Lecce: catturato l’ergastolano Fabio Antonio Perrone

Ha tentato la fuga attraverso il terrazzo dell’abitazione dove si nascondeva, ma è stato immediatamente bloccato dai poliziotti: Fabio Antonio Perrone, l’ergastolano evaso a novembre scorso durante un controllo medico in ospedale, è stato catturato questa mattina dalla Squadra mobile di Lecce e dagli uomini della polizia Penitenziaria. L’uomo si nascondeva in casa di un incensurato alla periferia di Trepuzzi, nella provincia di Lecce.

Aveva con sé la pistola, carica e con colpo in canna, presa all’agente di polizia Penitenziaria che lo aveva condotto all’ospedale dove era stato portato per accertamenti medici e dal quale era fuggito mettendo in atto una fuga rocambolesca; inoltre nascondeva un kalashnikov, 10 cartucce calibro 12 e circa 5mila euro in contanti.

fonte Polizia di Stato

Trapani: catturata banda di rapinatori

Ci sono anche “figli d’arte” tra i sette rapinatori arrestati, questa mattina, dalla Squadra mobile di Trapani e dagli uomini del commissariato di “Bagheria” e del commissariato di “Marsala“.

Gli investigatori sulle tracce della banda già da un po’ di tempo li hanno sorpresi nei pressi di un appartamento ritenuto il loro covo.

Gli agenti sono riusciti ad identificare i componenti anche attraverso le “importanti parentele” a cui alcuni di loro erano legati.

Diversi sono stati i colpi messi a segno negli ultimi tempi nelle banche palermitane e trapanesi, e quella recente avvenuta alla Banca “Toniolo” di Marsala è stata determinante ai fini dell’identificazione e dell’arresto.

Di quest’ultima gli investigatori hanno ricostruito le fasi: un malvivente armato di forbice è riuscito ad entrare all’interno della banca e sotto la minaccia si è fatto consegnare circa 10 mila euro; un secondo complice ha consentito una fuga veloce, bloccando l’ingresso mentre altri due componenti sono rimasti a far da “palo”.

I restanti tre sono stati impegnati in compiti logistici e di raccordo per la fuga.

fonte Polizia di Stato

Omicidio di Ancona: Arrestata anche la 16enne

fonte Ansa

fonte Ansa

Ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. presso il Tribunale per i Minorenni di Ancona, Paola Mureddu, nei confronti della 16enne (già in stato di fermo), per concorso, insieme al fidanzato Antonio Tagliata, nell’omicidio della madre, Roberta Pierini, e nel ferimento del padre, Fabio Giacconi (ormai in coma irreversibile).

I fatti risalgono al 7 novembre scorso, quando, in Ancona, nell’abitazione della famiglia Giacconi-Pierini, il 18enne Antonio Tagliata, armato di una pistola calibro 9, fa fuoco contro i genitori della sua fidanzatina 16enne, uccidendo la mamma e ferendo gravemente il papà, riducendolo in fin di vita: secondo le prime indiscrezioni, Roberta Pierini, impiegata 49enne, è stata raggiunta da tre colpi cal. 9 x 21, uno mortale alla testa (regione parietale destra), uno al fianco destro ed uno di striscio al fianco sinistro. Fabio Giacconi, anche lui 49enne, sottufficiale dell’Aeronautica Militare, invece, pare sia stato attinto da 4 colpi al torace. L’assurdo movente è da individuare in un giovane amore contrastato: la colpa di Roberta Pierini e di suo marito Fabio Giacconi, sarebbe stata quella di essersi opposti alla relazione tra la figlia 16enne ed il fidanzato, appena maggiorenne.

Il dramma si è consumato alle ore 13.30 circa, nella palazzina sita al civico 9 di via Crivelli, quando i vicini di casa, allarmati dal fragore di almeno cinque o sei colpi d’arma da fuoco provenienti dall’appartamento al quarto piano, hanno chiamato i Carabinieri ed il 118. Entrati in casa, i militari hanno trovato Roberta Pierini priva di vita, riversa a terra sul terrazzo, dove, forse, aveva cercato una via di fuga. A ucciderla un proiettile alla testa. Poco distante suo marito, Fabio Giacconi, colpito 4 volte al torace e di striscio ad un orecchio. Le condizioni dell’uomo sono apparse subito gravissime, tanto che, nei giorni successivi, è entrato in coma irreversibile.

