Assalto al caveau, raffiche di kalashnikov contro i carabinieri

di Repubblica

L’episodio a Quinto Vercellese. I banditi con una ruspa hanno preso di mira il deposito di un istituto di vigilanza. Diverse strade ancora bloccate. I rapinatori nella fuga hanno incendiato cinque auto. Forse un collegamento con l’assalto a un furgone portavalori avvenuto più tardi nell’Astigian.

Un vero assalto armato in stile paramilitare. È stato definita così dalle forze dell’ordine la tentata rapina che questa notte ha trasformato Caresanablot, piccolo paese alle porte di Vercelli, in un vero e proprio campo di battaglia. Con tanto di conflitto a fuoco. Un colpo, quello alla sede della Fidelitas, sulla strada che da Caresanablot porta a Quinto Vercellese, studiato nei minimi dettagli dal commando di dieci persone che, armati di pistole e kalashnikov, hanno esploso almeno una cinquantina di colpi all’indirizzo dei carabinieri, con 27 bossoli ritrovati in strada. “Sembrava il set di un film americano”, raccontano alcuni cittadini svegliati dalla raffica di colpi esplosi dai banditi in fuga. ”Siamo scesi in strada per capire cosa fosse successo. Abbiamo avuto molta paura”.

Tutto è iniziato intorno alle 2,30 di notte quando i banditi alla guida di auto, furgoni e di una ruspa, tutti mezzi rubati, hanno raggiunto da direzioni diverse l’edificio della società di vigilanza. Prima però, per poter assaltare l’agenzia in tutta sicurezza, i banditi hanno bloccato le strade di accesso alla zona dando fuoco ad alcune vetture rubate: dalla strada per Olcenengo a quella del ponte sull’Elvo, a Collobiano, fino alla provinciale per Vercelli. Almeno 11 le auto date alle fiamme e usate come diversivo dai malviventi. Poi, arrivati davanti al cancello della ditta hanno messo in moto la ruspa e l’hanno lanciata contro il muro della Fidelitas, più precisamente contro la “sala della conta”, ossia il caveau, dove è custodito il denaro che la ditta ha il compito di custodire per conto di terzi. Sono bastati pochi secondi perché il personale di turno della vigilanza si vedesse crollare il muro addosso e sentisse scattare l’allarme. Poi il far west in strada: i carabineri e i banditi aprono il fuoco. A quel punto il commando capisce che la rapina è fallita, risale sui mezzi rubati e riparte in direzione di Villarboit. A conferma ci sono le immagini delle telecamere di videosorveglianza che si trovano in zona. Una fuga fino a Greggio e Balocco dove vengono ritrovate altre auto incendiate, forse per cancellare le impronte e ogni indizio.

È probabile che i banditi abbiano percorso a piedi la stradina che porta al piazzale dell’Autogrill situato sull’autostrada Torino-Milano dove, probabilmente, ad attenderli c’erano delle auto ‘pulitè per la fuga finale. Non ci sono dubbi che si tratti di una banda di professionisti che arriva da fuori, probabilmente anche collegata all’assalto avvenuto a Lodi il 28 novembre scorso quando una decina di malviventi dopo aver cosparso l’asfalto di chiodi e bloccato la circolazione con auto e furgoni messi in mezzo alla strada e dati alle fiamme, aveva tentato un assalto un furgone portavalori. Al momento non si esclude nemmeno un collegamento con un colpo avvenuto stamatina alle 8 nell’Astigiano. A Pontesuero tre banditi hanno bloccato il conducente di un furgone di una ditta di Alessandria, che trasportava le monetine delle slot-machine. Lo hanno picchiato e si sono messi alla guida del mezzo. Il furgone è stato poi ritrovato due chilometri dopo in strada Valgera. I banditi si sono dati alla fuga con un bottino di circa 5mila euro.

Carabinieri e polizia di Vercelli stanno svolgendo le indagini visionando anche le immagini delle telecamere di sicurezza sia della ditta che quelle comunali. Del fatto è stata informata anche la procura di Vercelli.

