«L’auto della madre a 50 metri dalla strada del delitto di Loris»

di Corriere

SANTA CROCE CAMERINA (Ragusa) – Sono le 9:27:08 di sabato scorso. La Polo nera di Veronica Panarello finisce nelle immagini del distributore Erg sulla strada comunale 35 che da Santa Croce Camerina conduce a Punta Secca. Guardando quelle immagini gli investigatori scrivono: «Si nota transitare l’autovettura riconducibile alla Volkswagen Polo della Panarello che, proseguendo per quella strada comunale, a distanza di qualche minuto, arriverà a completare il curvone sulla sinistra, scomparendo dal campo visivo della telecamera». «Va fatto rilevare – annotano polizia e carabinieri – che a circa 50 metri dal termine del sopracitato curvone, vi è l’ingresso della strada poderale che conduce al Mulino Vecchio». Nessuna telecamera vede la Polo prendere quella strada. Ma c’è un’ultima immagine, registrata dal sistema di un’azienda privata che si trova proprio sulla strada del Mulino Vecchio: l’orario è compatibile e vi si vede «un’autovettura di colore scuro che, senza minimamente rallentare la marcia, prosegue in direzione della strada» che si inoltra nella campagna.

Poche ore più tardi, proprio al Mulino Vecchio, in un canale nascosto da un canneto sarà ritrovato il corpo senza vita di Loris Andrea Stival, il figlio di Veronica. Aveva 8 anni ed è stato strangolato e buttato laggiù.
La svolta arriva alle nove e mezzo di ieri sera. Poco prima l’ennesimo vertice in Procura e le conclusioni di sette giorni di inchiesta raccolte in una informativa firmata da polizia e carabinieri. Sono pagine che accusano lei, Veronica. Ci sono i filmati che raccontano un’altra verità. E dicono, per esempio, che la macchina di Veronica, quella mattina, non è mai passata davanti alla scuola del bimbo. Lei giura da sette giorni di averlo portato vicino all’ingresso dell’istituto. E invece gli occhi elettronici della zona rivelano che lei da quelle parti non è passata affatto nei minuti in cui dice di averlo fatto.

La storia raccontata dall’informativa comincia alle 8.32 quando si vede lei con i due bambini uscire di casa. Loris a un certo punto rientra, la madre riparte da sola con l’altro figlio in direzione della ludoteca e poi torna indietro. Neppure si avvicina al plesso scolastico del primogenito. E alle 8.49 rientra a casa. Trascorrono 36 minuti, e alle 9.25 circa esce di nuovo. Dopo due minuti, un lasso di tempo compatibile con il tratto di strada da percorrere, la sua auto viene ripresa a una cinquantina di metri dal viottolo del mulino. Eppure la sua direzione era un’altra, il castello di Donnafugata dove poi in effetti partecipa a un corso di cucina.

Una testimone fissa il suo ingresso nella sala alle 9.55. Avrebbe impiegato quindi 30 minuti. Per un simile tragitto ne servirebbero tra i 15 e i 20, ad un’andatura normale, come hanno verificato gli stessi investigatori: «È possibile fare qualsiasi cosa in un lasso di tempo così piccolo? E come si calcolano tutte le variabili di un qualsiasi percorso in auto?», ribatte l’avvocato della donna, Francesco Villardita, che a proposito dei video che smentirebbero la sua assistita ha sempre detto che «prima di parlarne bisognerebbe almeno averli visti». E al momento li hanno visti solo gli inquirenti.

Ieri, inoltre, si è appreso che Loris sarebbe stato ancora vivo quando è stato gettato nel canalone: «Gli accertamenti ci suggeriscono che probabilmente non era clinicamente morto» ha rivelato al Corriere una fonte investigativa qualificata. Infine, l’arma del delitto, forse individuata. Si tratta di una fascetta di plastica. Potrebbe essere compatibile con i segni rinvenuti sul collo del bambino. E altri segni, ai polsi di Loris, sono emersi dagli esami medico-legali: non è escluso siano stati procurati da fascette simili a quella utilizzata per strangolarlo. Stringhe di questo tipo erano a casa di Loris. È stata sua madre a tirarle fuori e a consegnarle alle maestre che, lunedì, erano andate a trovarla per porgere le condoglianze.

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