Le indagini, coordinate dal Sostituto Procuratore Andrea Laurino, si sono concentrate immediatamente nei confronti della figlia 16enne della coppia e del suo fidanzato, il 18enne Antonio Tagliata, resisi irreperibili e quindi considerati in fuga. Qualche ora dopo, i due ragazzi sono stati intercettati dai Carabinieri alla stazione di Falconara, ove erano arrivati in motorino.

Il giovane si è assunto la piena responsabilità dell’accaduto, riferendo agli inquirenti che a sparare contro i coniugi Giacconi era stato solamente lui e l’aveva fatto perché, in occasione dell’ennesima lite avuta con i predetti a causa della sua relazione con la 16enne, si era spaventato per l’atteggiamento oltremodo aggressivo avuto nei suoi confronti da Fabio Giacconi.

Poco dopo, il giovane omicida ha fatto ritrovare anche la pistola, che aveva gettato in un cassonetto per l’immondizia. In seguito, ha dichiarato che l’arma l’aveva comprata da un albanese, in pieno centro storico di Ancona, per la somma di 450 euro. Insieme alla pistola, aveva comprato anche tre caricatori e ben 86 proiettili.

Nell’immediatezza delle indagini, Antonio Tagliata è stato sottoposto a fermo di polizia giudiziaria per omicidio, tentato omicidio e porto abusivo di arma da fuoco. Dopo la convalida del fermo, il GIP di Ancona ha emesso nei suoi riguardi ordinanza di custodia cautelare in carcere, per gli stessi reati. La ragazza, invece, è stata portata in una comunità protetta. Con il passare delle ore, però, il Tagliata, cambiando atteggiamento, ha cominciato scaricare le colpe sulla sua fidanzatina, sostenendo che era stata lei a dirgli di sparare.

Intervistato in occasione di una trasmissione televisiva, il padre di Antonio Tagliata, Carlo Tagliata (tra l’altro anche lui resosi responsabile di omicidio quando era ancora minorenne), dopo aver sottolineato che i genitori della ragazzina si erano più volte opposti alla relazione con suo figlio e che l’avevano tenuta spesso segregata in casa, ha dichiarato “la fidanzata di mio figlio è molto problematica, ha una situazione familiare molto difficile. Penso che mio figlio sia stato plagiato da lei; sono inoltre certo che mio figlio non voleva uccidere, anzi voleva suicidarsi. Era questa la sua intenzione prima di recarsi all’appuntamento con i genitori della sua fidanzata. Mio figlio ha preso la pistola per togliersi la vita, ve lo posso assicurare. Aveva anche chiamato la madre per dirle addio. Non era lucido quando ha sparato al padre della sua ragazza”.

A seguito della mutata strategia processuale di Paolo Tagliata e sulla base di ulteriori risultanze investigative, la posizione della 16enne si è aggravata, tanto che, come detto all’inizio, anche nei suoi confronti è stata adottata ordinanza di custodia cautelare in carcere. Dal canto suo, la ragazza, delusa dal quel “tradimento” di Antonio, continua a ribadire la propria versione dei fatti, affermando “non è vero, non gli ho detto spara, spara…doveva esserci solo un chiarimento tra me, Antonio ed i miei genitori che osteggiavano il nostro rapporto…pensavo che fosse una pistola giocattolo e non è vero che ho detto spara”.

Fin qui la cronaca di questa tragedia che tanta commozione ha suscitato nella comunità di Ancona. A questo punto, però, come non chiedersi in che razza di mondo viviamo: FIGLI CHE UCCIDONO I GENITORI, GENITORI CHE UCCIDONO I FIGLI! Quella di Ancona, infatti, non è che l’ultima, in ordine di tempo, di una lunga serie di tragedie analoghe verificatesi negli ultimi anni, tra le quali, probabilmente, le più emblematiche e note al grande pubblico sono quella di Novi Ligure del 22 febbraio 2001, quando Erika De Nardo (16enne) ed il fidanzato Mauro (detto Omar, 17enne) uccidono la madre ed il fratellino di lei, e di Cogne del 30 gennaio 2002, quando Annamaria Franzoni massacra, uccidendolo, il figlioletto.

