Carabiniere violentava turiste straniere ospitate con Couchsurfing

di Il Corriere

Il militare di Padova era già stato arrestato un anno fa. Adesso lo accusano 16 ragazze di tutto il mondo. Intontiva le ragazze con droga nel vino e poi abusava di loro

Si faceva chiamare Leonardo, ma il realtà si chiama Dino Maglio, ha 35 anni e faceva il carabiniere a Padova. Adesso è nel carcere di Santa Maria Capua Vetere: 16 ragazze straniere giovanissime lo accusano di violenza sessuale. Secondo quanto ricostruito dal pm Giorgio Falcone l’uomo ospitava in casa le turiste straniere tramite il sito Couchsurfing, conosciuto in tutto il mondo perché permette di offrire e trovare ospitalità per viaggiare in tutto il mondo. Ma dopo aver accolto le sue ospiti con gentilezza e averle accompagnate per un giro turistico in città le drogava con un «vino speciale», come lui lo presentava. Mischiato infatti c’era sonnifero (poi sequestrato nella sua abitazione) e le ragazze, intontite, venivano violentate. Un copione che si è ripetuto molte volte, probabilmente gli episodi sono stati almeno 16 e hanno coinvolto polacche, portoghesi, americane, tre amiche della Repubblica Ceca, due giovani di Hong-Kong, una tedesca, un’argentina, un’armena, una canadese e un’australiana. La storia è stata raccontata sull’Espresso che ha raccolto le testimonianze delle ragazze.

Il primo arresto
Dino Maglio è stato arrestato un anno fa dopo la denuncia di una sedicenne australiana, ospitata a Padova con la madre e la sorella. Era stata proprio la madre ad accorgersi che qualcosa di molto grave era accaduta alla figlia, dopo averla trovata nel letto di Dino, senza mutandine, in stato di semi incoscienza. Parte la denuncia. Dino Maglio viene arrestato. Lui nega e dice: «Era consenziente». La ragazza invece lo accusa di stupro e racconta di non essere riuscita a fuggire perché intontita da qualcosa. Il famoso vino.

I domiciliari e nuovi profili Couchsurfing
Il carabiniere ottiene i domiciliari. Si riscrive a Couchsurfing con altro profilo e ricomincia da capo. Ospita altre ragazze, le violenze si ripetono e viene arrestato di nuovo (e sospeso dall’Arma). Sul profilo Couchsurfing di Maglio compaiono le prime recensioni negative ma lui minaccia le sue vittime attraverso i social e intima loro di cancellare quei commenti facendosi forza proprio del fatto di essere carabiniere. La security di Couchsurfing ha più volte cancellato il profilo del carabiniere e anche quelli nuovi che ha aperto dopo le segnalazioni delle ragazze.

Il processo
Ora Dino Maglio attende il processo che comincerà il 17 marzo a Padova. Oltre all’australiana lo accusano altre sette ragazze che hanno presentato denuncia. Le altre hanno raccontato la loro storia al centro di giornalismo d’inchiesta Irpi (Investigative Reporting Project Italy).

I racconti
I racconti delle turiste straniere sono tutti tremendamente identici. Una polacca racconta: «Mi sono trovata nel letto con Dino, ero intorpidita, non riuscivo a muovermi. Quando ho ripreso conoscenza mi stava violentando». Una giovane della Repubblica Ceca in compagnia di una portoghese ricorda: «Siamo tornati alle sei del mattino, lui ha insistito a volerci far bere del vino speciale. A un certo punto vedevo doppio, non riuscivo più ad alzarmi. Ha iniziato a toccarmi, si è sdraiato su di me e io non riuscivo ad andare via. Poi non ricordo più niente».

