Cucchi, l’avvocato testimone «Stefano fu pestato prima dell’udienza»

StefanoCucchi_01di Il Messaggero.it

«La morte di Stefano Cucchi è la conseguenza del pestaggio che ha subito. È morto di tortura per le lesioni che gli sono state inflitte. Dire che non è morto per lesioni è ipocrita».

A prendere la parola oggi al processo d’Appello è stato l’avvocato Fabio Anselmo che si è costituito nel giudizio per conto dei famigliari della vittima. Questa costituzione però riguarda solo i tre agenti carcerari che in primo grado furono mandati assolti e che ora, secondo quanto richiede il procuratore generale, rischiano la condanna a due anni di reclusione.

Secondo il penalista non c’è alcun dubbio che Cucchi sia stato vittima di un pestaggio e a poter fornire gli elementi per confermare questo l’avvocato Anselmo ha indicato un collega che vide davanti all’aula dove fu convalidato l’arresto di Stefano un giovane in precarie condizioni tanto da ritenere che poteva essere stato percosso. Si tratta dell’avvocato Maria Tiso che al termine del giudizio di primo grado inviò una lettera all’avvocato Anselmo tramite i famigliari di Cucchi per confermare quanto aveva veduto. L’avvocato Anselmo ha chiesto oggi alla Corte sia di acquisire la lettera in questione sia di ascoltare l’avvocato Tiso.

L’avvocato vide Stefano arrivare in aula in stato di arresto, scortato. «Di corporatura esile – si legge nella lettera – aveva il volto, ed in particolare gli occhi, estremamente arrossato e gonfio, come recante delle tumefazioni. Era come se sotto gli occhi avesse quelle che in gergo comune sono individuate come borse gonfie e di un colore tendente al violaceo. Aveva un’aria di sicuro molto provata. Mentre si dirigeva abbastanza lentamente verso l’aula di udienza, mostrava difficoltà nel camminare; appariva come irrigidito nella coordinazione della deambulazione e se non ricordo male, non sollevava del tutto i piedi da terra ma sembrava trascinarli in avanti ad ogni passo».

I segni, questi, del pestaggio che, secondo la parte civile, sarebbe avvenuto prima dell’udienza di convalida dell’arresto di Stefano Cucchi. Circostanza cronologicamente diversa da quella indicata dal Pg Mario Remus, il quale la scorsa udienza, sposando la tesi del pestaggio, l’ha indicato come avvenuto dopo l’udienza di convalida dell’arresto.

Dubai, la polizia «cattura» i criminali con uno sguardo (e i Google Glass)

cosa-sono-google-glassdi Corriere della Sera

Un po’ Robocop un po’ Minority Report: dal prossimo anno gli agenti potranno contare, non solo sulle auto superveloci già in dotazione, ma anche sugli occhiali «intelligenti»

Non solo superveloci (grazie alle supercar da oltre 6 milioni di dollari che hanno in dotazione), ma anche «smart». Merito dei Google Glass che, a partire dall’inizio dell’anno prossimo, permetteranno ai poliziotti di Dubai di riconoscere un delinquente al primo sguardo. In realtà, quattro di questi dispositivi sono attualmente già a disposizione degli agenti ed usati per le infrazioni stradali e l’identificazione delle auto ricercate, ma le nuove dotazioni verranno implementate con la tecnologia per il riconoscimento facciale che, collegandosi al database della Polizia, permetterà all’agente di beccare all’istante il possibile sospetto mediante controllo fotografico.

Questioni di privacy

Iniziativa più che lodevole nell’ambito della lotta alla criminalità, se non fosse che – almeno in teoria – chiunque nelle vicinanze di un poliziotto potrebbe dunque essere soggetto ad un controllo e non avere idea che gli è stata scattata una foto o che la sua faccia venga in quel momento controllata in un elenco criminale. Ovvero, tutto quello che l’anno scorso la casa madre di Mountain View aveva assicurato non avrebbe mai permesso accadesse coi Google Glass per motivi di privacy. Peccato però che la stessa dichiarazione d’intenti non precluda agli sviluppatori di creare un’applicazione per conto proprio e caricarla poi sul dispositivo. Che è esattamente quello che la polizia di Dubai ha fatto, come ha precisato al giornale locale «7 Days» il Colonnello Khalid Nasser Al Razooqi, direttore generale dello «Smart Service Department», la divisione nata con l’intento di trasformare gli agenti dell’Emirato in veri e propri «smart officers» a metà strada fra Robocop e Minority Report entro il 2018. «Il software di riconoscimento facciale è stato sviluppato internamente – si legge infatti nell’articolo – e consentirà ai Google Glass di collegarsi al database delle persone ricercate e di riconoscere l’eventuale sospetto tramite foto, allertando così immediatamente l’agente che indossa il dispositivo». Ma in rete già ci s’interroga sulle inevitabili ripercussioni che tale progetto avrà sulla privacy, sottolineando al contempo quanto sia facile andar contro le direttive di Google: un precedente pericoloso, con non può non far riflettere.

