Omicidio Meredith. Sollecito in aula: «Resto in Italia»

sollecitoda Corriere.it

Lo aveva annunciato alla vigilia del processo Raffaele Sollecito: «Sarò in aula». Poi dopo aver ascoltato la requisitoria del pg Alessandro Crini, che chiedeva la condanna a 26 anni di reclusione per lui e 30 per Amanda Knox per l’omicidio di Meredith Kercher, era ritornato nell’ombra. C’era chi diceva che fosse ritornato ai Caraibi, dove aveva trascorso l’estate, chi lo voleva in Italia. A sorpresa, oggi, Raffaele capelli lunghi e sguardo basso, varca nuovamente il portone del Palagiustizia. Al suo fianco, il padre, che non lo ha mai abbandonato nel corso di questi anni. Nell’aula 32, tocca al suo difensore, l’avvocato Giulia Bongiorno prendere la parola.

«RESTO IN ITALIA» – «Resto in Italia» ha ribadito in una pausa del processo d’appello bis per l’omicidio della studentessa inglese uccisa il 1 novembre 2007 in un appartamento di Perugia. E lo ha confermato anche al termine dell’udienza fiume che si è conclusa solo nel tardo pomeriggio. Ci sarà alla lettura della sentenza che è prevista per il 30 gennaio, nel tardo pomeriggio.

«IL MISTERO DEL PROCESSO» – «Amanda e Raffaele sono i colpevoli ideali per l’omicidio di Meredith Kercher, ma non esistono elementi a loro carico. Il movente? I giudici hanno scelto quello che faceva meno paura a Perugia». È l’esordio dell’avvocato Giulia Bongiorno (ha intitolato la sua arringa «Il mistero del processo»). Parla piano, sfogliando le pagine dei suoi appunti raccolti in quattro faldoni. «Amanda illumina di indizi Raffaele Sollecito – incalza il legale – ma non dobbiamo dimenticare la sentenza della Cassazione, che per quanto ricca di errori ha un merito. Nella penultima pagina lancia un monito: non bisogna pensare che ogni elemento a carico di Amanda possa essere addebitato anche a Raffaele». «I due ragazzi – sottolinea Bongiorno – in realtà hanno condiviso solo una tenera storia d’amore durata 9 giorni e mezzo e non una storia alla nove settimane e mezzo».

LA DIFESA DI SOLLECITO – Non tralascia nulla l’avvocato Bongiorno. Esamina ogni elemento analizzato finora dal pg Alessandro Crini e dai difensori della famiglia della studentessa inglese. Apre i faldoni, lancia un’occhiata agli appunti e mostra ai giudici foto e risultati delle indagini che si succedono sullo schermo allestito nell’aula 32 (cinquanta schede in tutto). «Raffaele è finito in carcere per una impronta che non era sua. Bastava mettere a confronto le tracce di scarpe sporche di sangue lasciate nell’appartamento di via della Pergola per escludere la sua responsabilità». E aggiunge: «Anche nella confessione di Amanda, Raffaele non compare mai- ribadisce il difensore – Nel famoso memoriale della ragazza americana, parla sempre in prima persona singolare. Fa riferimento alla presenza di Lumumba nell’appartamento, mai di Raffaele».

IL MOVENTE – «Perugia ha paura dell’idea dello straniero che si intrufola in casa di studentesse», prosegue l’avvocato Bongiorno. Per questo, secondo il legale, gli inquirenti si innamorano della idea che siano stati Amanda e Raffaele a uccidere Meredith. «Peccato che nell’appartamento di via della Pergola spunti la traccia di Rudy Guede. Rudy vive di espedienti, ruba, molesta le ragazze. È allora, anziché dimenticare il primo amore, gli investigatori tentano di provare che Rudy conosca Amanda e Raffaele. Inutile dire che, a mio parere, quella conoscenza tra i tre non sia stata mai provata».

IL FESTINO EROTICO – «È difficile che Amanda, Raffaele e Meredith abbiano deciso di organizzare un gioco erotico con Rudy. E non per il colore della pelle ma perché il ragazzo non era gradito, non se lo filavano. E poi Amanda e Raffaele si erano messi insieme da qualche giorno facevano yunka yunka (il bacio all’esquimese) e non il bunga bunga. Non potevano certo pensare di dedicarsi a pratiche ricercate da coppie di cinquantenni stanchi della routine. Questo movente è privo di ancoraggio anche per il pg Crini, secondo il quale furono tensioni relative alle gestioni della casa a far scattare l’aggressione”. Ma anche questa ipotesi per Bongiorno, non è convincente.