Svizzera, inseguimento tra poliziotti elvetici e italiani: incidente diplomatico in autostrada nel Ticino

di Il Messaggero

Due poliziotti italiani fermati, disarmati, sottoposti a test con l’etilometro e interrogati per ore dai colleghi della Polizia Cantonale Ticinese. Rischia di provocare un incidente diplomatico tra Italia e Svizzera quanto accaduto alcuni giorni fa lungo l’A9, dove un automobilista italiano originario della provincia di Novara, poi rivelatosi ubriaco, è fuggito in Svizzera dopo avere speronato una pattuglia della Polstrada di Busto Arsizio (Varese).

Il fatto risale alla notte tra il 25 e il 26 gennaio scorso, ma lo si è appreso soltanto oggi. L’inseguimento è cominciato sull’autostrada A9, l’arteria lombarda che collega l’area metropolitana di Milano con Como e il confine con la Svizzera. Qui l’uomo, un piemontese di 57 anni, consapevole del suo stato di alterazione, ha speronato la pattuglia degli agenti di Busto Arsizio.

Costretti a fermarsi, i poliziotti hanno però lanciato subito l’allarme, chiedendo l’intervento dei colleghi della squadra volante di Como. Il fuggitivo è stato inseguito in territorio italiano. Poi, quando gli agenti hanno intuito che l’obiettivo dell’uomo era raggiungere il paese elvetico, hanno chiesto e ottenuto dal Centro di cooperazione di polizia doganale di Chiasso (l’organismo costituito da Confederazione Svizzera e Repubblica Italiana per la cooperazione tra le autorità di polizia e doganali) l’autorizzazione per entrare in territorio elvetico, sulla base delle disposizioni degli accordi di Schengen.

L’automobilista è stato infine fermato da una pattuglia svizzera cinque chilometri dopo la frontiera, nell’area di servizio di Coldrerio (Comune svizzero del Canton Ticino) ed è stato denunciato. La vicenda, però, non è finita qui. Poco dopo sono infatti sopraggiunti i poliziotti italiani, attardati in dogana in attesa del via libera al loro ingresso in Svizzera.

Ma a quel punto i colleghi elvetici li hanno disarmati, sottoposti ad alcoltest e li hanno scortati fino a Lugano, in caserma, dove gli agenti sono stati trattenuti per oltre tre ore e interrogati separatamente. Riaccompagnati in frontiera, sono state restituite loro le armi. Il loro rapporto di servizio è stato inviato dalla procura di Como al ministero degli Esteri per valutare se il comportamento dei poliziotti ticinesi è stato conforme alle regole.

‘Ndrangheta, perquisizione a casa di Vincenzo Iaquinta

di Il Corriere

Il padre, Giuseppe Iaquinta, era tra i 117 arrestati dell’inchiesta sulla presenza della ‘Ndrangheta in Emilia.

BOLOGNA – Nell’ambito dell’indagine Aemilia della Dda di Bologna è in corso una perquisizione a casa di Vincenzo Iaquinta, ex attaccante della nazionale azzurra campione del mondo di calcio. Il padre, Giuseppe Iaquinta, era tra i 117 arrestati. A quanto si apprende, l’abitazione dell’ex calciatore oggetto della perquisizione dei carabinieri è a Quattro Castella comune del Reggiano.

Al centro dell’inchiesta due pistole trovate ieri in un’altra perquisizione, in una cassaforte a casa del padre Giuseppe. Le armi sarebbero regolarmente detenute dall’ex calciatore, ma il padre, in seguito ad un divieto, non poteva averle in casa.

