Caso Cucchi: condannati i medici, assolti gli infermieri e i poliziotti

cucchida Corriere.it

Condannati i medici, assolti gli infermieri e gli agenti della penitenziaria. La sentenza che chiude il processo per la morte di Stefano Cucchi, il geometra di 31 anni arrestato per droga il 16 ottobre 2009 e morto di fame e sete sei giorni dopo al Pertini, viene accolta da fischi e cori di protesta: «Assassini, assassini, assassini. Questa non è giustizia!». Piange Ilaria, che fin dal primo giorno si è battuta perché venissero individuati i responsabili della tragedia di suo fratello. Per i familiari e gli amici del geometra è uno choc, perché dopo oltre sette ore di camera di consiglio restano impigliati nel processo solo i medici accusati di aver abbandonato il giovane. E il verdetto della terza corte d’assise di Roma, peraltro, è mite se confrontato con le richieste della procura, che aveva proposto pene più che triplicate: due anni per il primario Aldo Fierro; un anno e quattro mesi per Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis e Silvia Di Carlo, otto mesi per Rosita Caponetti. Quest’ultima viene condannata pr falso ideologico, i primi cinque per omicidio colposo (oltre a un risarcimento complessivo di 320 mila euro) e non per abbandono di incapace, reato ben più grave prospettato dall’accusa. E le pene, comunque, sono sospese.

«IL PERDONO MAI» – Nell’aula bunker del carcere di Rebibbia folla e confusione. «Io non mi arrendo – promette Ilaria -. Questa giustizia è ingiusta, mio fratello è stato massacrato. Non potrò mai perdonare coloro che me lo hanno portato via pensando che noi lo avessimo abbandonato. E oggi hanno calpestato Stefano e la verità». «Me l’hanno ucciso un’altra volta, ma noi andremo avanti», aggiunge la madre, Rita Calore. E il padre Giovanni: «È una sentenza inaccettabile, proseguiremo». Per il loro avvocato, Fabio Anselmo, «questo è un fallimento dello Stato». Il legale ricorda la battaglia condotta invano fin dalle prime battute dell’inchiesta: secondo la famiglia, gli agenti della penitenziaria avrebbero dovuto essere accusati di omicidio preterintenzionale, e non di lesioni «perché senza quel pestaggio Stefano non sarebbe morto».

DELUSIONE IN PROCURA -Il pm Francesca Loy, che ha sostenuto l’accusa insieme al collega Vincenzo Barba, non nasconde di essere «delusa». Anche se, precisa, «la corte ha accolto la nostra tesi, cioè che la responsabilità principale è stata dei medici». Certo, prosegue il pm, «per noi è provata anche la responsabilità degli agenti penitenziari: leggeremo le motivazioni e decideremo se fare appello». L’eventualità del processo di secondo grado non è esclusa nemmeno dagli avvocati, né da quelli della difesa, né dal legale della famiglia. Intanto però per gli imputati assolti è il momento di festeggiare: «È la fine di un incubo – sottolinea il poliziotto Nicola Minichini -. La giustizia ha trionfato». Esulta anche l’infermiere Giuseppe Flauto: «Per fortuna è emersa la verità che ha alleviato una sofferenza di quattro anni». Il difensore di Fierro, l’avvocato Gaetano Scalise, si dichiara «moderatamente soddisfatto: rispetto all’imputazione originaria la decisione della corte è in linea con le acquisizioni dibattimentali»

«ILARIA NON SEI SOLA» – Quando i Cucchi hanno lasciato l’aula bunker di Rebibbia sono stati accolti dagli applausi di circa 30 manifestanti che fin dal mattino hanno atteso la sentenza e affisso all’ingresso dei carcere striscioni come «Solidarietà a tutte le vittime della tortura e del carcere» e «Ilaria siamo tutti con te. Non ti lasciamo sola». In testa al gruppo alcuni politici, Giovanni Russo Spena (Rifondazione), Gianluca Peciola (Sel), Mario Staderini (Radicali) e Sandro Medici (presidente del X Municipio di Roma ed ex candidato sindaco della Capitale). Per testimoniare la propria solidarietà alla famiglia Cucchi sono arrivati a Roma anche i protagonisti di vicende analoghe: Lucia Uva, sorella di Giuseppe, morto nel giugno 2008 all’ospedale di Varese dopo essere stato fermato dai carabinieri; Domenica Ferrulli, figlia di Michele, morto a 51 anni nel giugno 2011 a Milano per arresto cardiaco mentre alcuni agenti lo stavano arrestando; Claudia Budroni, sorella di Dino, ucciso a Roma nel luglio 2011 da un colpo di pistola durante un inseguimento con la polizia sul raccordo anulare; Grazia Serra, nipote di Francesco Mastrogiovanni, morto nell’agosto 2009 dopo essere rimasto per 82 ore legato mani e piedi a un letto di contenzione in un ospedale psichiatrico lucano.