Mozzate, il killer di Lidia e Silvio potrebbe avere ucciso anche il cugino

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Dopo Lidia Nusdorfi e Silvio Mannina, il pasticcere albanese Dritan Demiraj potrebbe aver ucciso una terza persona. Non si trova, infatti, il cugino del killer e la Procura di Rimini sta preparando una rogatoria internazionale con l’Albania per scoprire se è ancora vivo. Demiraj, interrogato dagli investigatori, aveva detto di aver già tentato di assassinare il cugino la scorsa estate poiché aveva avuto una relazione con Lidia.

Dritan, per quell’episodio, era stato arrestato e poi rilasciato. Nonostante gli fosse stato ritirato il passaporto, era rientrato a Rimini. Si era detto disposto a perdonare Lidia, ma per lei la storia era al capolinea. A fine dicembre Dritan Demiraj era tornato una seconda volta in Albania, come ha confermato agli inquirenti, ma senza fornire dettagli sui motivi del viaggio.

Taranto, il bimbo sopravvissuto ai killer: “In auto mi sono finto morto”

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“Ho fatto finta di essere morto”. Così il bimbo di 6 anni, scampato alla strage di mafia nel Tarantino, racconta alla zia come sia riuscito a sfuggire ai killer che hanno ammazzato, invece, alla periferia di Palagiano, il compagna della madre, Cosimo Orlando, di 43 anni, Carla Maria Fornari, di 30, e il loro fratellino, Domenico, di appena due anni e mezzo.

L’uomo, detenuto in semilibertà”, potrebbe essere stato punito per uno sgarro.

“Domenico dov’è?” – I due fratellini pensavano che la madre fosse svenuta. Così hanno detto ai parenti e anche ai primi soccorritori che si sono fermati pensando che fosse un incidente. Ora, sotto shock, chiedono di Domenico, il più piccolo. Chiedono ai parenti come sta il fratellino ucciso con tre colpi alla testa. La sua colpa è stata quella di stare in braccio all’obiettivo dei sicari. Chi ha premuto il grilletto, almeno 13 volte, tante quanto il numero dei bossoli recuperati dagli investigatori sull’asfalto di quella bretella della statale ionica 106, ha mirato sempre contro chi era alla guida e chi gli sedeva accanto, infischiandosene del fatto che nell’abitacolo ci fossero bambini.

Un triplice delitto sulla cui matrice ci sono molte cose da chiarire. Potrebbe essersi trattato della vendetta nei confronti di Orlando, che stava ancora scontando una condanna per un duplice omicidio del 1998. Oppure di una punizione decisa dal clan rivale per aver tentato di riprendere il controllo dei traffici di droga approfittando della semilibertà concessagli da alcuni mesi. Non viene esclusa neanche la pista che porta alla compagna di Orlando: anche grazie alla sua testimonianza, infatti, gli assassini di suo marito Domenico Petruzzelli, sono stati condannati in primo grado all’ergastolo. Qualcuno potrebbe aver dunque voluto punire proprio quella testimonianza.

Yara, test del dna sul killer di Cene

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Poche parole, le primissime, mentre veniva soccorso nella sua baracca sul Monte Bue, a Cene, con l’addome sanguinante. «Abbiamo litigato e l’ho colpita con una bottiglia, lei mi ha ferito con un coltello», ha quasi rantolato Isaia Schena, l’autotrasportatore di 37 anni in stato di fermo, all’ospedale Papa Giovanni XXIII, per l’omicidio di Madalina Palade, 27 anni, rumena. Lei era senza vita su una brandina, con le ferite alla testa e un taglio alla gola, lui era rannicchiato sotto una trapunta accanto al letto, ferito ma non in pericolo di vita. Sono parole, quelle, che non valgono ai fini giuridici, perché non c’era un avvocato ad assisterlo, ma che gli investigatori hanno annotato nelle carte. Bisognerà vedere se oggi vorrà parlare, come da rigorosa procedura, alla presenza dell’avvocato Roberto Bruni che con i colleghi di studio lo aveva già assistito nel processo in cui è stato condannato a 3 anni di carcere per lesioni aggravate e tentata violenza sessuale ai danni di un’altra ragazza rumena. Stamattina il giudice delle indagini preliminari Alberto Viti lo interrogherà nell’ospedale alla Trucca e deciderà se metterlo in cella. Sarebbe la prima volta, perché Schena è formalmente incensurato (la condanna è in fase di appello quindi non definitiva) e per il precedente episodio non era mai finito dietro le sbarre. Aveva solo l’obbligo di firma dai carabinieri, in un primo periodo tutti i giorni, poi la frequenza è scesa a tre volte alla settimana e, infine, a una.