LA PERQUISIZIONE – La perquisizione a casa di Giuseppe Iaquinta è stata delegata dalla Dda di Bologna e le due pistole, una calibro 38 e una calibro 7,65, sono state trovate all’interno di una cassaforte, in un sottoscala nel seminterrato. Le due armi dovevano essere detenute a Quattro Castella, dove l’ex calciatore risiede. Il divieto di porto d’armi per il padre fu deciso dalla prefettura di Reggio Emilia, dopo la cena del 21 marzo 2012, in un ristorante della città: è la cena alla quale parteciparono oltre al politico Giuseppe Pagliani di Forza Italia (anche lui tra gli arrestati dalla Dda come il padre di Iaquinta) anche altre persone ritenute vicine alla `ndrangheta e secondo gli investigatori in quell’occasione fu siglato un patto tra il politico e le cosche. In seguito al ritrovamento delle pistole, oggi sono scattate ulteriori perquisizioni a casa di Iaquinta e di due fratelli

L’ORDINANZA – Nell’ordinanza del giudice si legge che «pur non essendo coinvolto nella consumazione di reati fine, Giuseppe Iaquinta è un soggetto di rilievo all’interno dell’organizzazione criminale. Egli, innanzitutto, è in stretto contatto con i vertici dell’associazione.» Il giudice scrive che sono state infatti accertate «frequentazioni con Grande Aracri Nicolino (il clan presente nel Reggiano, ndr) e nel luglio 2011 dopo un summit in Cutro a cui ha partecipato anche Gualtieri Antonio, è stato coinvolto nel progetto di realizzazione di un pool di imprese reggiane (vicine o contigue al sodalizio) per andare ad acquisire importanti appalti nella zona di Cutro o comunque in Calabria».

LA CARRIERA DI IAQUINTA – Iaquinta, oggi 35enne, è nato a Crotone e ha chiuso con il calcio a giugno 2013. Era nella spedizione azzurra del 2006 che vinse la Coppa del Mondo battendo in finale la Francia ai rigori. Nel Mondiale di Germania, Iaquinta fu uno dei grandi protagonisti con 5 presenze e una rete messa a segno contro il Ghana nella partita d’esordio vinta 2-0 dall’Italia. L’attaccante disputò anche la finale che consegnò la coppa ai ragazzi di Lippi. Con la maglia della Nazionale giocò anche lo sfortunato Mondiale del 2010. Iaquinta dopo aver giocato nel Padova e nel Castel di Sangro è passato all’Udinese, dove è rimasto per 7 stagioni prima di passare alla Juventus con cui è rimasto per cinque stagioni.

L’IMPRENDITORE – Sempre nell’ambito dell’inchiesta uno dei destinatari delle 117 misure di custodia cautelare della Dda di Bologna contro la `Ndrangheta, l’imprenditore Palmo Vertinelli, risulta latitante. Si tratta di un imprenditore, accusato tra l’altro di associazione a delinquere di tipo mafioso e ritenuto uno dei prestanome delle cosche nel Reggiano. Nel garage della sua abitazione sono state trovate auto di lusso. Secondo quanto si apprende, poi, dalla mattinata sono in corso altre perquisizioni collegate all’inchiesta Aemilia, e sono state sequestrate armi, munizioni e documenti. Vertinelli, 54 anni, nato a Cutro, viene definito dall’ordinanza del giudice Alberto Ziroldi – che si rifà a dichiarazioni di pentiti – «la forza economica» di Nicolino Grande Aracri in Emilia. L’imprenditore, proprio in ragione della vicinanza alla cosca, «era in grado di aggiudicarsi appalti nel settore dell’edilizia» e, di conseguenza, corrispondeva a Grande Aracri una parte dei suoi proventi, aiutandolo a sostenere le spese degli avvocati

Cocaina dalla camorra per Pescara due arresti della polizia e 24 indagati

di Il Messaggero

PESCARAStroncato dalla Polizia un traffico di droga tra Campania e Abruzzo: la squadra Mobile di Pescara, insieme a quelle di Chieti, Teramo e Napoli, stamani ha portato a termine l’operazione ‘Pitbull’, contro un gruppo criminale di matrice campana che, con cadenza settimanale, trasportava consistenti partite di cocaina, acquistate a Napoli e poi rivendute ad una rete di spacciatori attivi sulla costa abruzzese. Due le misure cautelari e 24 le persone complessivamente denunciate nell’indagine. Sono stati sottoposti ad obbligo dimora due napoletani di 51 anni, considerati i vertici del gruppo.

