Scala, scontri alla prima: carabinieri e manifestanti feriti. Ma il Fidelio ha convinto tutti

di Repubblica

Milano blindata, ma lo schieramento di uomini non ha fermato la protesta: cariche e lanci di uova, sassi e bengala. Sequestrata una molotov. Franceschini: “Le proteste sono un danno economico”

Volevano la piazza, nel giorno della prima (applauditissima) del Fidelio alla Scala, e se ne sono presi un pezzo. Volevano i riflettori, i taccuini e le telecamere, un obiettivo cui urlare rabbia e un obiettivo contro cui scaricare quello che si erano portati dietro. Uova, pomodori, zucchine, pietre, molti fumogeni e anche molto colorati. La molotov no, non sono riusciti a fabbricarla per tempo: una bottiglia di birra, piena di liquido infiammabile e con lo stoppino già inserito, finisce a terra prima di essere lanciata e nelle mani dei funzionari della Digos. Ma il resto c’è stato tutto, nel cuore di una Milano che non ha avuto fra i suoi spettatori né il presidente Giorgio Napolitano né il premier Matteo Renzi.

Gli scontri nel cuore della città. Le cariche in via Santa Margherita e sotto Palazzo Marino, le trattative per liberare la piazza e il corteo attraverso la Galleria con giro sotto il Duomo prima di sfilare via nel metrò, non senza aver lasciato un segno sulle telecamere. «Manifestazioni di protesta violenta inaccettabili — dirà il prefetto Francesco Paolo TroncaLa legalità non è negoziabile». Era il Sant’Ambrogio della protesta, e così è stato, nonostante i 750 uomini — tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e vigili del fuoco, a presidiare la Scala, dietro e davanti alle transenne. Tre contusi fra i manifestanti, due tra i carabinieri, nessun arresto. Ma le cifre finali, stavolta, raccontano pochissimo. “Diamo sempre il peggio di noi al mondo”, ha commentato il presidente della Lombardia, Roberto Maroni, ex ministro dell’Interno. “La prima della Scala è uno spettacolo unico e riusciamo a rovinare anche questo”. E la conseguenza può essere “un danno di immagine e anche economico” secondo il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, perché “centinaia di migliaia di persone stanno decidendo se venire durante Expo e agli appuntamenti della Scala di mesi”.

Dodici minuti di applausi. Tensione alle stelle fuori dal teatro, dodici minuti di applausi intensi, grida di ‘bravi!’ e salve di fiori sugli interpreti: un successo pieno per il Fidelio di Beethoven riletto dalla regista Deborah Warner. Ma anche il saluto commosso al direttore musicale uscente Daniel Barenboim, a cui al termine del primo atto hanno gridato “grandissimo il maestro” e all’inizio del secondo un “evviva!” suscitando la sua risposta autoironica, “speriamo!”, che ha fatto ridere il pubblico. Approvazione piena per tutti quindi: anche per la compagnia di canto basata sulla voce di Anja Kampe nel ruolo di Leonora/ Fidelio; Klaus Florian Vogt (il marito imprigionato, Florestan); Kwangchul Youn (il capocarceriere Rocco), Mojca Erdmann (sua figlia Marzelline) e Florian Hoffmann (spasimante non ricambiato, Jaquino); Falk Struckmann (Don Pizzarro, governatore della prigione); Peter Mattei (il ministro Don Fernando).

La standing ovation per Barenboim. Beethoven si era ispirato a un alto contenuto morale, alla fede nei valori positivi. A vantaggio di questi ultimi, Warner non trascura gli altri contrasti emergenti: prigione e libertà, ingiustizia e giustizia, sofferenza e felicità. Soprattutto, buio e luce. Che con il lavoro creativo di Jean Kalman danno un’impronta decisiva allo spettacolo. Nella sua rivisitazione la prigione, in un dramma dai contenuti universali, diventa una vecchia struttura industriale abbandonata, che fa da scena fissa allo spettacolo. Alte pareti, cemento a vista, bidoni, vecchi macchinari impolverati. Qui Rocco e la figlia Marzelline (calze scure, minigonna e felpa rosa) vivono anche la loro vita domestica, fra tavolini e scartoffie, lenzuola stese ad asciugare, l’asse da stiro usato dalla ragazza; in un angolo, un secchio e il mocio per pulire a terra. E’ qui che lavora anche Fidelio, suscitando l’amore di Marzelline (e un bacio rubato) e la gelosia di Jaquino: straordinario il quartetto a cui i personaggi danno vita. Il sipario si chiude, il pubblico applaude, standing ovation per Barenboim e l’orchestra.

