Ciancimino arrestato per evasione fiscale

cianciminoda Corriere.it

Massimo Ciancimino è stato arrestato su ordine del gip di Bologna, Bruno Perla, con l’accusa di associazione a delinquere ed evasione fiscale. Ciancimino è stato portato al carcere Pagliarelli di Palermo. Insieme a lui sono state arrestate 8 persone, mentre altre 4 sono finite ai domiciliari. Ciancimino è uno dei testimoni chiave del processo sulla trattativa tra lo Stato e la mafia in cui è anche imputato di concorso in associazione mafiosa e calunnia all’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo è anche indagato a Palermo per detenzione di esplosivo. L’aggravante inizialmente contestata dai pm a Ciancimino nell’inchiesta sulla maxi-evasione ipotizza suoi rapporti con la mafia calabrese e in particolare con la cosca Piromalli della Piana di Gioia Tauro.

L’INDAGINE – L’inchiesta coordinata dalla Dda di Bologna e condotta dalla Guardia di Finanza di Ferrara ha portato ad ipotizzare una serie innumerevole di reati fiscali che hanno comportato un’evasione di 30 milioni di euro. Coinvolte 23 società, 21 delle quali non avevano alcuna attività reale. Si tratta di vari episodi di evasione fiscale che sarebbero stati commessi da Massimo Ciancimino nella sua attività di trader di acciai tra il 2007 e il 2009. Secondo l’Agi, l’accusa di evasione fiscale viene contesta a Ciancimino in concorso con il commercialista calabrese Girolamo Strangi. I due erano già finiti insieme all’attenzione degli inquirenti nel 2010 a Verona quando in conversazioni intercettate era emerso la negoziazione di un assegno da 100.000 per il quale Ciancimino avrebbe ricevuto un importo in contante decurtato di 25.000 euro. Si era sospettato allora che si trattasse di un’operazione di riciclaggio. Nei colloqui con Strangi ascoltati dagli inquirenti, Ciancimino tra l’altro si vantava di essere diventato «un’icona dell’antimafia». Le indagini sono state coordinate direttamente dal procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso, insieme al pm Enrico Cieri titolare del fascicolo.

IL LEGALE – Il figlio di Vito Ciancimino, sindaco mafioso di Palermo, finisce così in cella all’indomani dell’apertura del processo per la trattativa Stato-mafia, in cui è imputato ma anche testimone chiave. «Guardacaso, a distanza di quattro anni dai fatti, l’arresto viene ordinato all’indomani dell’apertura del processo Stato-mafia», ha commentato l’avvocato Francesca Russo, che assiste Massimo Ciancimino.

I 12 COINVOLTI – Sono decine i reati contestati alle alte persone coinvolte nella frode fiscale. Tra questi: evasione e frode fiscale, bancarotta fraudolenta, contrabbando, mendacio bancario, sostituzione di persona, falso in scritture private, falso commesso da incaricato di pubblico servizio. Queste le tredici persone arrestate. Quattro i promotori dell’associazione a delinquere individuati dagli inquirenti: oltre a Ciancimino, le altre menti sarebbero Patrizia Gianferrari di Riccione, sedicente rappresentante di affari, e Gianluca Apolloni di Roma, il presunto commercialista che si occupava di far «scomparire» le aziende a Panama. Con loro anche Paolo Signifredi di Parma. Gli altri cinque sono Mario Carlomagno e Mario Paletta di Potenza, Massimiliano Paletta di Ferrara, Valter Lotto di Reggio Emilia e Ennio Ferracane di Bergamo. Ai domiciliari sono finiti Giulio Galletto di Rovigo, Armido Manzini di Modena (che era l’uomo incaricato di cercare aziende inattive da riutilizzare per le frodi dell’associazione), Elena Rozzanti di Ferrara e la marocchina Etois Safà.

Stato-mafia, a giudizio tutti gli imputati, tra cui Mancino e dell’Utri

stato mafiada Agenzia di Stampa AGI

Rinvio a giudizio per tutti gli imputati. E’ la decisione del gup di Palermo, Piergiorgio Morosini, nell’ambito del procedimento sulla presunta trattativa Stato-mafia. Il processo prendera’ il via il 27 maggio prossimo davanti alla Corte d’assise del capoluogo siciliano. A giudizio, con l’accusa di “attentato mediante violenza o minaccia a un corpo politico, giudiziario o amministrativo dello Stato, aggravato dall’agevolazione di Cosa nostra”, finiscono dunque i boss Toto’ Riina, Leoluca Bagarella e Nino Cina’, l’ex pentito Giovanni Brusca, gli ex generali del Ros dei carabinieri Antonio Subranni e Mario Mori, l’ex colonnello Giuseppe De Donno e il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri. L’ex presidente del Senato ed ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, sara’ processato solo per falsa testimonianza, mentre Massimo Ciancimino (l’unico, tra gli imputati, ad ascoltare il verdetto del gup in aula) e’ accusato anche di concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia.
L’ex ministro Dc Calogero Mannino aveva chiesto e ottenuto di essere processato col rito abbreviato: per lui il processo si aprira’ il 20 marzo. E’ stato invece sospeso dal gup, martedi’ scorso il procedimento per Bernardo Provenzano, dopo che i periti hanno escluso la sua capacita’ di partecipare al processo, a causa delle sue condizioni psichiche compromesse in parte da una forma di Alzheimer e in parte dall’intervento per la rimozione di un ematoma cerebrale che il boss si era procurato cadendo in cella. “Sono molto soddisfatto dell’esito dell’udienza preliminare di Palermo – ha commentato con l’AGI l’ex procuratore aggiunto di Palermo, oggi leader di Rivoluzione Civile, Antonio Ingroia – che conferma integralmente l’impostazione che io e il pool da me coordinato avevamo ricostruito nel corso di questi lunghi anni di indagine. Finalmente questa decisione di un giudice terzo, di grande competenza e autorevolezza pone la parola fine a tutte le maldicenze e accuse infamanti piovute addosso ai pm della procura di Palermo senza che noi potessimo replicare. Quel che e’ certo e’ che le istituzioni politiche non hanno fatto la loro parte per accertare la verita’”. La decisione del gup “fa giustizia delle critiche preconcette di chi ha parlato di fantasia e teoremi”, ha aggiunto il pm di Palermo, Nino Di Matteo. Il gup Morosini ha pero’ ‘bacchettato’ la Procura, parlando di “indagine disorganica” provvedendo lui stesso a ordinare gli atti con un decreto e a redigerne un indice organizzato. Tra gli imputati, Nicola Mancino respinge di nuovo ogni accusa ed auspica un processo rapido che dimostri la sua innocenza. L’ex ministro dell’Interno denuncia in conferenza stampa, la presenza “di un teorema, checche’ ne pensi qualche procuratore della Repubblica, su cui costruire fortune anche di carattere politico” e ribadisce di non aver “mai chiesto protezione al Capo dello Stato”.