OPERAZIONE “RECHERCHE”, SEQUESTRATI BENI E SOCIETA’ PER UN VALORE DI CIRCA 10 MILIONI DI EURO.

 

Risultati immagini per polizia squadra mobileLa Polizia di Stato  di Reggio Calabria insieme al Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e con il supporto degli equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine , dei Commissariati di P.S. della provincia e della Squadra Mobile della Questura di Catania, su ordine della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, hanno dato esecuzione ad un Decreto di Fermo di indiziato di delitto emesso nei confronti di elementi di vertice,  affiliati e prestanomi della potente cosca PESCE di Rosarno (RC).
Il provvedimento restrittivo colpisce 11 soggetti, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, illecita concorrenza con minaccia o violenza, intestazione fittizia di beni, favoreggiamento personale nei confronti del boss latitante PESCE Marcello, arrestato il 1° dicembre 2016 – aggravati dalla circostanza di aver agevolato un’organizzazione criminale aderente alla ‘ndrangheta – nonché di traffico e cessione di sostanze stupefecenti:
Le indagini hanno consentito di individuare la rete dei soggetti che, per anni, ha protetto la latitanza di PESCE Marcello permettendo allo stesso di continuare a giocare un ruolo importantissimo nel panorama ‘ndranghetistico della fascia tirrenica della provincia di Reggio Calabria, ma anche di ricostruire l’operatività di gran parte del gruppo di soggetti a lui facenti capo e le numerose attività economiche riconducibili al sodalizio.
Le condotte di aiuto dei sodali si sono concretizzate nella messa a disposizione di quanto necessario alla protrazione dello stato di latitanza di PESCE Marcello, alla sua assistenza morale e materiale ed alla creazione, a tal fine, di una rete di supporto e di tutela, così come avvenuto con l’effettuazione delle c.d. staffette dirette ad evitare l’intervento delle forze dell’ordine sia all’atto dei vari spostamenti del latitante e sia quando i sodali, i familiari e/o terzi soggetti si recavano presso i vari covi e nel procurare appuntamenti con soggetti terzi e garantire gli incontri tra il latitante ed i sodali.
Le indagini hanno consentito di far luce sulle condotte criminali poste in essere dal gruppo facente capo a PESCE Marcello e all’intera cosca omonima, con particolare riferimento al monopolio forzoso del settore del trasporto merci su gomma di prodotti ortofrutticoli per conto terzi, alle intestazioni fittizie di beni ed al traffico degli stupefacenti.
Centrale in tutti questi ambiti era anche la figura di SCORDINO Filippo – luogotenente di PESCE Marcello e persona di estrema fiducia del figlio Rocco –  che è risultato il principale gestore della c.d. “Agenzia di Rosarno”, ovvero l’agenzia di mediazione dei trasporti merci su gomma attraverso la quale il settore è monopolizzato da PESCE Marcello.
Gli elementi raccolti nel corso delle investigazioni hanno consentito di emettere, contestualmente ai fermi dei soggetti, un Decreto di sequestro preventivo d’urgenza di beni e società e dei relativi patrimoni aziendali tra cui la Ge.Tra.L. Società Cooperativa esercente l’attività di trasporto ed autotrasporto di persone e/o merci per conto proprio o di terzi, con sede in Rosarno ed un’Azienda Agricola  esercente il commercio all’ingrosso di frutta e ortaggi freschi la lavorazione, il confezionamento, la produzione, la trasformazione e la commercializzazione, sia all’ingrosso che al dettaglio di prodotti alimentari. Il valore dei beni sottoposti al sequestro ammonta a circa 10 milioni di euro.
Di fondamentale importanza si sono rilevate le intercettazioni effettuate a carico dei componenti della cosca, fra cui diverse telematiche attive sugli smartphone, che hanno portato alla luce il sistema dell’imposizione dei trasporti merci su gomma dalla Piana di Gioia Tauro verso diverse località del centro e nord d’Italia e del costo degli stessi (in una conversazione sul sistema illecito dei trasporti, SCORDINO Filippo e PESCE Rocco affermavano che con tre trasporti a settimana a Roma, avrebbero guadagnato 3000 euro nello stesso arco di tempo: “SCORDINO Filippo: Ne fai tre a settimana per Roma; PESCE Rocco: 3000 euro a settimana; SCORDINO Filippo: 3000 euro a settimana, sono soldi!”). Le indagini finalizzate alla cattura del latitante, partite dall’osservazione dei suoi più stretti congiunti come il figlio 29enne PESCE Rocco, hanno consentito  di accertare che il menzionato rampollo dei PESCE prendeva parte attiva ad un’organizzazione dedita al traffico illecito di sostanze stupefacenti. È stato possibile far luce su una serie di cessioni di droga riconducibili ad una rete di narcotrafficanti operanti in prevalenza sul territorio di Cosenza, Rosarno e nella provincia di Catania. All’esecuzione di una parte delle perquisizioni hanno collaborato le Squadre Mobili delle Questure di Ferrara e Forlì-Cesena, dove hanno sede alcune società o filiali sottoposte a sequestro.