In platea Lagarde e Grasso. Tornando alle proteste, il sindaco Giuliano Pisapia ha spiegato che sono legittime fino a che non diventano violente e ha pregato i giornalisti di evitare allarmismi in una “situazione delicata”. Il presidente Napolitano gli aveva scritto per spiegare che sono stati motivi “generali e personali” a tenerlo lontano dalla Scala. La speranza di Pisapia è di poterlo ospitare per la prima dell’anno prossimo che sarà con Giovanna d’Arco di Verdi. “Tutti sappiamo quello che sta soffrendo il presidente Napolitano – ha aggiunto – ma è importante che continui nel suo impegno per il nostro Paese”. Nel palco reale c’era però la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato, Pietro Grasso, oltre a Franceschini (fra i rappresentanti del governo anche il sottosegretario Ivan Scalfarotto). Ma la persona forse più potente in sala era la direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde (probabilmente anche la più elegante), invitata in platea dal presidente della Bocconi ed ex premier Mario Monti.

Pereira:”La Scala come la Ferrari”. “Le proteste ci sono sempre state” ha ricordato il sovrintendente Alexander Pereira, spiegando che i soldi guadagnati con la prima (biglietti in platea a 2mila 400 euro) serviranno per progetti importanti come il finanziamento dell’accademia o gli eventi per i bambini e per i giovani. E comunque dopo la Ferrari “la Scala è il brand italiano più conosciuto al mondo e va sostenuta” anche in Europa.

Svolta nel giallo sulla scomparsa di Denise. Aperta una nuova inchiesta per omicidio

di La Stampa

Mentre a Palermo si svolge il processo d’appello sulla scomparsa della piccola Denise Pipitone – in cui la sorellastra Jessica è imputata per concorso in sequestro di persona, dopo l’assoluzione in primo grado -, la procura di Marsala apre un’inchiesta per omicidio. La svolta arriva all’indomani della deposizione in aula di uno dei periti incaricati di trascrivere il contenuto della mole di intercettazioni ambientali.

Il fascicolo finora è contro ignoti, dice il procuratore capo Alberto Di Pisa, che oltre alla trascrizione ha chiesto il file audio in cui, l’11 ottobre 2004, parlando con la sorella minore Alice in casa della madre Anna Corona, Jessica bisbiglierebbe: «Eramu n’casa a mamma l’ha uccisa a Denise» (Eravamo a casa, la mamma ha ucciso Denise), intimando ad Alice di mantenere segreta la notizia.

Il perito Massimo Mendolìa non ha dubbi che la frase sia proprio questa, come ha detto ieri ai giudici della terza sezione della Corte d’appello di Palermo, presidente da Raimondo Lo Forti. A difendere Jessica, ora ventisettenne, sono gli avvocati Gioacchino Sbacchi e Fabrizio Torre, che contestano le conclusioni della perizia, affermando che la frase non né chiara né ben udibile.

Anna Corona – ex moglie di Piero Pulizzi, padre naturale di Denise – chiamata in causa nell’intercettazione, era stata indagata per concorso in sequestro di minore, insieme ad altri, nel processo di primo grado; la sua posizione era poi stata archiviata su richiesta della procura. «È terribile tutta questa vicenda – scrive su facebook Maria Angioni, uno dei primi pm della Procura di Marsala a indagare sulla scomparsa – troppi tasselli tutt’ora non quadrano. Si deciderà ora a parlare qualcuno?».