Venerdì mattina, inoltre, verrà eseguita l’autopsia sul corpo della giovane rumena. Alla luce delle ferite rilevate anche ad un esame superficiale — oltre alle bottigliate ce ne sarebbero anche di arma da taglio — non dovrebbero emergere grosse sorprese sulla modalità del delitto. Resta un quesito: quando è stata uccisa? Lunedì, giorno del ritrovamento, oppure la domenica? Più elementi farebbero ipotizzare che quanto meno l’incontro risalga al giorno prima. Come l’appuntamento che Schena aveva con la sua fidanzata storica, italiana, sette anni di relazione. Avrebbero dovuto incontrarsi domenica pomeriggio, poi però si erano sentiti al telefono e lui aveva disdetto l’incontro con una scusa. Doveva già incontrare Madalina? Forse. Quel pomeriggio era andato al bar degli anziani, a Cene, dove vive e qualcuno ricorda che con lui c’era anche una ragazza bionda con i capelli lunghi. Lunghi e biondi come quelli della rumena. E, ancora, domenica notte non era rientrato a casa, in via Enrico Toti, dove vive con la madre e lei lunedì pomeriggio lo aveva cercato proprio nel bar delle partite di bigliardo e di qualche giocata a carte, ma non lo aveva trovato. Di sicuro lunedì mattina era nella baracca. La sua Audi A3 nera ostruiva il cancello dei vicino, che non è riuscito ad uscire per andare al lavoro. La sera l’auto è ferma nello stesso punto. C’è anche un altro dettaglio da chiarire: ha la fiancata destra distrutta, le gomme di quel lato erano staccate e la vettura era stata alzata con un cric. Quando Schena ha avuto l’incidente? Ha cercato di scappare dopo il delitto? Un elemento, questo, che giustificherebbe la convalida del fermo, possibile per il pericolo di fuga. Se il gip non dovesse convalidarlo, può sempre e comunque disporre una misura cautelare per il pericolo di reiterazione del reato, di inquinamento delle prove, o entrambi. Anche la Opel nera di Madalina era lì, a 300 metri dalla baracca, segno che ci è arrivata da sola.

Questo omicidio si incrocia con l’indagine di un altro delitto, quello di Yara Gambirasio. Modalità e contesti diversi. Da un lato la giovane rumena che frequentava il Notturna club di Vertova dove è probabile che abbia conosciuto Schena, dall’altro una bambina tutta casa, scuola e centro

Per scrupolo il pm Ruggeri ha disposto che il dna venga confrontato con il presunto killer della 13enne di Brrembate

sportivo dove si allenava in una squadra di ginnastica artistica. Ma per scrupolo il pubblico ministero Letizia Ruggeri ha disposto che il dna del fermato venga confrontato con quello di «Ignoto 1», il presunto killer della tredicenne di Brembate Sopra, così come già fatto per quasi 18.000 profili genetici. È la conferma che, in questo vicolo cieco, si tenta il tutto per tutto. Era già successo lo scorso settembre, quando era stato comparato anche il Dna del killer di Lodi, il ragioniere di 41 anni arrestato per l’omicidio di Lavinia Simona Ailoaiei, ragazza romena di 18 anni. Esito: negativo. Intanto si attende ancora l’esito del test del Dna sulla salma di Giuseppe Guerinoni, l’autista ritenuto il padre di chi ha ucciso Yara, un figlio illegittimo. L’anatomopatologa Cristina Cattaneo aveva già chiesto un mese di proroga. Ieri, scaduto il termine, ha chiesto altri 30 giorni. Manca solo qualche dettaglio, non si prevedono sorprese.

 

Il killer di Lodi riapre il caso di Yara Gambirasio

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Per la Procura ci sono attinenze tra il ritrovamento della prostituta romena e quello della piccola Gambirasio. Gli investigatori lodigiani hanno inviato i reperti con le tracce di Dna ai colleghi di Roma per un confronto

Andrea Pizzocolo  riapre il caso di Yara Gambirasio. Lavinia Simona Aiolaiei, la prostituta di 18 anni uccisa dal ragioniere dalla doppia vita, di giorno padre e marito, di notte regista e killer del sesso estremo, potrebbe infatti non essere l’unica sua vittima. Per gli investigatori di Lodi ci sono delle attinenze tra il ritrovamento del cadavere della romena e quello della piccola Yara, trovate entrambe in un campo agricolo.

Come scrive Il Giorno, ora si attendono i risultati del test del Dna che mette a confronto il codice genetico di Pizzocolo con quello trovato nei reperti della 16enne ma anche dei casi rimasti insoluti negli anni scorsi. In Procura infatti sono arrivate alcune denunce di prostitute che hanno dichiarato di essere sfuggite alla follia omicida del ragioniere. Che la mano del killer di lucciole uccise e ritrovate in Lombardia abbiano lo stesso volto? Gli inquirenti non escludono nessuna pista.