fonte Rai.it
A distanza di pochi giorni della tragedia avvenuta ad Ercolano, in provincia di Napoli, dove un gioielliere aveva sparato ed ucciso due rapinatori che gli avevano portato via i soldi appena prelevati in banca, si è verificato un altro grave episodio che oscilla tra la difesa legittima e la reazione eccessiva.
E’ l’una e trenta circa della notte fra il 19 ed il 20 ottobre 2015, siamo a Vaprio D’Adda, profonda provincia milanese, in una palazzina di via Cagnola, una stradina isolata. Francesco Sicignano, pensionato 65enne, svegliato dai rumori provenienti dal balcone ed esasperato da diversi furti subiti negli ultimi tempi, si alza dal letto, prende una pistola regolarmente detenuta e fa fuoco contro una sagoma che, al buio, gli veniva incontro puntandogli qualcosa, probabilmente una torcia. A terra rimane senza vita, colpito da un proiettile al petto, un ventiduenne albanese, disarmato, con precedenti penali e già espulso dall’Italia nel 2013. Il giovane, insieme a due complici (datisi alla fuga dopo gli spari), si era introdotto nella proprietà del pensionato con l’evidente intento di consumarvi un furto e, pare, sia stato colpito quando si trovava ancora sulla scalinata esterna della villetta a tre piani.
La procura della Repubblica di Milano, con il pm Antonio Pastore ed il procuratore aggiunto Alberto Nobili, in un primo momento aveva ipotizzato un eccesso di legittima difesa a carico del Sicignano, ma poi l’accusa si è trasformata in omicidio volontario. Sembra, infatti, che nell’abitazione dove si è verificato il dramma non ci fossero segni di effrazione, né sulle finestre, né sulle porte. Come già sottolineato, inoltre, il cadavere del giovane sarebbe stato trovato fuori dell’abitazione, su una scala esterna. In più, secondo i primi riscontri balistici, il proiettile che ha colpito il ladro al cuore avrebbe avuto una traiettoria dall’alto verso il basso, compatibile con un colpo sparato dalla cima delle scale verso i gradini più in basso, e non di certo all’interno dell’abitazione.
Quelle di Ercolano e di Vaprio D’Adda sono vicende che hanno scosso l’opinione pubblica e, c’era da aspettarselo, molti politici, soprattutto di destra, stanno cercando in tutti i modi di “cavalcare la paura”, facendo a gara a chi la “spara” più grossa: ci sono quelli come Salvini e la Meloni che propongono l’abolizione del reato di eccesso di legittima difesa, c’è chi come il sindaco di Borgosesia (Vercelli) ed eurodeputato Gianluca Buonanno che promette un bonus di 250 euro per tutti i suoi concittadini intenzionati ad acquistare un’arma, spingendosi addirittura a mostrare una pistola in diretta durante un’intervista di Sky Tg 24! Tutti questi politici dimenticano o fanno finta di dimenticare che, quando erano loro al governo, la situazione della sicurezza pubblica, con particolare riferimento alla diffusione dei delitti contro il patrimonio, non era molto diversa da quella attuale, con le immancabili polemiche che si accendevano ogni qualvolta si verificava un episodio analogo a quelli citati . Il pensionato di Vaprio D’Adda è stato addirittura trasformato in eroe popolare: la sera dopo il fatto, un corteo è sfilato sotto casa sua; al canto dell’Inno di Mameli da parte dei suoi concittadini, Francesco Sicignano e la sua famiglia sono usciti sul balcone a salutare e ringraziare. Il corteo di solidarietà era capeggiato da Riccardo De Corato e Carlo Fidanza di “Fratelli d’Italia”. “Sei uno di noi” ha urlato la gente al sessantacinquenne; poi l’inno a squarciagola ed un lungo applauso.
E la sinistra che fa? Rimane in silenzio, intrappolata dalle sue astrazioni buoniste, come sottolineato da Massimo Gramellini in un articolo pubblicato da “La Stampa”. Peraltro, prescindendo dai “silenzi” della sinistra e dallo “starnazzio” della destra, una cosa è certa: il dibattito sulla questione “Legittima Difesa” si è riaperto con forza; quella legittima difesa disciplinata dall’art.52 del Codice Penale e che da sempre ha suscitato discussioni infinite, soprattutto per quella serie di “paletti” fissati dalla norma affinché si possa invocare la scriminante: esistenza di un pericolo attuale ed offesa ingiusta, i mezzi a disposizione dell’aggressore, i mezzi di reazione a disposizione dell’aggredito ed il modo in cui ne ha fatto uso, il contemperamento tra l’importanza del bene minacciato dall’aggressore e del bene leso da chi reagisce; senza considerare che l’onere della prova incombe sul soggetto che ha difeso il diritto proprio o altrui (il quale, pertanto, dovrà indicare le circostanze e i fatti dai quali si rileva l’esistenza dell’esimente) e che la valutazione è rimessa al libero convincimento de giudice.