L’avvocato Giacomo Frazzitta, legale di parte civile, stigmatizza la diffusione della notizia: «Anche se il fascicolo è contro ignoti, è come mettere sull’avviso gli interessati». Sulla frase choc che a oltre dieci anni dalla scomparsa può cambiare le carte in tavola, Frazzitta dice che «allo stato può soltanto essere valutata come ulteriore conferma del coinvolgimento dell’imputata nel sequestro di Denise, che per l’accusa era già stato confermato dalla frase `Quannu eru cu Alice a casa c’ha purtà´ (Quando ero con Alice, a casa l’ha portata)», anche questa pronunciata da Jessica l’11 settembre 2004, in commissariato, a Mazara del Vallo, mentre attendeva di essere interrogata.

Le intercettazioni sono state il motore dell’inchiesta sin dal suo avvio. «Abbiamo raccolto una mole di dati – affermò il consulente della Procura Gioacchino Genchi durante il processo di primo grado a Marsala – che, a mia memoria, non ha precedenti nella storia giudiziaria internazionale. Dodici milioni di contatti telefonici intercettati e acquisizione delle mappe Bts (stazioni radio base)». Ciò nonostante, poche certezze, sempre a un passo dalla verità, ma alla fine in mano solo indizi, non prove certe e inconfutabili. Stavolta, però, la frase intercettata potrebbe rivelarsi decisiva. Ma l’inattesa svolta toglie speranze a Piera Maggio, la mamma di Denise, che si è chiusa nel silenzio.

Nuova tragedia nel Canale di Sicilia: 17 migranti morti di freddo su un gommone. Le salme giunte a Porto Empedocle

di Repubblica

E’ accaduto a 110 miglia a sud di Lampedusa. Gli altri 75 a bordo sono stati soccorsi dalla Guardia costiera. Una persona in gravi condizioni trasferita in elicottero all’ospedale di Lampedusa. Le salme sono state portate a Porto Empedocle. I sopravvissuti sono stati dirottati su una nave della Marina verso un altro porto

Diciassette migranti sono morti di freddo su un gommone a 110 miglia a sud di Lampedusa. Lanciato l’allarme, l’imbarcazione è stata raggiunta da due motovedette della Guardia costiera e dal rimorchiatore civile “Burbon Argos”. Le salme sono da poco giunte a Porto Empedocle, dove saranno trasbordate.

Non è stato di un naufragio, come si era pensato all’inizio, a provocare questa nuova tragedia nel Canale di Sicilia: 16 delle vittime sono morte presumibilmente per ipotermia e disidratazione, un’altra è stata stroncata da un edema polmonare subito dopo l’arrivo dei soccorritori. Sul gommone c’erano altre 75 persone, una delle quali, in gravi condizioni per ipotermia, è stata subito trasferita con l’elicottero della nave militare “Etna” all’ospedale di Lampedusa. I superstiti sono stati trasferiti prima sulla nave “Orione” e successivamente sulla “Etna”.

Le 17 salme, recuperate a 110 miglia a Sud di Lampedusa e 50 miglia a Nord di Tripoli, sono arrivate e sono state portate a Porto Empedocle (Ag). Ad accoglierle il prefetto di Agrigento Nicola Diomede, il questore Mario Finocchiaro e l’arcivescovo Francesco Montenegro. I corpi dei migranti sono stati allineati in un magazzino dell’area portuale, all’interno di celle frigorifere, per essere sottoposte ad ispezione cadaverica. Esame che dovrà confermare se, come anticipato dai verbali dei soccorritori, fra loro ci sono anche due donne e un minore e chiarire quali sono le cause della morte. La loro storia non si conosce. Non si sa da dove siano partiti e quanto sia durato il loro viaggio, su un gommone poi andato in avaria. I 75 sopravvissuti sono stati dirottati su una nave della Marina verso un altro porto.