Spara al figlio durante la lite in casa, 47enne muore in ospedale

di Il Mattino

È morto all’1.40 nella notte tra lunedi e martedi Federico Dri, 47 anni, l’uomo colpito dal padre con un colpo di pistola al culmine di una lite. L’uomo è stato sottoposto ad un lungo e complicato intervento chirurgico che sin dall’inizio è sembrato disperato. Una volta terminata l’operazione sono sopraggiunte ulteriori complicanze. Il padre Franco Dri, 73 anni, arrestato dai Carabinieri subito dopo l’aggressione, è agli arresti domiciliari come disposto dai magistrati della Procura di Pordenone.

Il dramma nella famiglia di Fiume Veneto (Pordenone) si era verificato le 18.30 di lunedi in un’abitazione di viale della Repubblica. Franco Dri, ex commerciante di elettrodomestici, aveva esploso un colpo di pistola centrando il figlio Federico al torace durante una lite. Quest’ultimo, gravemente ferito, era stato trasferito con un’ambulanza del 118 all’ospedale di Pordenone dov’era stato sottoposto per ore a un intervento chirurgico.

I Carabinieri della Compagnia di Pordenone in serata avevano formalizzato l’arresto di Franco Dri, 73 anni: l’ipotesi di reato da tentato omicidio nei confronti del figlio Federico si è successivamente trasformata in omicidio.

Da quanto si è appreso, l’anziano ha esploso un unico colpo, utilizzando un’arma di proprietà, regolarmente denunciata, al culmine dell’ennesimo litigio col figlio, con cui da anni c’era un rapporto burrascoso. La vittima dello sparo ha avuto problemi di dipendenze, lavorava saltuariamente e conducendo una vita che avrebbe progressivamente minato il rapporto con i genitori esasperando il rapporto con il padre.

All’alterco e successivo sparo non ha assistito la madre del ferito – e moglie dell’aggressore – che comunque era in casa, ma in un’ altra stanza.

Coltello e passamontagna, donna settantenne rapina l’edicola: “Ho solo la pensione minima”

di Repubblica

E’ successo nell’Astigiano: è stato il figlio della giornalaia a riconoscerla e a disarmarla. Fuggita, è stata denunciata a piede libero. Ai carabinieri la donna, che abita accanto al suo “obiettivo”, ha spiegato di non avere più soldi.

A 68 anni ha indossato un passamontagna e, armata di coltello, ha tentato di rapinare l’edicola sotto casa. È accaduto ad Agliano Terme, un paesino di 700 persone nell’Astigiano. I carabinieri di Asti l’hanno identificata e denunciata nel giro di poche ore. Merito delle indicazioni fornite dalle stesse vittime. Nonostante la donna avesse il volto coperto, l’hanno infatti immediatamente riconosciuta dal timbro della voce e dalla corporatura. Per convincere l’edicolante a consegnarle l’incasso, è entrata brandendo un coltello. “Dammi i soldi che hai” avrebbe detto l’aspirante rapinatrice, chiaramente non tanto pratica del mestiere. Il figlio della titolare infatti è riuscito subito a disarmarla, mettendola in fuga. La donna, scappata a piedi per le vie di Agliano. Ma in paese si conoscono davvero tutti. I carabinieri che l’hanno denunciata a piede libero per tentata rapina. Ancora mistero sul “movente” che ha armato la sua mano. Di certo la donna non naviga nell’oro: come ha spiegato ai carabinieri, percepisce solo la pensione minima di circa 500 euro.

L’amica non lo vuole più in casa, lui aggredisce i carabinieri: arrestato

di Il Messaggero

Un udinese di 35 anni è stato arrestato durante la notte nel quartiere di via Riccardo di Giusto. Nei suoi confronti è stata formulata l’accusa di violenza e resistenza a pubblico ufficiale. L’uomo, in attesa della prima udienza del processo per direttissima che sarà celebrata lunedì 26, è stato rinchiuso nella camera di sicurezza della caserma dei carabinieri di Udine est.

Secondo la ricostruzione dei militari dell’Arma, il trentacinquenne – già conosciuto dalle forze dell’ordine, M. M. sono le sue iniziali – ha aggredito un carabiniere, dapprima cercando di colpirlo con un pugno al volto e subito dopo afferrandolo per un braccio con forza.