Una discussione seria su un tema così delicato andrebbe affrontata senza strumentalizzazioni politiche e non sull’onda dell’emozione, ma temo che, in un Paese dove si è in perenne campagna elettorale, ciò sia impossibile.
Personalmente ritengo che della sicurezza dei cittadini debba farsene carico lo Stato, al quale bisogna chiedere con forza di investire il massimo delle risorse affinché gli apparati deputati a tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica possano svolgere al meglio la loro delicata missione, con un controllo del territorio sempre più capillare. Ovviamente, a questo controllo più efficace del territorio dovrebbe accompagnarsi quella certezza della pena (unico vero deterrente contro i criminali) da sempre invocata da tutti gli schieramenti politici, ma che nessuno, e sottolineo NESSUNO, né di destra, né di sinistra, nei rispettivi avvicendamenti governativi, ha mai affrontato seriamente.
Risolvere la questione armando i cittadini ed ampliando i margini in cui poter invocare la scriminante della legittima difesa equivarrebbe a negare secoli di civiltà giuridica conquistata, equivarrebbe a tornare alla barbarie della “giustizia fai da te” tipica del “Far West”.
Invero, i suddetti margini sono stati già ampliati, e di molto, nel 2006, quando, di fronte all’esplosione dei casi di delitti contro il patrimonio, al sempre più diffuso senso di insicurezza della gente ed alla conseguente necessità di rafforzare le possibilità di difesa personale, l’art 52 del C.P. è stato riformulato con l’inserimento del 2° comma, che ha introdotto una “presunzione” assoluta (iuris et de iure) di proporzione tra difesa ed offesa. In particolare, con riferimento ai delitti commessi nei luoghi di privata dimora e negli esercizi commerciali e professionali, si è stabilito che è consentito usare, per “difendere la propria o l’altrui incolumità” o “i beni propri o altrui”, un’arma legittimamente posseduta quando “vi è pericolo di aggressione e non vi è desistenza”. In tal modo, nel caso di aggressioni perpetrate nei luoghi menzionati, si è consentito qualunque tipo di difesa (anche quella che si concretizza nell’uccisione dell’aggressore) a protezione anche di beni di natura meramente patrimoniale: purché l’arma usata per difendersi sia legittimamente detenuta e purché, soprattutto, non vi sia “desistenza” da parte dell’aggressore. Nei casi di tentativi di furti nei luoghi di cui trattasi, pertanto, il discrimine fra uccisione legittima del ladro e uccisione vietata, e quindi perseguibile come omicidio, è individuabile, sostanzialmente, nella circostanza che l’aggressione sia ancora in corso nel momento della uccisione. Sparare al ladro in azione, e pertanto potenzialmente offensivo, è dunque lecito; sparare al ladro in fuga costituisce invece omicidio doloso, in quanto, salvo che per difendersi, a nessuno è consentito uccidere.
Orbene, se la questione “legittima difesa” continua a riproporsi anche in presenza di un’estensione così ampia dell’art. 52, significa che la soluzione del problema non va individuata in un ulteriore allargamento dei margini di “impunità” di chi si difende (si rischierebbe davvero di concedere al cittadino la cosiddetta “licenza di uccidere”), ma sono altre, e di segno radicalmente opposto, le soluzioni da individuare, come quelle, ad esempio, alle quali ho già fatto riferimento: a) potenziamento di personale e mezzi delle Forze di Polizia, e perché no, unificazione delle stesse Forze, in modo che si possa finalmente realizzare un serio, concreto e capillare controllo del territorio; b) CERTEZZA DELLA PENA, intesa nel senso che chi viene riconosciuto colpevole di delitti gravi, tra cui il furto in abitazione o altri luoghi di privata dimora, non può beneficiare di misure alternative, ma deve scontare in carcere e per intero la pena alla quale è stato condannato.
Tutto il resto è sterile polemica, alimentata strumentalmente con il cinico intento di raggranellare qualche pugno di voti in più.
di Dott. Rosario Calardo