Ed immancabilmente, dopo ogni dramma del genere, sia sulla carta stampata che nelle trasmissioni televisive, c’è la rincorsa agli esperti più titolati nel settore della psiche, affinchè forniscano una qualche spiegazione plausibile su questi efferati delitti familiari, dai più definiti “contra natura”. Ma proprio perché “contra natura”, molto difficilmente potranno mai trovare una spiegazione.

di Dott. Rosario Calardo

Botte e minacce ai passanti, presi a Milano 4 giovani rapinatori

Le loro vittime erano quasi sempre giovani studenti o persone isolate che venivano aggredite di notte per essere violentemente rapinate: pugni, schiaffi, calci in testa e all’addome nonché minacce con coltelli a serramanico e bottiglie rotte puntate al collo.

In questo modo un gruppo i criminali si impossessava di cellulari, contanti, carte di credito e computer portatili, e poi si dava alla fuga.

I raid sono stati interrotti dagli agenti del commissariato Porta Ticinese di Milano, che hanno arrestato quattro giovani con l’accusa di concorso in rapina pluriaggravata.

Sono infatti almeno 15 le rapine messe a segno dalla banda negli ultimi 15 giorni, nella zona tra parco Solari, via Bocconi e via Castelbarco.

L’indagine dei poliziotti è stata molto rapida, ed è partita dall’analisi del modus operandi utilizzato dai criminali e delle zone da loro preferite.

In questo modo è stata circoscritta una zona di “probabile azione”, un perimetro all’interno del quale, secondo gli investigatori, era altamente probabile che i rapinatori avrebbero colpito ancora.

A quel punto sono stati predisposti servizi di appostamento e controllo del territorio, effettuato da pattuglie in borghese che hanno perlustrato per diversi giorni la zona.

E proprio durante uno di questi servizi una delle pattuglie ha individuato quattro persone che corrispondevano esattamente alle descrizioni fornite dalle vittime. Oltre alle caratteristiche somatiche, corrispondevano anche alcuni particolari di abbigliamento, più volte ricorrenti nei reati denunciati, in particolare una giacca mimetica e un paio di scarpe rosso fiammante con punta d’acciaio.

Gli indagati, due dei quali hanno 17 anni, uno 20 e l’altro 21, hanno tutti origine egiziana.

Sono stati fermati mentre si trovavano su un tram, non senza difficoltà perché uno dei minorenni ha tentato di darsi alla fuga. In tasca aveva un coltello a serramanico, proprio come l’altro 17enne fermato.

Negli uffici del commissariato i fermati sono stati riconosciuti senza alcun dubbio dalle vittime di otto episodi di rapina, mentre sono ancora in corso i riconoscimenti da parte delle altre vittime.

fonte Polizia di Stato

La questione “Legittima Difesa”

fonte Rai.it

fonte Rai.it

A distanza di pochi giorni della tragedia avvenuta ad Ercolano, in provincia di Napoli, dove un gioielliere aveva sparato ed ucciso due rapinatori che gli avevano portato via i soldi appena prelevati in banca, si è verificato un altro grave episodio che oscilla tra la difesa legittima e la reazione eccessiva.

E’ l’una e trenta circa della notte fra il 19 ed il 20 ottobre 2015, siamo a Vaprio D’Adda, profonda provincia milanese, in una palazzina di via Cagnola, una stradina isolata. Francesco Sicignano, pensionato 65enne, svegliato dai rumori provenienti dal balcone ed esasperato da diversi furti subiti negli ultimi tempi, si alza dal letto, prende una pistola regolarmente detenuta e fa fuoco contro una sagoma che, al buio, gli veniva incontro puntandogli qualcosa, probabilmente una torcia. A terra rimane senza vita, colpito da un proiettile al petto, un ventiduenne albanese, disarmato, con precedenti penali e già espulso dall’Italia nel 2013. Il giovane, insieme a due complici (datisi alla fuga dopo gli spari), si era introdotto nella proprietà del pensionato con l’evidente intento di consumarvi un furto e, pare, sia stato colpito quando si trovava ancora sulla scalinata esterna della villetta a tre piani.