Sicurezza, pistola elettrica Taser alla polizia, primo sì in Commissione

police taserdi Il Messaggero.it

Sì all’utilizzo in via sperimentale da parte della Polizia alla pistola elettrica Taser. È quanto prevede un emendamento di Gregorio Fontana (Fi) al decreto stadi approvato dalle commissioni Giustizia e affari costituzionali della Camera. La parola è ora all’Aula.

L’emendamento è stato approvato dopo che il viceministro Filippo Bubbico, ne ha proposto una riformulazione. Questa prevede che la sperimentazione della pistola Taser debba avvenire «con le necessarie cautele per la salute e l’incolumità pubblica e secondo principi di precauzione e previa intesa con il Ministro della salute».

Contraria Sel, con Daniele Farina, mentre Emanuele Cozzolino (M5s) ha detto che questo emendamento non sarebbe dovuto essere discusso in questo decreto. Soddisfazione da parte del promotore dell’emendamento, Gregorio Fontana: «È stato fatto un primo passo vero l’introduzione del Taser come strumento in dotazione alle Forze dell’Ordine. C’è da augurarsi che la condizione posta dalla riformulazione dell’emendamento non si trasformi in una manovra ostativa, verso un’operazione di ammodernamento tecnologico, di estrema utilità per gli operatori della sicurezza e per tutti i cittadini.

La pistola elettrica Taser, come è noto, è un’arma di dissuasione non letale: essa produce una scarica elettrica che rende la persona colpita inoffensiva per alcuni secondi, sufficienti alle forze dell’ordine per arrestarla. Il suo utilizzo, pertanto, contribuisce sia a ridurre i rischi per l’incolumità personale degli agenti sia a ridimensionare drasticamente il numero delle vittime nelle operazioni di pubblica sicurezza, come dimostra l’esperienza di molti Paesi avanzati, tra cui gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia e la Svizzera».

Il parere del cardiologo. «La pistola elettrica Taser provoca un danno muscolare e potrebbe quindi, teoricamente, causare un danno anche al muscolo cardiaco. Inoltre potrebbe interferire con alcuni dispositivi medici, tipo il pace maker». È quanto afferma all’Adnkronos Salute Francesco Romeo, direttore del reparto di Cardiologia del Policlinico Tor Vergata di Roma, dopo l’approvazione dell’emendamento al decreto stadi che consente agli agenti di polizia di usare il Taser. I Taser sono in dotazione a molte polizie del mondo (Stati Uniti in testa) ma sono spesso oggetto di critiche in quanto immobilizzano il soggetto grazie a una scarica elettrica. «Il campo elettrico che si viene a creare – spiega Romeo – potrebbe cambiare l’impostazione di alcuni dispositivi, come appunto i pace maker. Bisogna quindi stare attenti all’utilizzo di questa pistola elettrica, perché – conclude l’esperto – potenzialmente pericolosa per la vita».

Pavia, a 18 anni tenuta a digiuno se non spacciava cocaina: arrestati fratello e cognata

spacciodi Il Messaggero.it

Era tenuta segregata in casa, in stato di schiavitù, e costretta a vendere cocaina da suo fratello e dalla cognata: solo dopo aver portato la droga ai clienti della coppia, alla giovane, una marocchina di 18 anni, veniva dato da mangiare. Nel caso si fosse rifiutata, restava a digiuno. Un vero e proprio incubo per una ragazza venuta in Italia con la speranza di costruirsi una vita. Un dramma portato alla luce dai carabinieri della compagnia di Vigevano (Pavia), guidati dal capitano Rocco Papaleo.

