Franceschi morto in carcere A processo medico e due infermieri

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Sono passati tre anni da quella morte terribile e misteriosa e durante tutto questo tempo una madre ha lottato con la forza della disperazione, rischiando anche d’essere incarcerata in Francia, per conoscere la verità sulla fine del figlio Daniele Franceschi, 36 anni, carpentiere, padre di una bambina piccola. Adesso tre persone sono state rinviate a giudizio insieme ai vertici amministrativi dell’ospedale francese di Grasse.

INDAGINI – L’accusa è «homicide involontaire», che equivale all’omicidio colposo in Italia, un reato che prevede nel codice francese pene sino a cinque anni di reclusione. Gli incriminati sono il medico del carcere di Grasse (dove Daniele era detenuto perché sorpreso con una carta di credito non valida) Jean Paul Estrade e due infermiere François Boselli e Stephanie Colonna. Ma a livello civile è stato rinviato a giudizio anche tutto il vertice amministrativo dell’ospedale civile di Grasse dove il giovane doveva essere trasportato e ricoverato.

LE PROVE – La svolta nelle indagini, secondo quanto ha dichiarato al Corriere l’avvocato francese Luc Febbraro, si è avuto quando il procedimento penale è stato affidata al giudice Christoph Morgan. Schiaccianti sarebbero le prove contro il medico e i due infermieri di turno il 25 agosto del 2010 quando Daniele accusò l’ultima crisi è morì in cella senza alcun soccorso. Cira Antignano, la mamma coraggio di Daniele (si è incatenata davanti all’Eliseo per chiedere giustizia e ha scritto a Carla Bruni che le ha risposto garantendo il suo impegno) è convinta però che la fine di suo figlio non sia attribuibile solo all’incuria e alla negligenza di un giorno. La signora Cira parla di un diario del figlio con le pagine strappate dove probabilmente erano state annotate le angherie subite e di una lettera scritta poche ore prima della morte da Daniele e nascosta tra le pieghe di un maglione di lana. Nell’ultima missiva, datata 25 agosto 2010, Franceschi scrive alla madre di sentirsi male e di aver deciso di rinunciare al lavoro in carcere anche se, come gli ha detto la psicologa, gli costerà molto.

IL PROCESSO – Intanto da Viareggio si aspetta la data del processo. «Il dibattimento si svolgerà al Tribunale correzionale di Grasse – spiega l’avvocato Aldo Lasagna – che equivale ad una sorta di nostro tribunale collegiale».

Caso Cucchi: condannati i medici, assolti gli infermieri e i poliziotti

cucchida Corriere.it

Condannati i medici, assolti gli infermieri e gli agenti della penitenziaria. La sentenza che chiude il processo per la morte di Stefano Cucchi, il geometra di 31 anni arrestato per droga il 16 ottobre 2009 e morto di fame e sete sei giorni dopo al Pertini, viene accolta da fischi e cori di protesta: «Assassini, assassini, assassini. Questa non è giustizia!». Piange Ilaria, che fin dal primo giorno si è battuta perché venissero individuati i responsabili della tragedia di suo fratello. Per i familiari e gli amici del geometra è uno choc, perché dopo oltre sette ore di camera di consiglio restano impigliati nel processo solo i medici accusati di aver abbandonato il giovane. E il verdetto della terza corte d’assise di Roma, peraltro, è mite se confrontato con le richieste della procura, che aveva proposto pene più che triplicate: due anni per il primario Aldo Fierro; un anno e quattro mesi per Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis e Silvia Di Carlo, otto mesi per Rosita Caponetti. Quest’ultima viene condannata pr falso ideologico, i primi cinque per omicidio colposo (oltre a un risarcimento complessivo di 320 mila euro) e non per abbandono di incapace, reato ben più grave prospettato dall’accusa. E le pene, comunque, sono sospese.

