavano in ospedale la loro casa, nel quartiere Zen di Palermo, era stata occupata. Un clan mafioso composto da una decina di persone aveva assegnato il loro alloggio popolare ad un’altra famiglia.

Questo è lo sfondo dell’operazione condotta dalla Squadra mobile di Palermo che, in collaborazione con la Dia, ha arrestato stamattina 13 persone. Sono tutti accusati di associazione mafiosa, tentata estorsione, estorsione e violenza privata aggravate.

Dalle indagini, portate avanti con intercettazioni telefoniche e servizi sul territorio a riscontro delle dichiarazioni di collaboratori, è emerso che il clan mafioso estorceva denaro agli abitanti dei padiglioni di edilizia popolare e ai commercianti della zona per gestire direttamente l’assegnazione delle case popolari su un canale parallelo illegale.

L’organizzazione faceva presidiare da persone di sua fiducia gli alloggi popolari lasciati liberi per più di 10-15 giorni dai legittimi assegnatari, che perdevano così il diritto alla loro casa. L’immobile vacante veniva preso in consegna da Cosa nostra e poi “riassegnato” a non meno di 15 mila euro.

Arrestato Antonio Zagaria, fratello del boss Michele

da Polizia di Stato

Erano specializzati nell’estorcere denaro agli imprenditori che  entravano nella loro rete e non ne uscivano più.

La Squadra mobile Caserta, con l’ausilio degli uomini del Reparto prevenzione crimine ha arrestato Antonio Zagaria, ritenuto dagli investigatori  l’erede al trono del clan lasciato dal fratello, il boss Michele, elemento di primo livello dei Casalesi, arrestato il 7 dicembre dello scorso anno  dopo una latitanza di oltre 16 anni. Insieme a lui è finito in carcere anche suo cugino Filippo Capalbo.

Entrambi sono tutti accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso per aver agito al fine di agevolare l’organizzazione di stampo mafioso del  clan dei Casalesi, gruppo Zagaria.

L’indagine, denominata “Thunderball 2”, ha permesso di fare luce su due episodi estorsivi di cui era stato vittima un imprenditore casertano, posti  in essere dai due criminali arrestati.

La vittima aveva preso dei soldi in prestito dalla famiglia e, avendo avuto difficoltà nel pagare le somme pretese a titolo di interessi  usurari, la obbligarono, sotto minaccia di morte, a estinguere il debito anche sottoscrivendo cambiali per oltre 150 milioni delle vecchie lire e  svendendo alcuni beni strumentali e attrezzature di sua proprietà.

Antonio Zagaria e Filippo Capalbo sarebbero stati, insieme agli altri due fratelli del boss Carmine, Pasquale (entrambi già in carcere), i  protagonisti anche del secondo episodio estorsivo nel quale lo stesso imprenditore fu costretto a “ripulire” 500 milioni di lire del clan. L’uomo  fu obbligato a restituire una somma, ricevuta a titolo di caparra per un affare non andato a buon fine, suddivisa in contanti e assegni di importo  inferiore ai 20 milioni, anziché con bonifico postale, modalità con cui l’aveva ricevuta.

Anche in questo caso gli arrestati furono autori delle minacce di morte e percosse che “convinsero” la vittima a versare la somma secondo le  modalità pretese.

L’indagine degli investigatori, che ha accertato il passaggio di alcune di quelle tranches di denaro proprio nelle mani dei membri del clan, si  inserisce nel contesto dell’operazione “Thunderball” che il 3 ottobre scorso portò all’arresto di sei esponenti del clan Zagaria, sempre per  reati di estorsione.

Mafia: in manette i figli dei boss Ercolano e Santapaola

da Polizia di Stato

Intestazione fittizia di beni con l’aggravante di aver agito con la  finalità di favorire o consolidare un’associazione di matrice mafiosa. È questa l’accusa con cui sono finite in carcere cinque  persone tra le quali ci sono i rampolli di alcune delle dinastie mafiose più importanti.

Dopo quasi tre anni di indagini gli investigatori della Squadra mobile di Catania sono riusciti a mettere con le spalle al muro Vincenzo Salvatore  Santapaola, 43enne figlio di Nitto, storico capomafia che sta scontando l’ergastolo. Insieme a lui sono stati arrestati i fratelli Aldo, Mario e  Salvatore Ercolano, di 38, 36 e 34 anni, figli di Sebastiano e nipoti dello storico boss Pippo. Il quinto a finire dietro le sbarre è un  40enne incensurato.

Nell’ambito dell’operazione sono state sequestrate preventivamente tre società, intestate fittiziamente all’uomo incensurato che fungeva da  testa di legno, ma che in realtà erano riconducibili alle famiglie mafiose.

Si tratta di società che gestivano un autosalone, un ristorante e un’impresa di arredamenti, per un valore complessivo di oltre 400mila  euro.

Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Catania, si sono avvalse di numerose intercettazioni telefoniche e ambientali,  pedinamenti e appostamenti.