Eseguite, inoltre, una dozzina di perquisizioni, in quattro province, nei confronti dei componenti della rete di spacciatori di secondo livello – attivi tra Pescara, Montesilvano (Pescara), Silvi (Teramo) e Ortona (Chieti) – di cui facevano parte non solo rom locali, ma anche diversi insospettabili, tra cui il titolare di un bar, un’impiegata e un rivenditore di auto. L’indagine ‘Pitbull‘ – così si faceva chiamare uno degli spacciatori – è partita dall’arresto, a marzo del 2013, di un 43enne pescarese, nella cui abitazione, in pieno centro, furono trovati 600 grammi di cocaina. L’uomo era il referente locale del gruppo campano e si occupava della custodia e dello smistamento delle partite di cocaina, nonchè della riscossione dei proventi delle vendite; nel giorno dell’arresto fu trovata una lista contenente la contabilità del gruppo, il cui esame, insieme ad intercettazioni telefoniche, ha permesso di ricostruire le attività illecite.

In fuga dai carabinieri si schiantano con l’auto: due morti e tre feriti

di Corriere della Sera

I cinque ladri, tutti nomadi milanesi, avevano tentato di far saltare un bancomat: l’incidente sulla Paullese in direzione Tangenziale Est.

Un grave incidente stradale si è verificato nella notte tra venerdì e sabato a Milano quando, dopo un tentato furto nell’hinterland, la macchina dei ladri in fuga dai carabinieri è uscita di strada ribaltandosi. Due uomini sono morti e tre sono rimasti feriti.

Colpo fallito
L’episodio è accaduto intorno alle 3 della notte a Peschiera Borromeo (Milano), quando, secondo le prime ricostruzioni investigative, i cinque hanno tentato di far saltare un bancomat utilizzando il sistema dell’esplosione con una bomboletta di gas. Fallito il colpo si sono allontanati, ma sono stati intercettati dai carabinieri. Ne è nato un inseguimento durante il quale, sulla Paullese in direzione Tangenziale Est all’immissione con la Statale Paullese, i ladri hanno perso il controllo della vettura.

Auto rubata
I cinque ladri rimasti coinvolti nel grave incidente stradale che ha visto la morte di due occupanti dell’auto e il ferimento degli altri tre, viaggiavano su una vettura rubata. Lo hanno accertato le prime indagini dei carabinieri intervenuti dopo un allarme giunto in centrale operativa. I cinque sono tutti nomadi milanesi. Lo hanno confermato i carabinieri che procedono agli accertamenti senza escludere che i ladri appartengano tutti allo stesso nucleo famigliare allargato. I due deceduti avevano 42 e 24 anni. I tre feriti, che al momento si trovano piantonati in ospedale (due sono in condizioni gravi) hanno 23, 37 e 40 anni e si trovano ricoverati, rispettivamente, al S.Raffaele e a Niguarda di Milano, e alla clinica Humanitas di Rozzano (Milano). L’auto da loro guidata a folle velocità era rubata: si tratta di una Audi S6, una vettura molto potente, che viaggiava con una targa falsa sovrapposta a quella vera. I cinque hanno tentato di far saltare il Bancomat di un’agenzia della Banca popolare dell’Emilia Romagna, a Peschiera Borromeo. Il tentativo è però fallito, mentre l’esplosione della bomboletta di gas usata per tentare di sradicare lo sportello, ha creato allarme tra i residenti. Molte le chiamate al 112, che ha fatto convergere sul posto cinque pattuglie dell’Arma. Tutto si è poi svolto in pochi minuti, anche per via dell’alta velocità con cui la vettura percorreva le strade semivuote. Una gazzella dei carabinieri li ha intercettati e, proprio per non mettere a rischio l’incolumità di altri automobilisti, si è limitata a inseguirli senza perderli, e contemporaneamente predisponendo il loro blocco grazie al coordinamento con le altre pattuglie in zona. Prima che questo potesse accadere, però, la vettura, un’Audi S6 rubata, appena dopo essersi immessa dalla Tangenziale Est sulla strada Paullese, è uscita di strada ribaltandosi più volte. Erano le 2.58 quando il 118 è accorso, constatando la morte di due degli occupanti e il ferimento di altri tre, che sono stati portati alla clinica Humanitas di Rozzano (Milano), e al Niguarda e al S.Raffaele di Milano. Attualmente sono piantonati dai carabinieri. Nessun altro è rimasto coinvolto nell’incidente. Sul posto si è formata una coda a causa delle operazioni di rimozione dei pezzi dell’auto, e per la pulitura della strada.