LE IMMAGINI – Si succedono sullo schermo filmati e diapositive mentre l’avvocato Bongiorno prosegue la sua arringa. L’immagine si ferma sul reggiseno di Meredith ritrovato nell’appartamento di via della Pergola durante il secondo sopralluogo, che fu eseguito dalla polizia il 18 dicembre 2007, a distanza di quarantacinque giorni dal primo. C’è una traccia di Raffaele sul gancetto di quel reggiseno. «Ma il Dna – afferma Bongiorno -può essere prova certa a condizione che il sopralluogo degli agenti sia precoce, unico e preciso. La scena del delitto non deve essere alterata e inquinata. Invece, l’appartamento fu visitato dalla polizia per due volte a distanza di settimane. Nel mezzo, ci fu un viavai peraltro legittimo, di agenti che dovevano prendere ora un pc ora degli abiti». Le immagini che scorrono sullo schermo mostrano venti, trenta agenti che si muovono nella stanza della studentessa inglese. Vengono messe a confronto le foto del primo sopralluogo, in cui la casa è in ordine con quelle scattate il 18 dicembre, quando abiti e buste sono accumulate sul letto di Meredith e sulla sua scrivania. «Il gancetto – prosegue Bongiorno – fu trovato a distanza di un metro e mezzo dal reggiseno di Meredith. Qualcuno, involontariamente, lo pestò, trascinandolo sul pavimento. È lecito chiedersi se il profilo del dna di Raffaele su quell’indumento sia veramente leggibile?». Eppoi: «su quel gancetto non fu eseguito alcun accertamento sulla natura della traccia. I periti furono chiari al riguardo: non è sangue ma non si è mai accertato se sia saliva o altro»

LA SCENA DEL DELITTO – «È pacifico che la scena del delitto sia la stanza di Meredith. Il movente ipotizzato dall’accusa: il festino erotico finito male o, come elegantemente supposto dal pg Crini, il litigio per questioni di convivenza degenerato in un’aggressione”. Sfilano le foto di quella maledetta camera da letto sullo schermo mentre l’avvocato Bongiorno prosegue l’analisi di ogni elemento delle indagini. «In quella stanza, ci sono solo tracce di Rudy Guede: sul reggiseno, sulla borsa, sulla felpa della povera ragazza. Eppoi l’impronta della scarpa sporca di sangue sul pavimento accanto al cadavere. Nessuna traccia di Amanda, nessuna di Raffaele, se non quella, peraltro rilevata in maniera approssimativa, sul gancetto del reggiseno». Niente lascerebbe supporre la presenza di Amanda e Raffaele, secondo la difesa. «Eppure in una delle tante sentenze i giudici ritengono che i due ragazzi abbiano avuto il tempo di pulire la stanza e fatto sparire in maniera selettiva sangue ed impronte. Se così fosse, – ipotizza per assurdo il difensore – il metodo di pulizia andrebbe brevettato».

LA CONCLUSIONE DELL’ARRINGA – Ancora foto, ancora filmati. Scorrono sullo schermo le immagini: la casa di via della Pergola, la facciata con le sbarre alle finestre che sembrano un facile appiglio per i malintenzionati. È un’altra carta che si gioca la difesa in un processo puramente indiziario. Nessuna prova è schiacciante per Amanda Knox e Raffaele Sollecito, accusati di omicidio. «E’ Rudy Guede a introdursi nell’abitazione ancora vuota, intorno alle 20 – spiega l’avvocato Bongiorno – E’ sempre lì quando Meredith rientra. Non scappa, ma decide di aggredire Meredith. Tutto avviene nell’arco di un’ora, tra le 21 e le 22. Intanto Raffaele è a casa davanti al pc, guarda un cartone animato». Nell’aula, cala il silenzio. «Meredith è stata uccisa da una sola persona, che è stata già condannata: Rudy Guede. Amanda e Raffaele sono innocenti». L’arringa sembra terminata, in realtà l’avvocato si concede solo una pausa prima dell’ultimo affondo:«Un’ultima preghiera: considerate Raffaele per quello che è, non per i mezzi indizi proposti in questo processo, né per la sua storia con Amanda».

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