La procura della Repubblica di Milano, con il pm Antonio Pastore ed il procuratore aggiunto Alberto Nobili, in un primo momento aveva ipotizzato un eccesso di legittima difesa a carico del Sicignano, ma poi l’accusa si è trasformata in omicidio volontario. Sembra, infatti, che nell’abitazione dove si è verificato il dramma non ci fossero segni di effrazione, né sulle finestre, né sulle porte. Come già sottolineato, inoltre, il cadavere del giovane sarebbe stato trovato fuori dell’abitazione, su una scala esterna. In più, secondo i primi riscontri balistici, il proiettile che ha colpito il ladro al cuore avrebbe avuto una traiettoria dall’alto verso il basso, compatibile con un colpo sparato dalla cima delle scale verso i gradini più in basso, e non di certo all’interno dell’abitazione.

Quelle di Ercolano e di Vaprio D’Adda sono vicende che hanno scosso l’opinione pubblica e, c’era da aspettarselo, molti politici, soprattutto di destra, stanno cercando in tutti i modi di “cavalcare la paura”, facendo a gara a chi la “spara” più grossa: ci sono quelli come Salvini e la Meloni che propongono l’abolizione del reato di eccesso di legittima difesa, c’è chi come il sindaco di Borgosesia (Vercelli) ed eurodeputato Gianluca Buonanno che promette un bonus di 250 euro per tutti i suoi concittadini intenzionati ad acquistare un’arma, spingendosi addirittura a mostrare una pistola in diretta durante un’intervista di Sky Tg 24! Tutti questi politici dimenticano o fanno finta di dimenticare che, quando erano loro al governo, la situazione della sicurezza pubblica, con particolare riferimento alla diffusione dei delitti contro il patrimonio, non era molto diversa da quella attuale, con le immancabili polemiche che si accendevano ogni qualvolta si verificava un episodio analogo a quelli citati . Il pensionato di Vaprio D’Adda è stato addirittura trasformato in eroe popolare: la sera dopo il fatto, un corteo è sfilato sotto casa sua; al canto dell’Inno di Mameli da parte dei suoi concittadini, Francesco Sicignano e la sua famiglia sono usciti sul balcone a salutare e ringraziare. Il corteo di solidarietà era capeggiato da Riccardo De Corato e Carlo Fidanza di “Fratelli d’Italia”. “Sei uno di noi” ha urlato la gente al sessantacinquenne; poi l’inno a squarciagola ed un lungo applauso.

E la sinistra che fa? Rimane in silenzio, intrappolata dalle sue astrazioni buoniste, come sottolineato da Massimo Gramellini in un articolo pubblicato da “La Stampa”. Peraltro, prescindendo dai “silenzi” della sinistra e dallo “starnazzio” della destra, una cosa è certa: il dibattito sulla questione “Legittima Difesa” si è riaperto con forza; quella legittima difesa disciplinata dall’art.52 del Codice Penale e che da sempre ha suscitato discussioni infinite, soprattutto per quella serie di “paletti” fissati dalla norma affinché si possa invocare la scriminante: esistenza di un pericolo attuale ed offesa ingiusta, i mezzi a disposizione dell’aggressore, i mezzi di reazione a disposizione dell’aggredito ed il modo in cui ne ha fatto uso, il contemperamento tra l’importanza del bene minacciato dall’aggressore e del bene leso da chi reagisce; senza considerare che l’onere della prova incombe sul soggetto che ha difeso il diritto proprio o altrui (il quale, pertanto, dovrà indicare le circostanze e i fatti dai quali si rileva l’esistenza dell’esimente) e che la valutazione è rimessa al libero convincimento de giudice.
Una discussione seria su un tema così delicato andrebbe affrontata senza strumentalizzazioni politiche e non sull’onda dell’emozione, ma temo che, in un Paese dove si è in perenne campagna elettorale, ciò sia impossibile.