Ciò è accaduto intorno all’una nel corso di un intervento in via Gozzer (una strada chiusa, laterale di viale Dino). La pattuglia si è presentata a casa di una donna che intendeva allontanare un ospite indesiderato.

Sin dal loro arrivo, i militari di Udine Est si sono accorti che sia la padrona di casa, sia il suo conoscente erano alterati, molto probabilmente dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo. Successivamente, poichè l’uomo non aveva alcun titolo per abitare in quell’appartamento, lo hanno invitato a raccogliere le sue cose e ad allontanarsi.

In un primo momento il trentacinquenne è parso collaborativo, sembrava essersi convinto della necessità di “fare le valige”. Poi, però, ha cambiato atteggiamento, facendo chiaramente capire che non voleva andarsene. All’improvviso si è scagliato contro un carabiniere, sfiorandolo con un pugno. C’è stata una colluttazione a seguito della quale il militare è finito al pronto soccorso dell’ospedale Santa Maria della Misericordia per una distorsione (i medici hanno emesso una prognosi di tre giorni). La centrale operativa del 112 ha poi inviato in supporto anche i colleghi del Nucleo radiomobile.

Poco dopo i carabinieri hanno effettuato un controllo all’interno dell’abitazione e in camera da letto hanno trovato 39 grammi di presunta sostanza da taglio. Tale materiale è stato sottoposto a sequestro e inviato al laboratorio di analisi di Sacile per ulteriori approfondimenti. Dell’accaduto è stato informato il magistrato di turno della Procura della Repubblica, il pm Barbara Loffredo.

Coltivava marijuana nella serra hi-tech: bagnino arrestato dai carabinieri

di Il Messaggero

Si terrà lunedì 26 alle 9.30 davanti al Gip, Roberto Venditti, l’udienza di convalida dell’arresto di D. M., il bagnino 32enne residente a Bevazzana arrestato venerdì dai Carabinieri della Compagnia di Latisana, dopo il ritrovamento nell’appartamento occupato dal giovane di una vera e propria coltivazione, altamente tecnologica, di marijuana.

Durante l’udienza – ha anticipato l’avvocato difensore Roberto Mete – il legale è intenzionato a chiedere al Gip, oltre alla scarcerazione del suo assistito, anche la non punibilità motivata con il fatto che le piante di marijuana, coltivate a casa del giovane, erano per uso personale. Richieste che si baserebbero soprattutto sul fatto che è incensurato ed estraneo ai circuiti criminali, collegati allo spaccio.

Al Gip sarà avanzata un’ulteriore richiesta: accertare esattamente i quantitativi sequestrati venerdì ed effettuare dei riscontri peritali. A quanto pare uno dei dubbi riguarderebbe le infiorescenze sequestrate che non erano ancora mature.

Nell’appartamento occupato dal 32enne, all’interno di un complesso residenziale di Bevazzana, i Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Latisana, hanno trovato una serra amovibile, con all’interno una coltura di marijuana: le piante, come si può vedere nelle foto, erano coltivate all’interno di una struttura dotata di lampade termiche, termoventilatori ed essiccatori, con il metodo idroponico, una speciale tecnica adottata per rendere lo stupefacente di alta qualità e a elevato principio attivo.

Abbastanza per procedere con l’arresto per l’accusa di coltivazione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio, come comunicato al Pm della Procura, Barbara Loffredo, non appena eseguito l’arresto.

Il giovane è ora in carcere a Udine.

Archeologia, scoperto traffico internazionale di reperti: avevano rubato anche in una domus di Pompei

da Repubblica.it

Gli oggetti rubati provenivano da importanti insediamenti in Campania. Ritrovate le 4 superfici affrescate che erano state rimosse dal sito archeologico più visitato al mondo

 foto da Repubblica

foto da Repubblica

Un’associazione per delinquere finalizzata allo scavo illecito e al traffico internazionale di reperti provenienti dai più importanti siti archeologici campani è stata smantellata dai carabinieri della stazione di Calvi Risorta (Caserta) e dai colleghi del nucleo tutela patrimonio culturale di Napoli.

L’operazione “Dedalo”, coordinata dalla procura di Santa Maria Capua Vetere, ha portato a 19 arresti nelle province di Caserta, Napoli, Salerno, Frosinone e Latina. Recuperati oltre 1.500 reperti archeologici di diversa natura e datazione nonché numerosi reperti contraffatti per un valore complessivo di un milione e 600mila euro.