«IL PERDONO MAI» – Nell’aula bunker del carcere di Rebibbia folla e confusione. «Io non mi arrendo – promette Ilaria -. Questa giustizia è ingiusta, mio fratello è stato massacrato. Non potrò mai perdonare coloro che me lo hanno portato via pensando che noi lo avessimo abbandonato. E oggi hanno calpestato Stefano e la verità». «Me l’hanno ucciso un’altra volta, ma noi andremo avanti», aggiunge la madre, Rita Calore. E il padre Giovanni: «È una sentenza inaccettabile, proseguiremo». Per il loro avvocato, Fabio Anselmo, «questo è un fallimento dello Stato». Il legale ricorda la battaglia condotta invano fin dalle prime battute dell’inchiesta: secondo la famiglia, gli agenti della penitenziaria avrebbero dovuto essere accusati di omicidio preterintenzionale, e non di lesioni «perché senza quel pestaggio Stefano non sarebbe morto».

DELUSIONE IN PROCURA -Il pm Francesca Loy, che ha sostenuto l’accusa insieme al collega Vincenzo Barba, non nasconde di essere «delusa». Anche se, precisa, «la corte ha accolto la nostra tesi, cioè che la responsabilità principale è stata dei medici». Certo, prosegue il pm, «per noi è provata anche la responsabilità degli agenti penitenziari: leggeremo le motivazioni e decideremo se fare appello». L’eventualità del processo di secondo grado non è esclusa nemmeno dagli avvocati, né da quelli della difesa, né dal legale della famiglia. Intanto però per gli imputati assolti è il momento di festeggiare: «È la fine di un incubo – sottolinea il poliziotto Nicola Minichini -. La giustizia ha trionfato». Esulta anche l’infermiere Giuseppe Flauto: «Per fortuna è emersa la verità che ha alleviato una sofferenza di quattro anni». Il difensore di Fierro, l’avvocato Gaetano Scalise, si dichiara «moderatamente soddisfatto: rispetto all’imputazione originaria la decisione della corte è in linea con le acquisizioni dibattimentali»

«ILARIA NON SEI SOLA» – Quando i Cucchi hanno lasciato l’aula bunker di Rebibbia sono stati accolti dagli applausi di circa 30 manifestanti che fin dal mattino hanno atteso la sentenza e affisso all’ingresso dei carcere striscioni come «Solidarietà a tutte le vittime della tortura e del carcere» e «Ilaria siamo tutti con te. Non ti lasciamo sola». In testa al gruppo alcuni politici, Giovanni Russo Spena (Rifondazione), Gianluca Peciola (Sel), Mario Staderini (Radicali) e Sandro Medici (presidente del X Municipio di Roma ed ex candidato sindaco della Capitale). Per testimoniare la propria solidarietà alla famiglia Cucchi sono arrivati a Roma anche i protagonisti di vicende analoghe: Lucia Uva, sorella di Giuseppe, morto nel giugno 2008 all’ospedale di Varese dopo essere stato fermato dai carabinieri; Domenica Ferrulli, figlia di Michele, morto a 51 anni nel giugno 2011 a Milano per arresto cardiaco mentre alcuni agenti lo stavano arrestando; Claudia Budroni, sorella di Dino, ucciso a Roma nel luglio 2011 da un colpo di pistola durante un inseguimento con la polizia sul raccordo anulare; Grazia Serra, nipote di Francesco Mastrogiovanni, morto nell’agosto 2009 dopo essere rimasto per 82 ore legato mani e piedi a un letto di contenzione in un ospedale psichiatrico lucano.

Cucchi: medici causarono morte

da Ansa.it

“I medici del reparto di medicina protetta dell’ospedale Pertini, non trattando il paziente in maniera adeguata, ne hanno determinato il decesso”. Lo si legge nella perizi dei tecnici incaricati dalla corte di accertare le cause della morte di Stefano Cucchi.

ROMA – Stefano Cucchi morì per grave carenza di cibo e liquidi. Questa la conclusione dei periti incaricati dalla III Corte d’assise di Roma di accertare le cause della morte del geometra, morto una settimana dopo il suo arresto nel reparto detenuti dell’ospedale Pertini.

PERIZIA, LESIONI PER CADUTA O AGGRESSIONE –  “Il quadro traumatico osservato si accorda sia con un’aggressione, sia con una caduta accidentale, né vi sono elementi che facciano propendere per l’una piuttosto che per l’altra dinamica lesiva”. Lo scrivono i periti nelle conclusioni dei loro accertamenti sulla causa della morte di Stefano Cucchi