Il fratello della ragazza, 26 anni, e sua moglie, 22 anni, anche lei marocchina, dovranno rispondere di percosse, riduzione in schiavitù e detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio. Secondo le indagini condotte dai militari dell’Arma, qualche mese fa i genitori della giovane hanno convinto la figlia a trasferirsi in Italia a casa dal fratello.

La ragazza è andata ad abitare in un appartamento di Mortara, in Lomellina, nel Pavese. Subito dopo essere arrivata, però, ha scoperto che il fratello e la cognata erano gli organizzatori di un vasto giro di spaccio di cocaina nel territorio al confine tra la provincia di Pavia e quella di Novara. La giovane è stata subito costretta a «lavorare» con loro. Ha provato a ribellarsi, ma è stata costretta ad arrendersi con ripetute percosse e minacce. Le veniva dato da mangiare solo dopo aver portato la droga ai clienti, tra i quali figuravano persone di ogni ceto sociale: un commercialista, un’estetista, un operaio, una parrucchiera, la cassiera di un supermercato e anche alcuni studenti. Ogni dose di cocaina veniva venduta al prezzo di 50 euro. La storia è venuta alla luce durante le indagini contro lo spaccio di stupefacenti.

Piacenza, carabiniere muore durante un inseguimento

Carabinieri-autostradadi Repubblica.it

Un carabiniere del Nucleo radiomobile di Piacenza è morto e un commilitone è gravissimo per aver tamponato un Tir durante l’inseguimento di un’Audi, forse rubata, vicino all’ingresso dell’Autostrada A21 a Castelsangiovanni, nel Piacentino. L’auto dell’Arma è rimasta incastrata, attorno alle 12.30, sotto il mezzo pesante.

A perdere la vita è stato un appuntato di 39 anni, Luca Di Pietra. Era arrivato al Nucleo Radiomobile di Piacenza, coronando il suo sogno, appena una decina di giorni fa, dopo una lungo servizio alla Stazione del Comune di Rivergaro, sempre nel Piacentino. Un paio d’anni fa, durante un inseguimento, era riuscito con alcuni commilitoni a arrestare una banda di ladri.

Di Pietra era alla guida della gazzella. Il collega, capopattuglia, invece, è stato portato via in gravissime condizioni in eliambulanza all’ospedale San Raffaele di Milano; si tratta di M.B., di San Giorgio Piacentino, 46 anni.

Non si hanno notizie dell’Audi inseguita, che non si era fermata ad un controllo. L’incidente è avvenuto in una strada laterale nei pressi del casello, in direzione dell’autostrada. Secondo una prima ricostruzione, i due militari questa mattina attorno a mezzogiorno stavano percorrendo una strada comunale che interseca la provinciale tra Castelsangiovanni e Pieve Porto Morone (Pavia). Con la gazzella hanno incrociato l’Audi dell’inseguimento, ancora non si sa con quanti malviventi a bordo. Il guidatore, alla vista dell’auto dei carabinieri, ha accelerato.

I militari hanno invertito la marcia ma poco dopo, nei pressi di curva a destra e durante un sorpasso si sono imbattuti nel Tir che hanno tamponato e che era fermo sul lato sinistro della strada, parcheggiato contro mano. Dell’Audi non risulta alcuna notizia utile a rintracciarla.

Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha espresso profondo cordoglio al comandante generale dell’arma dei carabinieri, Leonardo Gallitelli, per la morte dell’appuntato Luca Di Pietra ed ha inviato un messaggio di speranza di una pronta guarigione per l’appuntato rimasto gravemente ferito. “I carabinieri, ancora una volta – afferma il ministro Alfano – svolgono il loro lavoro mettendo a rischio anche la propria vita. Per questo loro modo di operare, con generosità e passione, li sentiamo particolarmente vicini e ogni dolore che colpisce la famiglia dell’arma, è il nostro”.

Firenze, morto dopo l’arresto: è omicidio colposo

202235397-8b51290c-c6f4-4ec8-8956-88da8ca541b1di TgCOM24

La procura di Firenze ha chiuso le indagini sulla morte di Riccardo Magherini, il 40enne deceduto all’inizio di marzo mentre veniva arrestato dai carabinieri. Restano indagate sette persone: quattro militari e tre operatori del 118. Per tutti l’accusa è di omicidio colposo. In un primo momento, in seguito a una denuncia presentata dai familiari di Magherini, i carabinieri erano accusati di omicidio preterintenzionale.