Sono in tutto 278 i migranti soccorsi nelle ultime ore dalle navi della Marina militare nel Canale di Sicilia. Il pattugliatore “Cigala Fulgosi” e la corvetta “Driade” hanno recuperato due gommoni con a bordo rispettivamente 102 e 100 persone, tutte imbarcate sulla “Etna”, come i sopravvissuti del gommone della nuova strage.

Le Nazioni Unite non si fidano di Triton, l’operazione dell’Agenzia Frontex che sostituirà l’operazione “Mare Nostrum”, interamente italiana ed estesa fino al limite delle acque territoriali libiche (Frontex pattuglierà un’area molto più limitata, fino a 30 miglia dalle coste italiane), perché ritengono che si “limiterà a difendere la frontiera marittima italiana”. “C’è il timore”, ha spiegato in una conferenza stampa Francois Crepeau, relatore speciale dell’Onu per i diritti dei migranti, “che l’estate prossima, senza un’operazione come Mare Nostrum, migliaia di persone moriranno. Chiudere gli occhi davanti a tale prospettiva non è una soluzione: queste persone continueranno a tentare l’attraversamento e continueranno a morire a causa dell’inazione dell’Europa”.

Secondo l’Onu, l’Italia ha compiuto “sforzi straordinari” con la sua operazione, salvando la vita ad oltre 150mila persone, ha detto Crepeau in un intervento oggi a Roma, alla Sioi. “E’ più importante proteggere una vita umana che proteggere un confine”, ha continuato definendo “cinica” l’affermazione secondo cui Mare Nostrum avrebbe attirato i migranti invece che servire da deterrente. “E’ una falsità – ha detto – ma anche se fosse vero cosa dovremmo fare, lasciarli morire in mare?”. Ciò che invece va fatto per scoraggiare i trafficanti, ha sottolineato, è lavorare sui reinsediamenti dei rifugiati nei paesi più ricchi e accantonare “politiche repressive che non scoraggiano i flussi migratori perché la speranza è sempre più forte della paura”. Cosi, ad esempio, “se pianificassimo io reinsediamento entro i prossimi cinque anni di un milione di rifugiati siriani, al mio paese, il Canada, ne toccherebbero 8 mila, un numero sostenibile”.

Loris ucciso con una fascetta elettrica. La mamma: «L’ho lasciato a 500 metri da scuola», ma poi si contraddice

di Il Messaggero

Il piccolo Loris Stival è stato ucciso per strangolamento con una fascetta elettrica lunga e larga: sarebbe infatti questa «l’arma» utilizzata per uccidere il bimbo. È quanto emerge da indagini eseguite sul corpo e da successivi accertamenti investigativi. Secondo quanto si è appreso, la Procura di Ragusa ha disposto apposite ricerche durante perquisizioni e rilievi eseguiti e in corso.

Intanto stamattina è stato compiuto dalla Polizia di Stato un nuovo sopralluogo nella zona di Contrada di Mulino Vecchio, dove il 29 novembre scorso è stato trovato il corpo del bimbo.

Vi ha partecipato anche Vincenzo Nicolì, direttore della II Divisione del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato. Nella notte è stata perquisita anche l’abitazione di Orazio Fidone, il cacciatore che ha trovato il 29 novembre scorso il corpo di Loris Stival. L’uomo è indagato come atto dovuto, dalla Procura di Ragusa, per sequestro di persona e omicidio.

La perquisizione è stata eseguita subito dopo i rilievi fatti dalla polizia scientifica nella casa della mamma del bambino. Gli investigatori stanno lavorando giorno e notte per cercare di chiarire una morte dove ci sono ancora troppi misteri e bugie.

Nuovo sopralluogo percorso. Due auto della polizia con a bordo una telecamera sono partite dalla casa di Loris per ricostruire il percorso fino alla scuola, seguito dalla mamma il giorno della scomparsa del bambino. Non è escluso che sulla vettura ci fosse anche la donna. Le due auto sono già arrivate davanti alla scuola ‘Falcone-Borsellinò, dove il piccolo non è mai entrato.

