Terrorismo, condannato Abu Omar Sei anni per l’ex imam milanese

abu omarda TGCOM24

L’ex imam della moschea milanese di viale Jenner, Abu Omar, è stato condannato dal gup di Milano Stefania Donadeo a sei anni di reclusione con l’accusa di associazione per delinquere con finalità di terrorismo internazionale. La sentenza di condanna arriva a quasi 11 anni di distanza dal rapimento dell’ex imam ad opera della Cia.

Abu Omar ha sempre respinto l’accusa di terrorismo internazionale e ha sempre detto di essersi “limitato ad aderire ad un percorso politico-ideologico per professare il proprio credo e la propria fede”. Lo ha spiegato il suo legale, l’avvocato Carmelo Scambia, parlando con i cronisti dopo la sentenza.

L’avvocato Scambia ha chiarito che il suo assistito si trova ad Alessandria d’Egitto, in teoria libero “ma ha tanti occhi che lo seguono e deve dimorare nel paesino in cui è senza poter andarsene”. “Davo per scontato l’esito di questo processo – ha spiegato il legale – c’era da stabilire solo la quantificazione della pena che in linea teorica poteva arrivare anche a 10 anni.Ora vedremo le motivazioni e vedremo anche se ci saranno riferimenti al rapimento che ha subito”. L’avvocato ha chiarito inoltre che Abu Omar “aspettava tranquillo di capire cosa sarebbe successo in questo processo, ma lui ha sempre respinto le accuse”. Le motivazioni della sentenza arriveranno tra quaranta giorni.

Roma, nomade 25enne tenta di rapire un bambino di otto mesi in metro

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Una nomade bulgara è stata arrestata a Roma con l’accusa di tentato sequestro di persona. La donna avrebbe cercato di rapire un bambino di otto mesi in pieno giorno, strappandolo alla madre che lo stava cambiando su una panchina all’interno della stazione della metropolitana di Ponte Mammolo, nella periferia della Capitale.

Secondo quanto emerso, come riporta il quotidiano “Il Messaggero”, la madre del bambino, in attesa dell’arrivo della metropolitana, stava cambiando il figlio su una panchina della sala d’attesa della stazione quando la nomade si sarebbe avvicinata e avrebbe trascinato via il bambino, correndo verso l’uscita.

Richiamati dalle richieste di aiuto della donna, alcuni ragazzi presenti si sarebbero messi all’inseguimento della 25enne, riuscendola a fermarla. Sono quindi intervenuti gli addetti alla sicurezza della metropolitana che hanno chiamato i carabinieri e prestato i primi soccorsi alla madre del bambino che, sotto shock, ha avuto bisogno dell’assistenza del 118.

Oristano, scomparso indipendentista sardo Si segue la pista del rapimento

da Adnkronos – Agenzia di Stampa

Un volantino dentro la sua auto firmato ‘I guardiani della nazione’. Di lui,Doddore Meloni, presidente della Repubrica di Malu Entu, indipendentista sardo, nessuna traccia. La polizia e i carabinieri lo stanno cercando. L’ipotesi è quella di un rapimento.

L’allarme è scattato ieri a tarda sera, a Terralba, dove Meloni risiede e dov’è stata ritrovata la sua auto, una Fiat Punto Rossa, con all’interno il volantino. Le circostanze appaiono quantomeno strane, ma di fatto Meloni è scomparso. Sentiti nel corso della notte i familiaridell’indipendentista e il suo avvocato.

”Visto che la giustizia non ha fatto il suo corso Meloni verrà rilasciato solo quando sarà ritirata la lista Meris. I guardiani della Nazione”. E’ questo il testo del volantino ritrovato dagli inquirenti nella Fiat Punto rossa di Meloni, che fa esplicito riferimento alla lista presentata da Meris (Movimentu europei rinaschida sarda), il partito indipendentista di Meloni, per Camera e Senato.

 

 

Meloni, essendo interdetto perpetuamente in seguito alla condanna per il complotto separatista degli anni ’80, è stato escluso dalla lista per la Camera, di cui era capolista. Sono in corso le ricerche di Meloni in tutta la Sardegna.