Personalmente ritengo che della sicurezza dei cittadini debba farsene carico lo Stato, al quale bisogna chiedere con forza di investire il massimo delle risorse affinché gli apparati deputati a tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica possano svolgere al meglio la loro delicata missione, con un controllo del territorio sempre più capillare. Ovviamente, a questo controllo più efficace del territorio dovrebbe accompagnarsi quella certezza della pena (unico vero deterrente contro i criminali) da sempre invocata da tutti gli schieramenti politici, ma che nessuno, e sottolineo NESSUNO, né di destra, né di sinistra, nei rispettivi avvicendamenti governativi, ha mai affrontato seriamente.

Risolvere la questione armando i cittadini ed ampliando i margini in cui poter invocare la scriminante della legittima difesa equivarrebbe a negare secoli di civiltà giuridica conquistata, equivarrebbe a tornare alla barbarie della “giustizia fai da te” tipica del “Far West”.
Invero, i suddetti margini sono stati già ampliati, e di molto, nel 2006, quando, di fronte all’esplosione dei casi di delitti contro il patrimonio, al sempre più diffuso senso di insicurezza della gente ed alla conseguente necessità di rafforzare le possibilità di difesa personale, l’art 52 del C.P. è stato riformulato con l’inserimento del 2° comma, che ha introdotto una “presunzione” assoluta (iuris et de iure) di proporzione tra difesa ed offesa. In particolare, con riferimento ai delitti commessi nei luoghi di privata dimora e negli esercizi commerciali e professionali, si è stabilito che è consentito usare, per “difendere la propria o l’altrui incolumità” o “i beni propri o altrui”, un’arma legittimamente posseduta quando “vi è pericolo di aggressione e non vi è desistenza”. In tal modo, nel caso di aggressioni perpetrate nei luoghi menzionati, si è consentito qualunque tipo di difesa (anche quella che si concretizza nell’uccisione dell’aggressore) a protezione anche di beni di natura meramente patrimoniale: purché l’arma usata per difendersi sia legittimamente detenuta e purché, soprattutto, non vi sia “desistenza” da parte dell’aggressore. Nei casi di tentativi di furti nei luoghi di cui trattasi, pertanto, il discrimine fra uccisione legittima del ladro e uccisione vietata, e quindi perseguibile come omicidio, è individuabile, sostanzialmente, nella circostanza che l’aggressione sia ancora in corso nel momento della uccisione. Sparare al ladro in azione, e pertanto potenzialmente offensivo, è dunque lecito; sparare al ladro in fuga costituisce invece omicidio doloso, in quanto, salvo che per difendersi, a nessuno è consentito uccidere.

Orbene, se la questione “legittima difesa” continua a riproporsi anche in presenza di un’estensione così ampia dell’art. 52, significa che la soluzione del problema non va individuata in un ulteriore allargamento dei margini di “impunità” di chi si difende (si rischierebbe davvero di concedere al cittadino la cosiddetta “licenza di uccidere”), ma sono altre, e di segno radicalmente opposto, le soluzioni da individuare, come quelle, ad esempio, alle quali ho già fatto riferimento: a) potenziamento di personale e mezzi delle Forze di Polizia, e perché no, unificazione delle stesse Forze, in modo che si possa finalmente realizzare un serio, concreto e capillare controllo del territorio; b) CERTEZZA DELLA PENA, intesa nel senso che chi viene riconosciuto colpevole di delitti gravi, tra cui il furto in abitazione o altri luoghi di privata dimora, non può beneficiare di misure alternative, ma deve scontare in carcere e per intero la pena alla quale è stato condannato.
Tutto il resto è sterile polemica, alimentata strumentalmente con il cinico intento di raggranellare qualche pugno di voti in più.

di Dott. Rosario Calardo

Pozzuoli. Rapina a un centro scommesse, la polizia arresta un quindicenne. Caccia al complice

Ha solo 15 anni il giovanissimo rapinatore arrestato, nella serata di ieri, dagli agenti del commissariato di polizia di Pozzuoli all’uscita di una sala scommesse, dove con un complice, arma in pugno, aveva portato via l’incasso di oltre 1.250 euro.

Nell’ambito dei controlli del territorio, poco dopo le 20 di ieri, l’attenzione dei poliziotti è stata attratta da un uomo che gesticolava in direzione di una sala scommesse in Corso Umberto I. Gli agenti, velocemente, dopo aver parcheggiato l’auto di servizio poco distante dalla sala scommesse, in maniera da non essere scorti, si sono diretti a piedi verso l’ingresso, vedendo uscirne, in quel preciso momento, due giovani. I due, alla vista della polizia, hanno dapprima tentato la fuga a bordo di una Vespa, parcheggiata davanti al locale, per poi scappare a piedi in direzioni opposte.