Le cause del decesso di Magherini, secondo quanto riportato dall’avviso di chiusura indagini (che avrebbe recepito quanto emerso dalla consulenza tecnica) sono l’assunzione massiccia di cocaina e l’asfissia, quest’ultima dovuta anche alle modalità con cui operarono i militari.

Magherini, secondo il documento della procura, venne immobilizzato ed ammanettato in modo imprudente e difforme da una direttiva del Comando generale dell’Arma.

Ai tre operatori del 118 viene invece contestato di non aver valutato correttamente la situazione e di non essere intervenuti per limitare gli effetti dell’asfissia. L’atto di chiusura indagini non contempla invece la posizione di altre quattro persone, chiamate in causa durante l’inchiesta: si tratta di personale sanitario intervenuto con una seconda ambulanza o che era al lavoro alla centrale del 118.

Sfruttava le minorenni, risarcimento e sconto per la cella sovraffollata

di Corriere della Sera

Prima applicazione del decreto legge di giugno. Ad un carcerato albanese condannato a 6 anni, liquidati 4.808 euro: era stato detenuto 701 giorni in meno di 3 metri.

Risarcimento di 4.808 euro per 601 giorni di detenzione in condizioni inumane di sovraffollamento carcerario, e 10 giorni di detrazione della pena sui residui 100 giorni che ancora gli restavano da scontare: è la prima applicazione a Padova del «rimedio compensativo» introdotto dal decreto legge 92 del 26 giugno per placare Strasburgo ed evitare una raffica di condanne dell’Italia da parte della Corte europea dei Diritti dell’uomo, che con le sentenze Sulejmanovic il 16 luglio 2009 e Torregiani l’8 gennaio 2013 aveva indicato in 3 metri quadrati per detenuto lo spazio minimo in cella sotto il quale la detenzione diventa automaticamente «trattamento disumano e degradante», cioè tortura.

Il decreto legge introduce una riduzione di pena di 1 giorno di detenzione per ogni 10 giorni trascorsi in condizioni inumane, oppure il risarcimento di 8 euro al giorno se la detenzione si è già conclusa. Ad oggi, tuttavia, pur a fronte di parecchie migliaia di richieste già formulate dai detenuti in tutta Italia, molti uffici di Sorveglianza o non hanno ancora maturato un orientamento (come Milano e Napoli, che per priorità lavorano intanto sullo smaltimento delle istanze di «liberazioni anticipata» passibili di determinare l’urgente messa in libertà dei detenuti richiedenti); oppure stanno adottando – come a Vercelli – una linea restrittiva che sfocia in molte dichiarazioni di inammissibilità dei ricorsi.

Diversa l’interpretazione a Padova, e in genere nel distretto di Venezia come pure a Genova. Nel caso esaminato dalla giudice di sorveglianza Linda Arata, un carcerato albanese condannato a 6 anni (per associazione a delinquere, prostituzione minorile, violenza privata e falsa testimonianza) lamentava tutta la propria attuale detenzione nella casa di reclusione di Padova. La giudice ha però circoscritto il titolo di risarcimento al periodo in cui si è ricostruito che il detenuto era stato in cella con altre due persone, situazione che faceva scendere lo spazio disponibile pro capite a 2 metri e 85 centimetri: misura nella quale la giudice, in dissenso dal ministero della Giustizia che ora ha fatto reclamo contro l’ordinanza, ha escluso il bagno «in quanto mero vano accessorio della camera detentiva», e «gli arredi inamovibili come l’armadio», conteggiando invece «letto e tavolino e sgabelli in quanto arredi che possono essere spostati».

Con questi paletti sono risultati 701 i giorni trascorsi in cella dal detenuto albanese in condizioni disumane. Dall’esecuzione della pena residua di 100 giorni la giudice gli ha allora detratto 10 giorni (appunto uno ogni dieci), tolti i quali il detenuto è tornato in libertà il 2 settembre. Per gli altri pregressi «601 giorni di detenzione in condizioni di illegalità», la giudice ha «applicato il criterio di liquidazione residuale del risarcimento predeterminato dal legislatore» di 8 euro al giorno, per un totale quindi di 4.808 euro.