Polizia postale, attenzione al virus Cryptoclocker

di ANSA

Un virus che blocca l’intero contenuto del Pc e di tutti gli eventuali apparecchi collegati in rete, e che viene rimosso da chi lo ha inviato solo dietro pagamento di un riscatto: è la nuove frode che circola su Internet e che ha già colpito centinaia di utenti. L’allarme arriva dalla polizia postale, che sta indagando sulla truffa per cercare di risalire agli ideatori del virus che sta già provocando danni economici significativi a cittadini e imprese.

Lo scenario è il seguente: l’utente di Internet riceve sulla propria posta elettronica un messaggio che fornisce informazioni su presunte spedizioni a suo favore oppure un testo che contiene un link relativo ad un acquisto effettuato online o ad altri servizi internet. Cliccando sul link incluso nella mail o aprendo l’allegato (solitamente un pdf), il gioco è fatto e il computer riceve una variante del virus “Cryptoclocker”.

Questo virus, spiega la polizia postale, è un programma che rende immediatamente illeggibili tutti i documenti presenti sia sul computer attaccato che sugli altri pc collegati in rete. Per rimuovere il virus è necessaria una procedura di decriptazione che solo chi ha creato l’infezione può attivare. Ed è qui che si realizza il ricatto: una schermata chiede infatti il pagamento di alcune centinaia di euro per riavere i documenti.

Quali sono le misure per contrare la minaccia? “In primo luogo – concludono gli esperti – occorre avere il software installato nel proprio computer sempre aggiornato e munirsi di un buon antivirus. E inoltre sempre buona norma avere un backup, una “copia d’emergenza” dei propri file e, infine, mai aprire mail non attese“.

Camorra, sequestrati 130 milioni di euro

di Il Corriere

L’operazione, condotta dal Nucleo investigativo di Padova, coinvolge 400 uomini. Sotto provvedimento: metà palazzo Belvedere, il palazzo «Onda», un centro direzionale e un Castello a Ponte nelle Alpi

PADOVA Beni per 130 milioni di euro sono stati sequestrati in otto regioni dai Carabinieri del Nucleo investigativo di Padova, alle prime ore di venerdì, a un campano, Francesco Manzo, nato nel 1944 a Nocera Inferiore, in provincia di Salerno, ma residente a Padova, pregiudicato, legato a un noto clan della camorra, sospettato di riciclaggio di ingenti somme di denaro. I militari dell’Arma hanno dato esecuzione a un decreto di sequestro preventivo d’urgenza, emesso dal Tribunale di Padova, su proposta della Direzione distrettuale antimafia di Venezia. Tra i beni sequestrati spiccano: il palazzo «Onda» davanti alla Città della Speranza a Padova, metà del palazzo Belvedere di fronte alla Stazione, sempre di Padova, un centro direzionale in via Cile e il Castello Bortoluzzi di Ponte nelle Alpi, nel Bellunese.

