Imu, come si calcola la detrazione

di Luigi Lovecchio
fonte:  sole24ore.it

Tra maggiorazioni di detrazione, assimilazioni all’abitazione principale confermate e mancate, l’applicazione dell’Imu sperimentale rappresenterà almeno nel primo anno un piccolo rebus per le famiglie.
Molti dei quesiti riguardano proprio la nuova detrazione maggiorata per i figli, introdotta in sede di conversione della manovra ‘salva Italia’ (Dl n. 201/11).
La detrazione, che si aggiunge a quella base di 200 euro, è pari a 50 euro per ogni figlio convivente, di età non superiore a 26 anni. La misura massima della maggiorazione è di 400 euro che, sommata alla detrazione di base, raggiunge quindi la cifra di 600 euro.

 

Va chiarito che questa nuova detrazione, che non ha precedenti nell’Ici, non è legata alla condizione di figlio a carico. I 50 euro aggiuntivi, quindi, competono anche se il figlio lavora ed ha redditi propri. Il problema che si pone riguarda le modalità di attribuzione della maggiorazione in presenza di una pluralità di contitolari dell’immobile. Al riguardo, si ricorda che la detrazione base di 200 euro si imputa a ciascun proprietario residente nell’immobile, a prescindere dalla quota di possesso. Così, per esempio, se l’abitazione è posseduta da due soggetti che vi risiedono con quote dell’80 e del 20%, la detrazione sarà imputata per 100 euro a ciascun proprietario. Non è chiaro se le stesse regole valgono per la maggiorazione. Si pensi ad esempio ad un immobile in proprietà di madre e figlio che vi risiedono unitamente alla famiglia del figlio, composta anche di due bambini e del coniuge. Se si applicassero le regole ordinarie, i 100 euro di detrazione aggiuntiva dovrebbero essere suddivise paritariamente tra i due titolari.
Ma se invece si ritiene, come sembra, che l’agevolazione è mirata alle famiglie con figli, l’intera maggiorazione dovrebbe essere attribuita al figlio comproprietario. Le cose si complicano se l’appartamento è interamente intestato ai figli (con età non superiore a 26 anni) ed è abitato dal nucleo familiare composto anche dai genitori. In questo caso, negare del tutto la maggiorazione della detrazione sarebbe contrario allo spirito della legge. Dovrebbe potersi affermare in sostanza che le quote dell’immobile intestate ai componenti del medesimo nucleo familiare, in presenza delle condizioni di legge, danno sempre diritto alle detrazioni maggiorate, a prescindere dalla titolarità formale delle stesse.
Per l’ex casa coniugale assegnata al coniuge separato o divorziato si conferma invece l’assimilazione ope legis all’abitazione principale, sia ai fini dell’applicazione dell’aliquota che della detrazione. L’unica condizione è che il coniuge non assegnatario non possieda un altro immobile ad uso abitativo nel medesimo comune. In questo caso, se dovessero trovare conferma le regole Ici, la detrazione dovrebbe essere commisurata alla quota di possesso. Ciò diversamente dalla disciplina ordinaria della detrazione. Questo significa che un immobile posseduto al 50% da ciascuno degli ex coniugi darebbe diritto alla detrazione di 100 euro per il coniuge non assegnatario e di 200 euro per il soggetto che vi abita. La maggiorazione della detrazione invece dovrebbe competere per intero al coniuge che convive con i figli, anche se la formulazione della norma non esclude una applicazione più ampia del beneficio. Estensione che sarebbe quanto mai opportuna, soprattutto nei casi in cui il coniuge non assegnatario sia unico proprietario dell’ex casa coniugale.
Dove invece non vi sono dubbi è nella mancata riproposizione dell’assimilazione relativa alle case concesse in uso gratuito a parenti. Questa fattispecie, in presenza di un regolamento comunale, sino alla fine del 2011 dà diritto all’esenzione Ici. Il decreto 201 ha tuttavia soppresso la disposizione di riferimento (articolo 59, lettera e), del decreto legislativo n. 446/97) ed ha ristretto di molto le ipotesi di assimilazione all’abitazione principale. Il risultato finale è che gli immobili in uso a parenti sono diventati, ai fini Imu, come delle seconde case, assoggettate quindi all’aliquota di base del 7,6 per mille, senza che residuino spazi per i regolamenti locali.

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