G.D.C., di 15 anni, è stato bloccato dopo una breve fuga, mentre il complice è riuscito a far perdere le sue tracce. Indosso al giovane, i poliziotti hanno rinvenuto, nella tasca dei pantaloni, una pistola giocattolo, perfetta replica di un’arma da sparo del tipo semiautomatico, priva del tappo rosso e, all’interno di una busta in plastica, due cappellini di lana, ai quale erano stati praticati due fori, a mo’ di passamontagna, oltre a numerose banconote di vario taglio, pari alla somma di 1.252,70 euro. In evidente stato di choc la dipendente del centro scommesse, che confermava d’esser stata rapinata dell’incasso della giornata, pochi secondi prima.

I poliziotti hanno accertato che la Vespa era stata rubata ad una donna 2 mesi fa, in Via Cavone San Gennaro dei Poveri, provvedendo alla restituzione alla legittima proprietaria. Il 15enne è stato arrestato e condotto al centro di prima accoglienza dei Colli Aminei, perché responsabile, in concorso con altra persona, del reato di rapina aggravata e ricettazione. Acquisite dalla polizia le immagini del sistema di videosorveglianza della sala scommesse, che potranno essere utile all’identificazione del complice del 15enne.

fonte Il Mattino

Sequestro di beni e 24 arresti a Latina nell’operazione “Don’t Touch”

Incensurati e pregiudicati, tra le 24 persone arrestate, questa mattina, dalla Squadra mobile di Latina nell’operazione chiamata “Don’t Touch“.

Le indagini hanno preso il via nel mese di agosto del 2014, dopo il ferimento con colpi d’arma da fuoco del proprietario di una rivendita di tabacchi nel centro di Latina.

Gli investigatori hanno così individuato un gruppo criminale ben organizzato e operante nel capoluogo pontino retto da tre noti pregiudicati del posto.

Diversi i reati contestati nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dalla Procura di Latina che vanno dall’estorsione, usura, spaccio di stupefacenti, porto e detenzione di armi da fuoco, minacce e lesioni.

Sono stati sequestrati beni per 12 milioni di euro e l’indagine è stata svolta in collaborazione con lo Sco (Servizio centrale operativo); si tratta in prevalenza di quote societarie, ma anche d’immobili, di una barca a vela, auto e moto e i conti correnti delle 15 società di uno dei capi della banda intestate in maniera fittizia a terze persone.

Per l’operazione, di questa mattina, sono stati impiegati gli uomini delle Squadre mobili di Latina, Roma, Napoli e Caserta nonché del quelli del Reparto prevenzione crimine, insieme al Reparto cinofili e un elicottero del reparto volo di Pratica di Mare.

fonte Polizia di Stato

Guerra di Camorra: 11 arresti tra “I Capelloni” del clan Mazzarella

Associazione per delinquere di tipo mafioso, omicidio, tentato omicidio, porto e detenzione illegale di armi da fuoco, sono i reati, aggravati dal metodo mafioso, di cui sono accusati gli undici fermati questa mattina dalla Squadra mobile di Napoli.

Gli indagati appartengono al clan camorristico dei “Buonerba“, meglio conosciuti come “I Capelloni“, da sempre legati alla storica famigliaMazzarella“.

I reati si riferiscono in particolare alla faida in corso negli ultimi mesi nel quartiere Forcella contro gli esponenti del clan rivale che fa capo alle famiglie Sibillo, Giuliano, Brunetti e Amirante.

Durante le perquisizioni gli agenti della Mobile hanno sequestrato droga, armi e ordigni rudimentali ad alto potenziale.

In particolare sono stati fermati mandanti ed esecutori materiali dell’omicidio di Salvatore D’Alpino e del ferimento di Sabatino Caldarelli, avvenuti lo scorso 30 luglio. Tra gli arrestati anche gli esecutori materiali del tentato omicidio di Giuseppe Memoli, avvenuto a Napoli il 9 agosto scorso.