L’operazione vede impegnati circa 400 carabinieri, che stanno operando, con il supporto dei comandi provinciali interessati, nelle province di Padova, Vicenza, Treviso, Belluno, Ferrara, Bologna, Siena, Roma, Napoli, Salerno, Taranto, Matera, Cosenza e Varese. I dettagli dell’operazione sono stati illustrati in una conferenza stampa tenuta nel Comando provinciale Carabinieri di Venezia. Presente tra gli altri il procuratore distrettuale antimafia Luigi Delpino, il procuratore aggiunto Adelchi D’Ippolito e il comandante della Legione Veneto dei Carabinieri, generale Maurizio Mezzavilla.

Il sequestro riguarda l’intero patrimonio riconducibile a Manzo, balzato agli occhi per l’evidente sproporzione tra quanto risultava all’erario per lui e i suoi famigliari (10mila euro all’anno) e quanto invece era nelle sue disponibilità. A Manzo sono stati sequestrati: beni mobili e immobili per 130 milioni. Di cui: 350 unità immobiliari, 15 terreni, 1 fabbricato rurale, 52 società con capitale sociale di 1.450.000 euro, 224 rapporti bancari e 52 autovetture. Proprio la palese sproporzione tra lo stile di vita di Manzo e quanto dichiarato, unito ai suoi precedenti penali hanno fatto scattare le indagini e i provvedimenti. Sono inoltre in corso altre 42 perquisizioni.

Sgominata baby gang, carabiniere ferito

di La Repubblica

Scontro nella notte a Poggioreale tra un auto inseguita dalla polizia e un’altra con a bordo un militare dell’Arma: ne avrà per 30 giorni. Arrestati in quattro, tre dei quali minorenni, per possesso di arnesi atti allo scasso

Non si fermano a un controllo e nel corso dell’inseguimento in auto finiscono per scontrarsi con un’altra auto a bordo della quale c’è un carabiniere: è finita così la scorsa notte a Napoli la fuga di quattro giovani, di cui uno solo maggiorenne da pochi giorni mentre il più piccolo ha 15 anni. I quattro sono stati arrestati dalla polizia.

I fatti: gli agenti della sezione Volanti nel corso dei normali servizi di prevenzione e controllo del territorio hanno imposto l’alt agli occupanti di una Fiat Stilo che, con fare sospetto, si aggiravano in zona Poggioreale. Il conducente, invece di fermarsi, è fuggito a tutta velocità in direzione via Stadera ma in prossimità del restringimento della carreggiata l’autovettura si è schiantata contro un’altra auto condotta da un militare dell’Arma dei Carabinieri che si stava recando a lavoro. L’auto del militare è stata sbalzata contro un pilastro: la vittima, ricoverata in ospedale, ne avrà per 30 giorni.

I quattro giovani, uno solo dei quali non ha precedenti di polizia, sono residenti a Pollena Trocchia (Napoli) e nel quartiere napoletano di Ponticelli. In macchina nascondevano arnesi atti allo scasso di dubbia provenienza. Alla guida dell’auto, vi era uno dei tre minori. I tre minori sono stati arrestati perché responsabili, in concorso tra loro, di tentato omicidio e denunciati, in stato di libertà, per i reati di resistenza a pubblico ufficiale, ricettazione e possesso di arnesi atti allo scasso. Il maggiorenne, invece, è stato arrestato perché responsabile dei reati di ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale e denunciato, in stato di libertà, per possesso di arnesi atti allo scasso.