La versione contraddittoria della mamma. Nelle dichiarazioni del 29 novembre scorso, messe a verbale alle 20.30 e dunque a quattro ore dal ritrovamento del cadavere del figlio, Veronica Panarello dice di aver lasciato il figlio «a circa 500 metri da scuola». Ma in quello successivo, del 30 novembre attorno alle 17, fa mettere a verbale: «Oltrepassavo l’ingresso della scuola, svoltavo a destra per Via Di Vittorio, e mi fermavo a poche decine di metri dall’ingresso della scuola».

La seconda incongruenza riguarda la sua partecipazione al corso di cucina nella Tenuta Donnafugata. Nel primo verbale la donna racconta infatti che «dopo aver accompagnato» il figlio piccolo alla ludoteca, «sono andata al Castello di Donnafugata, dove sono rimasta fino a mezzogiorno». Nel secondo verbale Veronica fornisce un’altra versione. «Lasciato il bambino» (il figlio più piccolo, ndr) «sono tornata a casa per sbrigare delle faccende domestiche. Alle 9.15 sono uscita di casa e sono andata al Castello di Donnafugata, dove sono rimasta fino alle 11.45».

La vicenda del sacchetto dei rifiuti che la donna avrebbe gettato, invece, viene considerata «strana» dagli investigatori perchè nel primo verbale la donna non ne fa alcuna menzione, mentre ne parla solo nel secondo. Tra l’altro il sacchetto viene gettato in un punto piuttosto vicino al luogo dove è stato trovato il corpo di Loris e in direzione opposta rispetto alla scuola.

E intanto per la prima volta dopo gli ultmi sviluppi parlano i genitori del bimbo: «Basta alle voci da cortile e alle bugie» che ci «hanno feriti e uccisi. Veronica Panarello e Dadide Stivali, in un colloquio con il quotidiano La Sicilia, chiedono «rispetto per una famiglia che soffre», sottolineando di avere «piena fiducia nella magistratura».

Lei conferma la sua verità su sabato scorso, che alcuni filmati sembrano incrinare: «Ma come ve lo devo dire? Io – sostiene – quella mattina Loris l’ho accompagnato vicino alla scuola. Era uscito di casa assieme a me e al fratellino, siamo arrivati in macchina e l’ ho lasciato. Poi, all’ uscita sono andato a prenderlo e non c’ era più. Le cose sono andate così, questa è la verità». «Noi non ci dobbiamo difendere da niente, non abbiamo nulla da nascondere», dice Davide Stival.

L’ unica cosa che vuole questo giovane padre, un autotrasportatore 29enne che sabato scorso era in viaggio fuori Sicilia, è cercare soltanto la verità, perchè noi vogliamo che venga trovato non un colpevole, ma il colpevole. Marito e moglie hanno fatto muro, contro le voci di cortile e le bugie che ci hanno feriti e uccisi.

Perché c’è un video che smentisce il racconto di Veronica Panarello, la mamma del piccolo Loris: la mattina di sabato 29 novembre il bambino non è mai arrivato a scuola, come ha sostenuto la donna, ma è rientrato a casa. Le immagini, registrate da una telecamere ad una cinquantina di metri dall’abitazione della famiglia, confermano dunque i dubbi di investigatori ed inquirenti che ora vogliono capire perchè Veronica ha raccontato loro una versione diversa da quella immortalata nei frame video. «Ho accompagnato Loris a scuola con la macchina e l’ho lasciato a poca distanza dal cancello» ha raccontato Veronica. Ma nelle immagini si vede invece che Loris, attorno alle 8.30, scende dalla Polo nera della mamma e va verso il portone di casa. Da quel momento in poi di Loris non ci sono più immagini, almeno tra quelle visionate finora dagli investigatori: ricompare, 8 ore dopo nel canalone a Mulino Vecchio. Morto. Tesi contestata dal legale della donna, l’avvocato Francesco Villardita: «la signora ha portato Loris a scuola, e ricordo a tutti – aggiunge – che non è indagata ed è parte lesa in un’inchiesta per omicidio».