Ci sono anche affreschi pompeiani, per fortuna ora recuperati, nel bottino della banda di tombaroli. Nel corso di una perquisizione effettuata a Pompei nell’area della civita Giuliana, adiacente agli scavi più famosi del mondo, nel giardino di una abitazione è statoscoperto uno scavo clandestino che portava a un ambiente di una villa romana le cui quattro superfici affrescate erano già state rimosse.

Ora quei reperti sono stati recuperati, e sono tra quei beni di elevato valore archeologico: nel materiale figurano anche un cratere a campana di grandi dimensioni del IV-II secolo a.C., un’anfora della Magna Grecia con coperchio e una a due anse verticali, tutti e tre attribuiti al pittore Assteas di Paestum.

Lotta alle mafie

Falcone-e-BorsellinoArticolo dal sito del Ministero degli Interni

Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene (Paolo Borsellino)

Le politiche di lotta alle mafie prevedono un’azione integrata che affianca alla prevenzione e alla repressione, azioni sistematiche che colpiscono con sequestri e confische i beni mafiosi per destinarli a fini sociali. Tali beni sono gestiti dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

Elenco dei latitanti di massima pericolosità
Nelle attività di contrasto alla criminalità, il ministero dell’Interno adotta strategie di ricerca e cattura dei latitanti più pericolosi e di gestione dei collaboratori di giustizia. L’elenco dei latitanti viene costantemente aggiornato e condiviso con gli uffici di polizia di tutto il mondo.

Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso
Affianca la politica di prevenzione e contrasto delle mafie, la strategia solidaristica che il Governo mette in campo a sostegno delle vittime dei reati mafiosi. Un apposito Fondo, gestito dal Commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso, nominato dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Interno, è alimentato da un contributo annuale dello Stato, da somme derivanti dalla vendita dei beni confiscati alle organizzazioni mafiose e da una quota, definita annualmente con decreto del ministro dell’Interno, del contributo devoluto al Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura sui premi assicurativi.

Vittime del dovere
Attività solidaristica appositamente dedicata agli operatori di polizia e altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subìto un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto.

Carabinieri, diventa un caso l’encomio solenne al maresciallo addetto stampa

di Il Giornale

L’Arma premia il sottufficiale che si occupò dei rapporti con giornali e tv in occasione del Bicentenario. Ma molti suoi colleghi non sono d’accordo: non ha mica rischiato la pelle.

Il linguaggio è quello che in genere si riserva per celebrare militari che hanno messo a repentaglio la vita in guerra o nella vita civile, ma stavolta l’effetto è irresistibilmente comico. Perché a venire premiato con l’«encomio solenne» non è un carabiniere che ha affrontato dei malviventi armi in pugno, ma un maresciallo in servizio all’ufficio stampa del comando generale. Incarico delicato, indubbiamente, ma a distanza di sicurezza dalla dura vita di chi pattuglia sulle Gazzelle le periferie delle metropoli o di chi indaga su terrorismo e malavita. Ed è ben vero che a volte avere a che fare con i giornalisti richiede più determinazione che inseguire un bandito, però il premio concesso al sottufficiale sta ugualmente sollevando critiche e ironie. Specialmente da quando ad avanzare i primi dubbi è stato Angelo Jannone, già colonnello del Ros, uno che per la lotta al crimine si è esposto in prima persona.

Si legge nel testo del provvedimento: «Senza deflettere dagli ordinari e gravosi impegni del proprio incarico, con altissimo senso del dovere, convinta abnegazione e elevata competenza, forniva determinante e qualificato apporto alle attività finalizzate a conferire risalto mediatico, su tutto il territorio nazionale e per l’intero anno 2014, alle molteplici e complesse iniziative connesse con la particolare ricorrenza, collaborando altresì alla realizzazione a cura di emittenti radiotelevisive e tastate giornalistiche nazionali di specifici programmi di approfondimento incentrati sulla storia, le tradizioni e le funzioni dell’istituzione, che registravano elevati livelli di ascolto e di diffusione». Una medaglia al merito dello share. «Che vergogna, colonnello – è uno dei commenti piovuti sulla pagina Facebook di Jannone – io due buchi alla gamba destra in un conflitto a fuoco… Manco un apprezzamento!». E c’è chi usa l’arma dell’ironia: «Manca qualcosa, l’aggiungo io: “fulgido esempio di elette virtù militari, immolava la sua esistenza consumando una penna bic fino all’ultima goccia“!»