Calevo: «Questa era la mia prigione »

da www.corriere.it

LERICI (La Spezia) – L’Andrea di prima non si faceva domande davanti alla luce spenta fuori casa. Adesso si guarda attorno cento volte prima di scendere dall’auto. Quell’Andrea non aveva fretta di riavere un cane dopo la morte di Argo, il suo vecchio alano. Ora vuole due pastori tedeschi e il più in fretta possibile. Prima del 16 dicembre gli sembrava superfluo un sistema che illuminasse la casa dall’esterno. Adesso ne vuole uno che si attivi con il telecomando. Ma vuole anche andare a vivere da solo, ha in mente un viaggio in Africa con un suo amico d’avventura e gli piacerebbe risistemare l’azienda da capo a piedi.

L’Andrea Calevo del 2013 è tutto questo e molto altro ancora. Ha 31 anni ed è una fabbrica di idee per il futuro, di cose da fare, fare, fare… Ma ha anche scoperto cos’è la paura di morire e cosa conta davvero quando non sai se ci sarà altro tempo da vivere. «E queste sono cose che segnano, è inutile fare finta e dire che non ci penso mai» ammette.Rapito la sera del 16 dicembre e liberato la mattina del 31. Quindici giorni nelle mani di due italiani (Pier Luigi Destri, 70 anni, e il nipote ventenne Davide Bandoni) e di un gruppetto di giovani albanesi. «Ricordo che ho pensato al mio amico Antonio, come prima cosa, quando ho saputo di essere un sequestrato. Il giorno prima del rapimento lui partiva per un viaggio in jeep e il programma prevedeva un passaggio in Sudan. Salutandolo gli avevo detto “guarda che in quei posti lì ti rapiscono”. Manco a dirlo… hanno rapito me a Lerici!».

Alle spalle della scrivania di Andrea c’è un quadro enorme che mostra uno scorcio della sua Lerici. «Quest’angolo, il castello, questo pezzo di mare… è un posto bellissimo» dice. «Queste case qui non esistono più», indica, «erano del mio bisnonno e le hanno buttate giù durante la guerra. È stato lui a mettere in piedi l’azienda nel 1888». I Calevo vendono materiali edili e Andrea giura di non aver mai desiderato fare altro che questo: «Mio padre è morto nel ’97 sotto i ferri durante un’operazione chirurgica, io ero un ragazzetto. Ricordo lo choc di quella notizia e l’idea, immediata, che avrei continuato io al posto suo. Sono diventato geometra, poi la laurea in Economia e commercio e adesso eccomi qui».

Il viavai di camion, furgoncini, carpentieri, falegnami, sembra divertirlo. Risponde al telefono mentre dà indicazioni ai suoi operai su questo o quello, decide misure, ordini. «Mi sono sempre occupato di queste cose, per me è facile» annuncia prima di mettersi a disegnare su un foglietto la sua prigione. La penna rossa traccia i muri, il letto, la catena, la lampadina, l’altezza. Una cella ricostruita con la precisione di un «tecnico»: «Era alta due metri e dieci, qui c’era una paretina di legno spessa 25 centimetri, qui invece era tutto cemento armato… Facevo flessioni e piegamenti e poi ogni giorno mille giri della stanza, ho fatto il conto: più o meno cinque chilometri, per non lasciarmi andare». Ai suoi rapitori ci pensa mai? «Diciamo che se avessi davanti il vecchio gli direi che è un uomo spregevole, non solo perché mi ha rapito ma anche perché ha plagiato dei ragazzini. A suo nipote direi: “Svegliati, fa qualcosa, prova a salvarti”, poveretto… era proprio fuori di testa. Faceva il duro ma non lo era». Si ferma davanti a un pensiero: «Mi hanno detto di non difenderlo troppo, perché sennò magari intenerisco i giudici». Cerca parole più adatte: «Quel ragazzo – dice – deve pagare per quello che ha fatto, è chiaro. Ma spero che alla fine lo recuperino».