Stipati come bestie in auto e camion: in manette 90 trafficanti di esseri umani

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Dal traffico di droga a quello di esseri umani e di armi, dai furti su larga scala alle frodi, al cybercrimine: è «un assalto frontale» e a tutto campo quello sferrato dell’Europa alla criminalità organizzata, con l’operazione Archimede, una nove giorni di attività di polizia (dal 15 al 23 settembre) per un totale di 300 azioni in 260 luoghi tra città, aeroporti, porti, coordinate da Europol in 34 Paesi (i 28 dell’Unione più Australia, Colombia, Norvegia, Serbia e Svizzera), che hanno condotto all’arresto di 1027 persone.

Un risultato «senza precedenti» lo definisce il direttore dell’Agenzia europea Rob Wainwright, una «pietra miliare» nel coordinamento tra le polizie europee per «colpire i grandi gruppi criminali e smantellarne l’insieme delle infrastrutture», puntando a più settori contemporaneamente e in luoghi diversi. Un’azione «fortemente voluta nell’ambito del semestre di presidenza italiana», sottolinea il capo della polizia Alessandro Pansa, che auspica sempre più collaborazione tra le forze di contrasto europee, per affrontare organizzazioni ormai sempre più «transnazionali, dinamiche e flessibili».

Nella nove giorni di azioni coordinate sono stati salvati 30 bambini romeni costretti a mendicare nelle strade dai loro aguzzini, sequestrati 599 chili di cocaina, 200 di eroina, e 1,3 tonnellate di cannabis. Sono state inoltre recuperate 13 auto di lusso rubate che stavano per raggiungere il Tagikistan a bordo di una nave cargo, e sono state identificate nuove rotte e tendenze per i traffici illegali. «Attraverso la lente di questa operazione abbiamo guardato negli occhi lo scenario reale della nuova criminalità», ha spiegato Wainwright. In particolare l’Italia si è occupata di immigrazione irregolare (anche con la collaborazione di Frontex), attività che ha portato all’arresto di 170 «facilitatori» di irregolari, e all’identificazione di 10mila migranti in tutta Europa.

Ma l’attività degli italiani ha riguardato anche la contraffazione di beni, e le frodi intracomunitarie, e sulle accise. E per il semestre Pansa individua anche altre aree di impegno: a partire dai crimini economici, il sequestro dei beni della criminalità organizzata, ed il cybercrimine, oltre al contrasto del terrorismo di matrice religiosa, nei confronti del quale l’Italia, ha assicurato il capo della Polizia, ha rafforzato l’attività di informazione nonostante «non abbiamo informazioni specifiche – ha detto Pansa – che ci possano far temere azioni concrete contro il nostro Paese».

Carabinieri accoltellati, per il clochard accusa di omicidio plurimo

Carabinieri_new1da Il Messaggero

Tentativo di omicidio plurimo è l’accusa ipotizzata dal pubblico ministero Mario Palazzi per il tedesco Klaus Dieter Bogner che ieri ha ferito 4 carabinieri. Il Magistrato ha già chiesto al gip la convalida dell’arresto del tedesco, che si trova ora a Regina Coeli e anche l’emissione di un ordine di custodia cautelare. Per il momento il magistrato ha ricevuto una prima relazione sui fatti accaduti ieri ma ha già disposto una serie di accertamenti per poter meglio inquadrare la figura dell’aggressore e accertare se abbia precedenti o sia già stato segnalato agli organi di polizia.

Gli accertamenti inoltre riguardano da quando è cominciata la sua permanenza in Italia. Sulla base di quanto sarà emerso gli investigatori decideranno se Bogner debba essere sottoposto ad accertamenti da parte di medici psichiatrici. A subire l’aggressione è stato Claudio Rupertà colpito ad un fianco con una coltellata. La ferita subita è profonda e la lama si è fermata a pochi centimetri da un polmone. Rupertà, che ha il grado di tenente colonnello, è ancora in prognosi riservata anche se non è in pericolo di vita. Insieme con l’ufficiale, Bogner ha colpito il maresciallo Pasquale Leone, il vicebrigadiere Ciro Russo e il carabiniere scelto Natale Rutigliano in forza presso la stazione dei carabinieri di Roma Prati.