Caserta, ospedale gestito dai boss della camorra: blitz contro i casalesi, 24 arresti

di Il Messaggero

Ventiquattro persone sono state arrestate in un’operazione della Dia di Napoli nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Procura di Napoli su appalti truccati delle Asl di Caserta aggiudicati a imprese del clan dei Casalesi, con l’appoggio di politici e amministratori pubblici. Sequestrate anche società e beni.

L’operazione è scattata nelle prime ore di stamani. Gli arresti sono stati fatti nelle provincie di Caserta, Napoli e Verona. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono associazione per delinquere di tipo mafioso, corruzione, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e abuso d’ ufficio. L’inchiesta riguarda una serie di presunti appalti truccati indetti dall’ Azienda Sanitaria Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta.

Dall’indagine è emerso che l’ex sottosegretario all’Economia e coordinatore del Pdl in Campania, Nicola Cosentino, è stato «referente politico del sistema criminale» operante nell’ospedale di Caserta dal 2008 «fino al momento del suo arresto, avvenuto nel marzo 2013».

Il sodalizio criminale oggi disarticolato, così ricostruiscono la vicenda i pm partenopei, nasce nel 2006, quando Francesco Zagaria, cognato dell’allora latitante e in quel momento uno dei capi del clan dei Casalesi Michele Zagaria, «supportato politicamente dal segretario politico dell’Udeur regionale dell’epoca, riuscì a far nominare un suo uomo di fiducia quale dirigente generale del S. Anna e S. Sebastiano, Luigi Annunziata, recentemente scomparso». Da quel momento, secondo l’ordinanza cautelare, Zagaria assunse il controllo delle assegnazione dei lavori pubblici nell’ospedale casertano, dando vita ad un cartello di imprese mafiose ancora oggi operante.

Secondo la ricostruzione condivisa dal gip, nel 2006 vi fu «un duplice avvicendamento politico-mafioso» all’interno dell’ospedale di Caserta determinato «dall’implosione dell’Udeur e conseguentemente alla caduta del Governo Prodi»: nel 2008 gli Zagaria «cercarono e trovarono la necessaria la necessaria copertura politica nel Pdl campano e, più in particolare, nel suo (allora) capo indiscusso, Nicola Cosentino, rimasto referente politico del sistema criminale operante nel nosocomio casertano fino al momento del suo arresto, avvenuto nel marzo 2013».

Nell’Azienda Ospedaliera «Sant’Anna e San Sebastiano» di Caserta vi era «la piena operatività» del clan di Zagaria, e «una pervasiva e consolidata rete di connivenze e collusioni venutasi a creare, sotto la regia dei boss della camorra casertana, tra appartenenti al mondo della pubblica amministrazione, della politica e dell’imprenditoria».

Nell’operazione sono state inoltre poste sotto sequestro preventivo quattro ditte (Odeia srl, R.D. Costruzioni, Luigi Iannone e Salvatore Cioffi), 18 immobili, undici terreni, un box auto, tre autovetture e quote societarie per un valore di 12 milioni di euro.

Secondo le indagini – si apprende dalla Dda e dalla Dia – attraverso connivenze e collusioni, il sistema degli Zagaria riusciva a controllare e gestire, in regime di assoluto monopolio, gli appalti e gli affidamenti diretti di lavori all’interno dell’Ospedale casertano. Negli ultimi anni – stando sempre ai risultati delle indagini – il clan si era infatti gradualmente infiltrato nel tessuto politico-amministrativo della struttura sanitaria casertana, trasformandosi in «un complesso apparato in grado di gestire gli affidamenti dei lavori pubblici in assoluta autonomia, potendo contare sul potere derivante dalla preminente matrice mafiosa».

Le attività del clan nella struttura sanitaria è stata ricostruita dagli investigatori con testimonianze, documenti, intercettazioni telefoniche e ambientali, registrazioni audio e video.