Foto POLIZIA DI STATO

Di Umberto Buzzoni e Renato D’Angelo

10 MILIONI DI EURO DI BENI SEQUESTRATI AL CLAN MOCCIA

Risultati immagini per polizia di stato arrestola Polizia di Stato ieri ha eseguito 7 sequestro di beni, tutti riconducibili alla famiglia camorristica dei Moccia.
Nell´ambito di una complessa attività di indagine di natura patrimoniale, gli agenti della sezione Misure di Prevenzione Patrimoniali della Questura di Napoli,  hanno dato esecuzione al decreto di sequestro beni, ai sensi della normativa antimafia, emesso dal Tribunale di Napoli – Sezione Misure di Prevenzione –  nei confronti di Luigi Moccia 60enne napoletano, elemento apicale dell´omonimo clan, attivo nella zona territoriale della provincia di Napoli. Il valore dei beni sequestrati è di 10milioni di euro.
Il clan Moccia, con struttura rigorosamente verticistica e composizione familiare, ha imperversato nelle zone di Afragola e territori limitrofi sin dai primi anni ´80, assumendone il “controllo” criminale e gestendo le tipiche attività delinquenziali, in particolare le estorsioni alle imprese che avevano ottenuto appalti pubblici.
Luigi MOCCIA è soggetto di allarmante pericolosità sociale, sia per l´efferatezza e solidità del clan di appartenenza, sia per il ruolo apicale rivestito nell´organigramma del sodalizio, svolto con continuità anche in costanza dei periodi di carcerazione subiti.  L´uomo registra numerosi precedenti penali per associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, violazione legge armi, corruzione di pubblico ufficiale, rapina, lesioni, ricettazione ed evasione.

FOTO POLIZIA DI STATO

DI BUZZONI UMBERTO E RENATO D’ANGELO

Modena: vino e Parmigiano, nel mirino dei ladri

A Modena la Polizia di Stato ha chiuso il cerchio su una organizzazione criminale specializzata in furti nei caseifici, nei magazzini e nelle abitazioni della provincia modenese. A finire agli arresti questa mattina sono state 10 persone, mentre un’altra è ancora ricercata.

Le indagini della Squadra mobile hanno fatto luce su una serie di episodi criminali consumati nel 2015 e nel 2016 ad opera di un gruppo di pregiudicati provenienti da Cerignola (Foggia) e legati ad esponenti della criminalità comune modenese.

In particolare l’organizzazione si è resa responsabile del furto di 16 mila bottiglie di vino pregiato per un valore di circa 100 mila euro e del furto di 168 forme di Parmigiano reggiano per un valore di oltre 80 mila euro

Gli investigatori sono arrivati a scoprire l’organizzazione tenendo sotto controllo un modenese che aveva collegato. )menti con le diverse aziende agricole del luogo per la fornitura di prodotti alle scuole alberghiere. Lui passava le giuste informazioni al resto della banda che poi eseguiva il colpo.

I poliziotti sono inoltre riusciti a collegare i furti al gruppo di Cerignola indagando su un incidente stradale avvenuto in Puglia nel corso del quale un furgone, che trasportava bottiglie di vino, si capovolse.

fonte e foto polizia di stato

Napoli: guerra tra clan, 27 persone in carcere

Conclusa stamattina un’operazione della Polizia contro i clan camorristici che si contendevano il territorio di Pianura, quartiere di Napoli.