Le mani della ‘Ndrangheta sull’Emilia, carabinieri arrestano 117 persone

di La Repubblica

Altri 46 fermi in altre regioni. Ramificazioni all’estero. Cutro (Crotone) il centro dell’organizzazione. Chiesto sequestro di beni per 100 milioni di euro. In manette anche consigliere comunale forzista di Reggio Emilia. Agli arresti alcuni imprenditori, tra cui il padre del calciatore Vincenzo Iaquinta

I tentacoli della ‘Ndrangheta sono arrivati fino in Emilia. E’ in corso in queste ore una maxi operazione dei carabinieri, denominata Aemilia, che ha condotto all’arresto di 117 persone, per la maggior parte in Emilia. Si tratta di soggetti ritenuti responsabili a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi da fuoco, intestazione fittizia di beni, riciclaggio, emissione di fatture false. Il clan al centro dell’inchiesta è quello dei Grande Aracri di Cutro (Crotone), di cui è documentata da tempo l’infiltrazione nel territorio emiliano, soprattutto nella zona di Brescello dove vivono esponenti di spicco della cosca calabrese. Alcuni dei reati hanno carattere transnazionale, interessano Austria, Germania, San Marino. Chiesto il sequestro di beni per 100 milioni di euro.

“Un intervento che non esito a definire storico, senza precedenti. Imponente e decisivo per il contrasto giudiziario alla mafia al nord”. Queste le parole utilizzate dal Procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti in conferenza stampa. Poi ha aggiunto: “Non ricordo a memoria un intervento di questo tipo per il contrasto a un’organizzazione criminale forte e monolitica e profondamente infiltrata”.

Una parte consistente dell’inchiesta riguarda, come detto, gli appalti della ricostruzione post terremoto e alcuni imprenditori emiliani. In particolare la “Bianchini costruzioni Srl” di Modena è riuscita ad ottenere “numerosissimi appalti” del Comune di Finale Emilia in relazione – si legge nell’ordinanza – ai lavori conseguenti il sisma del maggio 2012 e altri in materia edile e di smaltimento rifiuti. Per questo Augusto Bianchini è finito in carcere, Alessandro Bianchini è invece ai domiciliari. Tra gli arrestati anche l’imprenditore Giuseppe Iaquinta, padre dell’ex calciatore della Juventus e campione del mondo Vincenzo Iaquinta.

Tra le persone colpite dai provvedimenti di custodia, il consigliere comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani, di Forza Italia. I carabinieri lo hanno prelevato dalla sua abitazione di Arceto di Scandiano, vicino a Reggio Emilia. Tra gli indagati c’è anche Giovanni Paolo Bernini, ex presidente del Consiglio comunale di Parma, allora appartenente a Forza Italia. Per lui la procura aveva chiesto l’arresto, ma il Gip non l’ha concesso. L’accusa a suo carico è di “aver contribuito pur senza farne parte al rafforzamento e alla realizzazione degli scopi dell’associazione mafiosa”, perché “richiedeva e otteneva dagli associati voti a suo favore in relazione alla campagna elettorale 2007 per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale di Parma”.

Agli arresti anche Nicolino Sarcone considerato anche da indagini precedenti il reggente della cosca su Reggio Emilia. Sarcone, già condannato in primo grado per associazione mafiosa, è stato recentemente destinatario di una misura di prevenzione patrimoniale che gli aveva bloccato beni per 5 milioni di euro. Dalle carte dell’inchiesta emergerebbe anche il sostegno elettorale imposto dai Grande Aracri ad alcuni candidati emiliani durante le amministrative.

L’indagine è condotta dalla procura distrettuale antimafia di Bologna che ha ottenuto dal gip del Tribunale le 117 custodie cautelari in Emilia, ma anche Lombardia, Piemonte, Veneto, Sicilia. Contestualmente si stanno muovendo le procure di Catanzaro e Brescia che hanno emesso 46 provvedimenti.

Nella lista dei nomi colpiti dall’ordinanza di custodia sono finiti anche Ernesto e Domenico Grande Aracri, i fratelli del boss già detenuto Nicolino Grande Aracri, detto “Mano di gomma”. Domenico è un avvocato penalista, il suo arresto è stato disposto dalla Dda di Bologna, mentre per Ernesto si è mossa la Dda di Catanzaro. Il centro di questa organizzazione è Cutro, piccola cittadina del crotonese: Nicolino Grande Aracri aveva intenzione di costituire una grande provincia in autonomia a quella reggina.