Fra le persone arrestate dalla Dia di Napoli nel blitz contro il clan dei Casalesi vi è anche Elvira Zagaria, sorella del boss. Secondo gli investigatori, Elvira Zagaria svolgeva un ruolo centrale nelle attività del clan all’interno dell’Azienda sanitaria casertana. Alla donna, dopo l’arresto di tutti i membri maschi della famiglia e dopo la morte del marito, Francesco Zagaria, negli ultimi due anni era toccato il compito di gestire gli ingenti capitali illeciti derivanti dalle attività delle imprese del clan. Dalle indagini è emerso che Francesco Zagaria dava anche indicazioni sugli esponenti politici da sostenere nelle campagne elettorali.

Roma, 31 arresti per ‘ndrangheta Un pentito: legami con Mafia Capitale

di Il Corriere

Secondo la Dda la coop Edera, citata da Salvatore Buzzi nelle carte di Mafia Capitale, assicurava lavoro ai detenuti. Scoperto il «Codice di San Luca» con i meccanismi del rito di affiliazione. Le indagini partite dall’omicidio di Vincenzo Femia.

 Un quaderno contenente degli appunti che, una volta decifrati, svelano i meccanismi arcaici che regolano il rito di affiliazione alle ‘ndrine. È la scoperta fatta nel corso del blitz di martedì mattina, in cui 450 poliziotti e finanzieri hanno arrestato 31 appartenenti a un clan attivo nella Capitale collegato alla ‘ndrangheta di San Luca, nel reggino. Il documento, chiamato Codice di San Luca, è considerato eccezionale: «La sua veridicità era sospesa tra verità e leggenda», spiega un investigatore.

La coop di Buzzi
Nel corso dell’operazione sono stati sequestrati circa 600 chili di droga (cocaina e hashish) e armi. Perquisizioni in diverse città fra cui, a Roma, anche nei confronti della coop Edera, citata da Salvatore Buzzi nelle carte dell’inchiesta Mafia Capitale come una delle aziende che partecipava alla spartizione degli appalti. «La Edera – ha spiegato il procuratore aggiunto Michele Prestipino, capo della Dda – assicurava lavoro ai detenuti, presupposto per misure alternative alla detenzione. Grazie alla cooperativa alcuni indagati sono appunto riusciti a ottenere questi benefici. Tra loro anche l’attuale collaboratore di giustizia Gianni Cretarola e l’indagato Antonio Pizzata», accusato di aver fatto parte del commando che il 24 gennaio 2013 ha ucciso Vincenzo Femia, eliminato proprio perché, secondo gli inquirenti, si era opposto alla costituzione di una cellula della ‘ndrangheta nella Capitale. È il delitto da cui è partita l’indagine.

La rete del clan
I capi dell’organizzazione vivevano da anni nella Capitale, in particolare nei quartieri Appio, San Giovanni, Centocelle, Primavalle e Aurelio, dove potevano contare su una fitta rete di connivenze in grado di garantire il completo anonimato e fornire il supporto logistico ai latitanti calabresi. Il gruppo aveva basi logistiche a Genova, Milano e Torino, necessarie per stoccare le partite di droga importate. Pizzata avrebbe costituito un gruppo di fuoco con Cretarola e Massimiliano Sestito: i tre sarebbero responsabili di ferimenti e gambizzazioni. Oltre al delitto e alle lesioni, gli altri reati contestati all’organizzazione sono l’associazione a delinquere, il traffico internazionale di droga (con l’aggravante mafiosa e del reato transnazionale), la ricettazione, l’estorsione, il danneggiamento, il favoreggiamento, la simulazione di reato, il possesso e la fabbricazione di documenti falsi e il porto e la detenzione abusiva di armi.

L’intercettazione: «Roma è il furturo»
Roma per la ‘ndrangheta è «strategica», ha sottolineato Prestipino. E anche se «allo stato non possiamo dire che ci sia una presenza stabilizzata con una “locale” come al nord Italia, è altrettanto pericolosa». La ‘ndrangheta, ha aggiunto il capo della Dda, «considera la Capitale in modo serio: qualcuno intercettato in un’altra inchiesta ha detto che “Roma è il futuro”».