Quattordici persone arrestate sono state arrestate, per altre 13 l’ordinanza è stata notificata in carcere perché già detenute per altri reati e ad una persona è stato imposto l’obbligo di presentazione alla polizia.

I due clan, uno facente capo alle famiglie Marfella –Pesce ed uno alla famiglia Mele, sono da anni in guerra per contendersi le piazze di spaccio di una parte della città.

Lo scontro armato è sfociato, nel 2013, nell’omicidio di Luigi Aversano, esponente del clan Mele.

Il traffico di droga che si riversava nelle strade della periferia occidentale di Napoli era gestito con la collaborazione delle donne dei clan; per due di queste infatti sono scattate le manette perché gli investigatori della Squadra mobile sono riusciti a provare che, su ordine dei mariti in carcere, gestivano le casse del clan distribuendo i soldi agli affiliati e sostenendo le famiglie degli arrestati.

In sostanza i clan imponevano il pagamento di una somma mensile di denaro ai piccoli gruppi che nel territorio “controllato” volevano spacciare droga.

fonte e fot0 polizia di stato

False imprese per false assunzioni a stranieri

Un giro di affari che oscillava tra i 2 e i 3 milioni di euro e 171 indagati responsabili di favorire l’immigrazione clandestina e la permanenza illegale in Italia tramite la creazione di documenti falsi per ottenere permessi di soggiorno.

Questo è il risultato di un’operazione condotta dal commissariato di Monza in collaborazione con la questura di Milano e il Reparto prevenzione crimine che si è conclusa stamattina con 10 arresti domiciliari e 1 in carcere.

Le indagini hanno consentito ai poliziotti di scoprire l’organizzazione criminale che faceva capo ad un ragioniere commercialista e ai collaboratori del suo studio di Sesto San Giovanni. Questi, insieme ad intermediari, prestanome, titolari di ditte, ognuno con un compito ben definito, hanno creato nel corso degli anni che vanno dal 2007 al 2016 un’attività basata sulla creazione di false ditte con lo scopo di simulare altrettanto falsi rapporti di lavoro. L’organizzazione ha così fornito ad un numero enorme di cittadini stranieri i documenti di lavoro necessari per rimanere in Italia o per entrare.

In particolare, ogni volta che un cittadino straniero voleva ottenere un permesso di soggiorno per lavoro, pur non avendone i requisiti come contratto di lavoro, buste paga e Cud, veniva avvicinato da persone, italiane e straniere, che gli offrivano una falsa assunzione in una loro ditta. A volte capitava invece che lo straniero fosse avvicinato da un intermediario che raccoglieva i suoi documenti e, nel giro di 3 o 4 giorni, gli consegnava la documentazione falsa o, ancora, che venisse direttamente accompagnato nello studio del commercialista.

Sempre qui, infatti, quale che fosse la tipologia del “reclutamento”, veniva prodotta tutta la documentazione falsa che, a seconda dei casi, veniva pagata dall’utente finale o all’intermediario o direttamente al commercialista.

Gli importi richiesti oscillavano tra i 200  ed i 3 mila euro. Il “prezzo” dipendeva dalla complessità della pratica-lavoro da falsificare e dall’avidità dei vari intermediari che spesso “ricaricavano” consistenti percentuali per sé stessi.

L’attività dell’organizzazione criminale nel corso degli anni, grazie alla poliedricità del commercialista, all’elevato numero di soggetti coinvolti ed alla loro capacità di riciclarsi in vari ruoli, nonché nel creare sempre nuove ditte ben si riassume nel nome dell’indagine: “Hydra”, il mitologico mostro dalle nove teste di serpente che, una volta tagliate, ricrescevano duplicate.

Infatti ogni volta infatti che il commercialista aveva anche solo il sentore che i controlli stessero intensificandosi, faceva in modo di creare una nuova ditta abbandonando quella compromessa.

Un vero e proprio sistema che nel corso degli anni ha creato ditte fittizie o utilizzato imprese già esistenti, per un totale stimabile in 828 che hanno assunto nel corso degli anni più di 1.500 lavoratori stranieri.