L’indagine, condotta da Mobile e Servizio centrale operativo (Sco) e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia partenopea, ha monitorato l’attività a Forcella del clan Buonerba e la dura lotta armata combattuta per le strade del quartiere contro i rivali della famiglia Sibillo. Oggetto della contesa la gestione dello spaccio di droga e il racket delle estorsioni.

Ad avvalorare le tesi degli investigatori le numerose intercettazioni telefoniche, ambientali e videoriprese, che documentano dettagliatamente le attività illecite del gruppo criminale.

Tra gli indagati anche due donne che, all’interno dell’organizzazione, ricoprivano un ruolo di primo piano; in particolare una è stata arrestata in flagranza di reato perché aveva in casa due ordigni esplosivi artigianali e sostanze stupefacenti, mentre un’altra è accusata di essere tra i mandanti dell’omicidio di Salvatore D’Alpino.

fonte Polizia di Stato

Foggia: rapine agli autogrill, tre arresti

Mentre erano in servizio di appostamento per vigilare sulla stazione di servizio, due poliziotti della Polizia stradale di Foggia hanno arrestato tre rapinatori nell’area di servizio Daunia Est, della A/14 Bologna-Taranto.

Nella notte gli agenti hanno notato due persone che, col volto coperto da passamontagna, erano entrati nel locale adibito a cassa carburanti; subito i poliziotti sono passati all’azione sorprendendo i due malviventi, uno dei quali aveva una pistola in mano, che avevano appena compiuto la rapina ai danni del benzinaio.

Nel frattempo un terzo criminale arrivava dal bar adiacente con in mano la cassa del locale. Anche questo veniva bloccato dagli agenti, mentre il quarto uomo, che faceva il “palo” all’esterno è riuscito a scappare nelle campagne.

La refurtiva recuperata è stata di 530 euro: 240 sottratti al distributori carburanti, 202 alla cassa del bar e 78 euro in tagliandi “gratta e vinci”.

fonte Polizia di Stato

Armi da caccia: i consigli per usarle in sicurezza

La polizia di Stato ricorda ai cacciatori che attendono l’apertura della stagione venatoria gli accorgimenti e gli obblighi da seguire

Sta per aprirsi la stagione venatoria e tornano utili i consigli sull’uso delle armi da caccia che la Polizia di Stato ricorda ai cacciatori per ridurre al minimo la possibilità di incidenti.

Dalle azioni più semplici, come sedersi per una sosta con il fucile a fianco, poggiare l’arma a terra o trasportarla a spalla con una cinghia, a quelle via via più specializzate come la scelta del tipo di arma – a canna liscia o rigata – per la caccia agli ungulati, sono tanti gli aspetti da considerare per maneggiare e usare in sicurezza il fucile.

Tra le tante indicazioni, c’è ad esempio quella su corretto modo di poggiare l’arma sul terreno. È pericoloso, infatti, spiegano gli esperti della Polizia, farlo dalla parte della volata, perché quest’abitudine può portare a un’occlusione parziale della canna che può causare a sua volta un aumento anomalo della pressione interna al momento dello sparo, causa accertata di molti episodi di scoppio della canna.

Importante è anche la scelta del proiettile più idoneo al proprio ambito territoriale di caccia: i proiettili blindati delle carabine, ad esempio, sono più soggetti al rimbalzo, quindi è meglio non usarli per sparare a brevi distanze quando ci sono pareti rocciose.

Sullo sfondo, le precauzioni fondamentali da osservare per chiunque si avvicini o faccia parte del mondo della caccia, come ad esempio maneggiare sempre l’arma come se fosse carica, quindi accertarsi che non ci siano cartucce in canna e nel serbatoio, questo anche prima di imbustarla o metterla nella custodia per trasportarla secondo le modalità previste dalla legge. Oppure, quando si spara nella boscaglia, accertarsi sempre prima che non ci sia nessuno nei paraggi.

È molto importante, inoltre, tenersi aggiornarti sulle disposizioni a livello provinciale, soprattutto per quanto riguarda le prescrizioni stabilite dalle questure per la conservazione delle armi, come quella di utilizzare un armadio blindato.

fonte Ministero dell’Interno