Stalker scarcerati per decreto I magistrati: modificare il testo

stalkingda corriere.it

Palazzo di giustizia di Milano, due giorni fa. Il giudice dell’udienza preliminare ha davanti un imputato che ha deciso di condannare a due anni e otto mesi di reclusione per aver «commesso atti di violenza fisica e psicologica in modo continuativo e abituale» contro sua moglie e sua figlia. Fino a qualche giorno fa avrebbe potuto mandarlo in carcere. Adesso, con il nuovo decreto per il risarcimento dei detenuti (operativo dal 28 giugno), non può più farlo. Perché, dice la modifica dell’articolo 275: «Non può applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva da eseguire non sarà superiore a tre anni». Esattamente come in questo caso. «Facciamo così», propone il giudice all’imputato. «Io le revoco la misura ma lei non si avvicina più a casa di sua moglie». Risposta: «E come faccio? Io non saprei dove altro andare». Un bel problema, in effetti. Risultato: si cercherà una comunità che possa accoglierlo per scontare la pena. E se per caso il condannato non seguirà le indicazioni del giudice o se tenterà di tornare da sua moglie, si riproporrà tutto daccapo. Perché nemmeno in quella circostanza sarà possibile arrestarlo.
«Io sono preoccupata» dice senza girare troppo attorno al problema la vicepresidente della casa delle donne maltrattate di Milano, l’avvocatessa penalista Francesca Garisto. Non è la sola. Esprime le perplessità di tutti i centri di aiuto per le donne che subiscono violenza. «Mi chiedo: quanto influirà questa modifica sui casi di stalking e di maltrattamento in famiglia che prevedono spesso pene attorno ai tre anni? Almeno prima il carcere era previsto per i più pericolosi. E paradossalmente credo che non gioverà nemmeno agli stalker, perché c’è il concreto rischio che proprio per tutelare la persona offesa i giudici possano essere indotti a decidere pene più alte di quelle che avrebbero deciso prima di questo decreto».
Come se ne esce? Il presidente dell’Associazione nazionale dei magistrati, Rodolfo Sabelli, annuncia che «sappiamo già come fare e stiamo preparando una proposta per la prossima audizione in Commissione Giustizia». Un parere che metta a fuoco tutte le «criticità», per dirla con le sue parole, di questo nuovo provvedimento ritenuto però «non difficile da correggere». Per riaggiustare il tiro basterebbe in sostanza, che nel convertirlo in legge, si escludesse di applicarlo per alcuni reati. «Adesso si parla semplicemente di divieto della custodia cautelare in carcere» dice Sabelli. «Chiederemo alla Commissione che il divieto non sia applicabile per reati come lo stalking aggravato, furti in abitazione, maltrattamenti, rapina aggravata».
Intanto, nei 60 giorni che dividono il decreto dalla sua conversione in legge, si prevede la corsa all’applicazione. A Milano, per esempio, si stanno valutando le posizioni di una sessantina di detenuti, e le richieste stanno arrivando a decine da ogni sede giudiziaria. «Secondo me questo decreto contiene principi che vanno visti con favore se si pensa che disciplinano la privazione della libertà delle persone», dice il professor Franco Coppi, uno dei più grandi penalisti d’Italia. «Certo – aggiunge – capisco i timori per i reati che riguardo le violenze sulle donne e penso che tutto sia perfettibile. Bisognerà vedere quale applicazione ne faranno i giudici sul terreno concreto prima di dire se funziona oppure no. Perché la norma è molto legata alla discrezionalità dei giudici». E infatti dice: niente carcere «se il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva da eseguire non sarà superiore ai tre anni». La questione, e in particolare i rischi legati alla non-carcerazione degli stalker, è stata posta informalmente dagli stessi magistrati al ministro della Giustizia Andrea Orlando. È successo a Milano a margine di una riunione tecnica convocata due giorni fa nell’ufficio del presidente del Palazzo di Giustizia Livia Pomodoro. I giudici hanno espresso al ministro «preoccupazione» mentre il presidente della sezione «misure di prevenzione», Fabio Roia, e il presidente della V sezione penale, Annamaria Gatto, gli hanno chiesto di abolire la norma sott’accusa. Secondo Roia il decreto appena approvato «segna un particolare punto di arresto nella tutela delle donne vittime di violenza».
Vista dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), la norma in questione può servire come argine contro il sovraffollamento delle celle. «Nel giro di un anno siamo riusciti a passare da 66 mila detenuti a 57.930 e credo che questo decreto ci aiuterà a scendere ulteriormente» dice il vicecapo vicario Luigi Pagano. «Il problema è che finora si è sempre parlato di carcere e invece dobbiamo provare a guardare, come in questo caso, all’esecuzione penale esterna al carcere. Non si tratta di numeri di detenuti, ma di una scelta di fondo».

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