Nuovo prelievo dna di Alberto Stasi Garlasco, appello bis: settimana chiave

stasida TGCOM24

Settimana cruciale per il caso del delitto di Chiara Poggi, uccisa a Garlasco il 13 agosto 2007 e per cui Alberto Stasi è imputato a Milano nel processo di appello “bis”. Il 30 aprile i giudici hanno riaperto l’istruttoria disponendo nuovi accertamenti. In programma lunedì una riunione per stabilire la rilevanza delle tracce di dna maschile trovate su frammenti di due unghie di Chiara. Prelevato un nuovo campione di dna di Stasi.

Gli esami effettuati infatti, grazie all’utilizzo di una tecnica più raffinata rispetto a quelle usate nel corso delle indagini, hanno portato a individuare tracce di cromosoma Y. Un risultato che potrebbe contribuire a dare una svolta al caso. Per discuterne i periti nominati dalla Corte d’Assise d’appello guidati dal prof. Francesco De Stefano e i consulenti della difesa e della parte civile si incontrano oggi nella sede del dipartimento di Scienza e Salute dell’Università di Genova.

Gli esperti genetisti discuteranno in contraddittorio se le tracce del cromosoma Y maschile individuate sui reperti ungueali della giovane donna sono leggibili e se contengono i marcatori sufficienti per procedere alla eventuale comparazione con il profilo del cromosoma Y di Stasi. Qualora periti e consulenti arrivino a valutare l’esistenza di tutti i parametri necessari, in assenza di opposizioni, già martedì potrebbe arrivare la decisione di effettuare la comparazione. Altrimenti spetterà ai giudici sciogliere il nodo.

Nuovo prelievo dna di Alberto Stasi – Stasi si è quindi sottoposto ad un nuovo prelievo di dna durante la riunione tra periti dei giudici e i consulenti delle parti che si è tenuta a Genova. Il giovane è stato convocato ed ha acconsentito a sottoporsi al tampone salivare in vista della comparazione con le tracce di cromosoma Y trovate sulle unghie di Chiara.

Graffi sulle braccia – Intanto, dagli altri approfondimenti in corso dopo la decisione della Corte d’Assise d’appello di riaprile il caso, emergono altri particolari. Tra questi una o due foto in cui si vede un avambraccio di Stasi con due segni compatibili con quelli di una colluttazione e di cui, dopo essere state trasmesse con altre alla Procura di Vigevano, si sono perse le tracce. Foto e segni di cui i genitori di Chiara, ora parte civile al processo, non hanno “mai saputo nulla”. Si tratta di fotografie scattate assieme ad altre nella stazione dei Carabinieri di Garlasco poche ore dopo il delitto. Un brigadiere in servizio quel giorno, al quale non erano sfuggiti quei due segni ‘sospetti’, scattò alcune fotografie per “cristallizzare” non solo lo stato in cui si trovava Stasi ma anche quella specie di graffi.

Ora queste foto, in particolare quella in cui si vedrebbe il braccio in primo piano, sono state di nuovo prodotte e consegnate al sostituto procuratore generale Laura Barbaini che le ha confrontate per accertare la loro corrispondenza con quelle che ha “scoperto” dopo aver passato in rassegna uno per uno la mole di documenti contenute nel fascicolo dell’accusa. Il pg, che da settimane sta ripercorrendo le prime fasi dell’indagine per cercare di rimediare agli errori commessi sette anni fa, ha inoltre sentito come teste il militare, il quale avrebbe descritto istante per istante i momenti dopo la scoperta del cadavere di Chiara, e raccontato come mai quelle foto, in particolare quella che raffigura quell’indizio che di certo sarà valorizzato in aula, furono in sostanza sottovalutate e dimenticate.

Il viaggio a Londra – Nelle ultime settimane le indagini stanno cercando di fare chiarezza anche su un viaggio fatto a Londra da Alberto Stasi e un suo amico. Successivamente i due saranno raggiunti anche da Chiara. La ragazza, tornata in Italia, successivamente, riporta La Repubblica, accede al pc del suo ragazzo e copia tutti i dati della cartella “Londra” su una chiavetta usb. Che cosa c’era in quella cartella? Forse lì potrebbe celarsi una possibile soluzione del delitto.