Dalle perquisizioni effettuate, gli agenti hanno sequestrato documenti attestanti il reato, più di 4 mila euro in contanti nella casa del ragioniere che a sua volta è stata posta sotto sequestro insieme allo studio, cantina e box al cui interno i poliziotti hanno trovato migliaia di pratiche inerenti il reato.

fonte e foto polizia di stato

 

Palermo: chiedevano il pizzo sul pizzo, arrestati 4 mafiosi

Avevano fiutato profumo di denaro, illegale ovviamente, i quattro appartenenti a Cosa Nostra arrestati dalla Squadra mobile di Palermo, questa mattina.

Gli arrestati sono accusati di aver imposto il pizzo agli appartenenti ad un’organizzazione criminale specializzata nel furto di auto e nella riconsegna, previo pagamento, di una somma di denaro da parte della vittima.

In sostanza una banda di criminali, che aveva messo in piedi un’attività molto lucrosa che fruttava circa 200 mila euro al mese, aveva attirato l’attenzione del “livello superiore” della criminalità locale che aveva deciso di imporre, a propria volta, il pagamento di denaro affinché ladri ed estorsori potessero continuare a “lavorare”.

L’organizzazione che sfruttava la tecnica del furto e della successiva estorsione, cosiddetto sistema del “cavallo di ritorno”, era stata smantellata nel dicembre scorso con un’operazione della stessa Squadra mobile.

fonte e foto polizia di stato

Bloccato traffico di droga dall’Italia all’Albania

Operazione antidroga della Squadra Mobile di Roma nei confronti di un gruppo criminale che trafficava sostanze stupefacenti a livello internazionale. Tredici le misure cautelari nei confronti degli appartenenti all’organizzazione che aveva anche ramificazioni all’estero. Numerose sono state anche le perquisizioni.

Dalle indagini i poliziotti hanno scoperto che ai vertici della banda, con sedi operative a Roma e in Puglia, c’era un gruppo di albanesi che gestiva eroina e cocaina da più di 10 anni. La banda era molto violenta nei confronti delle organizzazioni concorrenti e spesso faceva uso di armi per appianare i rapporti con coloro che non rispettavano gli accordi e gli impegni presi.

Grazie alle intercettazioni telefoniche di centinaia di utenze di gestori sia italiani che albanesi e rumeni, gli agenti hanno potuto delineare i ruoli ricoperti da ogni personaggio all’interno della struttura criminale ed attribuire le singole responsabilità.

A capo dell’organizzazione un albanese, residente all’estero, che evitava l’utilizzo delle comunicazioni telefoniche tanto da rendere necessari dei viaggi in Albania, da parte dei vari componenti, al solo fine di incontrarlo di persona per pianificare le successive operazioni di importazione dei carichi di eroina e  per consegnargli i proventi delle vendite illecite in Italia.

Il gruppo criminale disponeva inoltre di affiliati fatti arrivare in Italia direttamente dall’Albania per riscuotere, con metodi violenti, crediti per forniture di droga non pagate dai vari debitori morosi.

fonte e foto polizia di stato

Bologna: fermata banda di rapinatori in trasferta

Immobilizzavano i dipendenti e i clienti di una banca a Bologna fino all’apertura delle casse temporizzate e dei bancomat per portar via tutto. Una banda di rapinatori in trasferta da Palermo è stata arrestata dalla Squadra mobile di Bologna.

Almeno 5 le rapine in banche avvenute tra maggio e ottobre 2016 a Bologna e nella provincia attribuite ai 6 pregiudicati che usavano sempre lo stesso modus operandi.

Tre della banda ad ottobre scorso furono arrestati dalla Squadra mobile durante una rapina alla banca di Castel S. Pietro Terme di Bologna.

Questa mattina gli investigatori della mobile hanno eseguito un’ordinanza di custodia in carcere emessa dalla procura della Repubblica. Tra i destinatari dell’ordinanza c’è il figlio di un noto pregiudicato palermitano legato a Cosa nostra ed assassinato nel 2007.

fonte e foto polizia di stato

Botte e danni per imporre i buttafuori del clan, 4 arresti a Potenza

Minacce, violenze e danneggiamenti all’interno di alcuni locali notturni di Potenza e della provincia, realizzati a più riprese tra dicembre 2015 e febbraio 2016.