“Grande Aracri – ha spiegato il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo – si atteggia a capo di una struttura al di sopra dei singoli locali. E’ sostanzialmente il punto di riferimento anche delle cosche calabresi saldamente insediate in Emilia Romagna dove c’era una cellula dotata di autonomia operativa nei reati fine. I collegamenti tra Emilia Romagna e Calabria erano comunque continui e costanti e non si faceva niente senza che Grande Aracri lo sapesse e desse il consenso”.

Intanto emergono dettagli sui tentativi di intimidazione che il clan aveva messo in atto nell’area emiliana. Non solo su imprenditori e istituzioni, ma anche su giornali. Nelle carte dell’inchiesta vengono ricostruite le minacce a una giornalista di un quotidiano, mentre un altro giornalista è finito agli arresti. In manette anche sei “talpe”, che informavano i Grande Aracri. Si tratta di tre ex carabinieri in congedo e tre poliziotti. Sul campo sono impiegati al momento un migliaio di militari con il supporto anche di elicotteri.

Sequestro sventato dai carabinieri Obiettivo: figlio di imprenditrice

di Il Corriere

Un ristoratore padovano indebitato aveva assoldato due polesani. Il colpo doveva scattare mentre la donna portava il 13enne a scuola. «Pensavo fosse Scherzi a parte»

VICENZA Sventato dai Ros dei carabinieri il sequestro del figlio di un imprenditore vicentino a Thiene. Tre le persone arrestate dai carabinieri di cui si attende la convalida. L’operazione è scattata alle prime ore di martedì e ha visto impegnati anche i carabinieri di Vicenza e di Rovigo. Perquisizioni sono in corso. Tutto nasce quando un ristoratore padovano indebitato, Massimo Silvestrin, 41 anni, di Este (Padova) assolda due polesani, Gianfranco Galani, 68 anni, autotrasportatore, e il figlio Antonio, 43, anni, per sequestrare il figlio di un’imprenditrice vicentina. I due studiano i movimenti della famiglia e si preparano a rapirlo mentre la madre lo accompagna a scuola al mattino. Nel mirino dei malviventi era finito il figlio tredicenne della titolare (con il nonno) di un’azienda di import export di bevande e catering L’intervento dei Ros è scattato martedì mattina poco dopo le sette quando la signora e il figlio stavano per uscire in auto da casa per andare a scuola.

I malviventi sono stati bloccati mentre attendevano le loro vittime in un parcheggio vicino. Per rapire il giovane vicentino avrebbero simulato una rapina. L’operazione degli investigatori era stata coordinata e avviata da settimane senza che la famiglia ne fosse al corrente ma creandole attorno un cordone di protezione. All’origine dell’inchiesta il fermo di una rodigina, ora indagata, che avrebbe rifiutato proposte di affiliazione alla banda avanzate degli organizzatori del rapimento. Sarebbero stati dei gravi problemi finanziari dei tre arrestati, in particolare di un ristoratore padovano che aveva assoldato i due polesani, all’origine del progetto di sequestro del giovane thienese. Il leader del gruppo criminale, secondo la procura, è un imprenditore padovano dell’area estense che conosceva la famiglia thienese e che aveva un cumulo di debiti anche con questa. Gli altri due arrestati sono padre e figlio residenti a Occhiobello (Rovigo) e Ferrara: il terzetto, rimasto in silenzio dopo le manette, sarebbe stato intenzionato a chiedere un riscatto tra uno o due milioni e aveva organizzato il nascondiglio del rapito in un casolare abbandonato. La signora si è detta incredula ed ha chiesto ai carabinieri se tutto fosse reale o non si trovasse davanti a una sorta di film o di «Scherzi a parte». Il giovane non sarebbe riuscito a trattenere le lacrime.