Da questi episodi è nata l’indagine “Senza tregua” della Squadra mobile potentina, coordinata dalla locale Direzione distrettuale antimafia, che ha evidenziato come gli episodi violenti avessero lo scopo di estromettere alcuni soggetti dai servizi di vigilanza di locali notturni e discoteche per impadronirsi dei servizi di addetti alla sicurezza dei locali pubblici, costringendo i gestori a sostituire i buttafuori in servizio con quelli suggeriti dal gruppo.

L’attività investigativa si è conclusa questa mattina con l’esecuzione da parte della Mobile di un’ordinanza del tribunale di Potenza che prevedeva quattro arresti, due in carcere e altrettanti ai domiciliari, e un divieto di dimora.

Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di estorsione, danneggiamento e porto illegale di arma da taglio, tutte condotte aggravate dall’utilizzo del metodo mafioso; per due di loro c’è anche l’accusa di intestazione fittizia di beni e falsa attestazione di atti destinati all’autorità giudiziaria.

L’indagine si è avvalsa anche delle dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia in merito ai collegamenti tra alcuni affiliati al clan Martorano-Stefanutti ed esponenti di cosche calabresi della ‘Ndrangheta.

Durante i disordini creati ad arte nel corso delle serate, gli indagati facevano specifico riferimento alla forza del gruppo organizzato cui dicevano di appartenere, sottolineando il ruolo dei capi clan e la loro veste di associati e seguaci, con lo scopo di incutere paura e soggezione nelle vittime. Con lo stesso scopo facevano riferimento anche a passate vicende analoghe avvenute in altri locali.

La maggior parte dei gestori non ha voluto collaborare alle indagini, probabilmente per paura di ritorsioni, ma uno di loro alla fine ha dichiarato di “Non aver avuto scelta”, sentendosi quasi accerchiato da tutta una serie di eventi che avvenivano appunto “Senza tregua”.

Sequestrato anche un bar di Potenza, intestato fittiziamente al cognato di uno degli arrestati, che in realtà era il reale gestore.

Un altro degli indagati è stato rintracciato in Romania, suo Paese di origine, e arrestato dai locali organi di polizia in esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso in precedenza per una condanna relativa ai reati di rapina aggravata, estorsione e lesioni personali volontarie.

fonte e foto polizia di stato.

Operazione “Linea d´addio”

La Polizia di Stato blocca pericolosa banda di rapinatori
Risolto il giallo dei coniugi sequestrati in casa lo scorso ottobre ad Ucria
Sono stati arrestati stamani gli autori della rapina ai danni di una coppia di coniugi sequestrati nella loro casa di Ucria lo scorso ottobre.
I poliziotti del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Patti, coadiuvati dai colleghi delle Squadre Mobili di Messina, Palermo e dei Commissariati P.S. Capo d´Orlando, Termini Imerese e Partinico, hanno eseguito all´alba la misura cautelare emessa dal GIP, dr. Andrea La Spada, su richiesta del Sostituto Procuratore D.ssa Giorgia Orlando, con la quale risultano chiare le responsabilità di nove individui.
Un piano ordito nei minimi dettagli, un´azione criminosa spietata e brutale che nella notte tra il 15 e il 16 ottobre scorso i nove malviventi non hanno esitato a mettere in atto nei confronti di una coppia di signori orlandini, in vacanza nella loro casa di campagna, tra Ucria e Floresta.
Incappucciati e armati di coltello e mannaia hanno sorpreso nel sonno marito e moglie, derubandoli di tutto ciò che di valore i due possedevano in casa, compresi i gioielli che avevano addosso. Si sono poi fatti consegnare le chiavi di casa dell´abitazione di Capo d´Orlando estorcendo loro i dettagli necessari per trovare e aprire la cassaforte.
E mentre una parte della banda raggiungeva Capo d´Orlando e svuotava il secondo appartamento, i compari sequestravano in casa loro le vittime. Se ne sono andati solo dopo lunghe ore di terrore, portando via telefonini e persino l´auto di famiglia.
L´allarme è scattato quando i due malcapitati, in stato di choc per quanto subito, sono riusciti a raggiungere il centro di Ucria.
Immediate le indagini della Polizia di Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica di Patti: i poliziotti del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Patti hanno avviato una ricerca a 360 gradi, per scoprire ogni utile spunto o indizio che permettesse di ricostruire la dinamica della rapina e del sequestro.
Gli investigatori sono partiti dal traffico veicolare su strade ed autostrade e dall´analisi delle immagini di decine di sistemi di videosorveglianza installati nei vari comuni presumibilmente attraversati, o anche solo sfiorati dai malviventi.
Nulla è stato tralasciato, contatti più o meno recenti avuti dalle vittime compresi, abitudini di vita e spostamenti.
Si è poi passati allo scrupoloso ed analitico studio del voluminoso traffico telefonico agganciato nella notte del delitto dalle celle dei gestori telefonici sul territorio di decine di comuni di più province siciliane e, infine, all´intercettazione delle conversazioni registrate su alcune utenze sapientemente individuate come sospette.
Il poderoso lavoro investigativo ha condotto i poliziotti a rintracciare tracce apparentemente invisibili, inavvertitamente lasciate dai malviventi, peraltro rivelatisi estremamente cauti ed attentissimi.
I primi risultati hanno permesso di concentrarsi sulla figura del basista, identificato in un noto pregiudicato tortoriciano e sull´ipotesi investigativa che la rapina di Ucria rientrasse in una serie di fatti delittuosi della stessa specie, ascrivibili ad una cerchia di professionisti del crimine.
I fatti di Ucria riconducevano infatti ad una banda costituita da uomini del palermitano e cittadini rumeni, operante nella provincia del capoluogo siciliano ma abituata a frequenti incursioni anche in quelle limitrofe e segnatamente in quella messinese, avvalendosi di una rete di fonti che selezionavano gli obiettivi sul territorio e mettevano a disposizione dei complici le informazioni utili, a fronte di una quota di partecipazione agli utili delle successive imprese  criminali.
Un gruppo pericoloso, quindi, perfettamente organizzato e autore di molti altri furti in abitazioni, per lo più ville isolate, tentati o consumati, tra i quali quello avvenuto nella prima mattinata del 14 novembre 2016 a Sant´Agata MiIlitello: nella circostanza, peraltro, alcuni componenti della banda, sorpresi dai sistemi di allarme e dal successivo intervento della Polizia del locale Commissariato, erano costretti a darsi ad una rocambolesca fuga ed a nascondersi in casolari di campagna prima di essere recuperati da complici arrivati appositamente da Palermo con un borsone di abiti puliti necessari per eludere i controlli delle forze di polizia.
Sulla scorta di tali corpose acquisizioni investigative, la Procura della Repubblica di Patti ha richiesto ed ottenuto dal GIP dello stesso Tribunale l´ordinanza cautelare eseguita stamani. Analogo provvedimento è stato emesso dal GIP presso il Tribunale per i Minorenni di Messina su richiesta della Procura Minorile peloritana, Sostituto Procuratore Dott. Andrea Pagano, a carico del minore di nazionalità rumena, già collocato in una struttura di accoglienza, rivelatosi coinvolto fattivamente nei colpi ed indicato dai complici come “spiderman”, per le differenziali capacità atletiche che lo rendevano agilissimo ed idoneo alle incursioni nelle case violate.
L´operazione della Polizia di Stato ha fermato la pericolosissima banda criminale in un momento di piena attività ed in cui non si esclude che stesse organizzandosi per elevare ulteriormente il livello di aggressività e pericolosità della sua azione, indirizzandosi su modelli di devianza criminale di attualissimo allarme sociale quali quelli connessi al fenomeno internazionale di avvistamenti di autori di crimini vestiti da Clown continue reading this.
Tra le conversazioni intercettate dagli investigatori del Commissariato di Patti se ne evidenziano indicanti l´intento di alcuni componenti della banda (in particolare un rumeno) di reperire tute bianche del tipo da imbianchino nonché parrucche e maschere da clown, destinate esplicitamente ad essere indossate in azioni illecite. Indicative della circostanza, del resto, le stesse immagini che campeggiavano sui profili facebook degli indagati in concomitanza con le stesse conversazioni telefoniche.
Durante le perquisizioni domiciliari effettuate stamani dai poliziotti è stata rinvenuta una pistola calibro 6,35 con relativo munizionamento, due pistole giocattolo e la somma di 3.000 euro.

FONTE FOTO POLIZIA DI STATO