«Esistono diversi video che sono allo studio. Ci sono 42 telecamere che hanno ripreso 24 ore e sono tutte interessanti e utili» si limita a dire il procuratore di Ragusa Carmelo Petralia sottolineando che in questa fase ogni notizia non ufficiale può «danneggiare in modo irreversibile» le indagini. Ma il procuratore aggiunge anche che «non ci saranno tempi lunghi per chiarire le prime cose». Il che significa che la svolta ancora non c’è ma che gli investigatori hanno imboccato una pista ritenuta molto interessante. Tra l’altro sul caso, afferma ancora il capo della procura, stanno lavorando «il meglio delle forze di polizia del Paese», lo Sco e gli stessi uomini del Ros e del Racis che hanno indagato su Yara: «davanti ad un fatto di inusitata gravità, la risposta dello Stato è stata molto forte».

Allo stato delle indagini sul registro degli indagati, con l’accusa di sequestro di persona e omicidio, rimane comunque il solo nome di Orazio Filone, il cacciatore che sabato pomeriggio ha trovato il corpo di Loris nel fosso a Mulino Vecchio. Un atto dovuto per consentire di fare gli accertamenti irripetibili sulla sua auto e sui suoi vestiti. La sua posizione resta dunque al vaglio degli inquirenti, che continuano a ritenere poco plausibile la spiegazione che l’uomo ha dato del perchè, appena saputo della scomparsa di Loris, si è diretto proprio in quel punto dove poi è stato trovato il corpo. Così come sono ancora da chiarire i rapporti dell’uomo con la famiglia del piccolo. Veronica Panarello, invece, al momento non è indagata e lo dice chiaramente il procuratore.

Ma è evidente che gli investigatori e gli inquirenti – che anche oggi hanno continuato a sentire diversi testimoni – vorranno quanto prima chiarire il perchè la donna ha mentito e fare una serie di atti ufficiali. Il primo è arrivato già nel pomeriggio quando una quindicina tra poliziotti e carabinieri si sono presentati su mandato della Procura in via Garibaldi e sono rimasti nell’abitazione di Loris fino a tarda sera. Gli uomini della scientifica e del Racis hanno operato anche con il Luminol, per rilevare la presenza di tracce non visibili ad occhio nudo, e hanno raccolto una serie di elementi che saranno poi analizzati dagli specialisti dello Sco della polizia e del Ros dei carabinieri. Tecnicamente, ha spiegato il procuratore, non si è trattato di una perquisizione ma di «atti specifici di polizia giudiziaria finalizzati all’acquisizione di elementi che potrebbero rivelarsi utili al proseguimento delle indagini».

Quali? Ad esempio un tablet o un telefonino che Loris usava, per capire con chi e se era in contatto con qualcuno, con chi scambiava messaggi. Oppure tracce della presenza di soggetti diversi dai familiari all’interno dell’abitazione o nel garage. Un aiuto importante, gli investigatori lo cercano anche nei tabulati telefonici: le telefonate effettuate dai familiari di Loris e da persone a loro vicine serviranno a ricostruire gli spostamenti di quella mattina e chiarire ulteriormente il racconto della donna. Non serviranno, invece, le due telecamere puntate proprio sull’ingresso della scuola: il temporale di un mese fa le ha danneggiate entrambe. «Se avessimo quelle immagini – sorride un investigatore – avremmo già chiuso il caso».

Mafia, appalti e tangenti: 37 arresti a Roma. Indagato Alemanno, in carcere anche ex Nar

di La Stampa

Maxi-operazione di carabinieri e Finanza. Il ministro Alfano: «L’inchiesta è solida». A capo della cosca Massimo Carmianti, il “Nero” di “Romanzo criminale”. Sequestrati beni per 200 milioni di euro. Nei guai politici locali e consiglieri regionali

Un collaudato e redditizio patto di ferro tra mafia e politica a Roma, non a caso definito dagli inquirenti «Mafia capitale». L’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno è indagato per associazione mafiosa e, per lo stesso reato, in manette è finito, tra gli altri, l’ex terrorista nero Massimo Carminati, «il Nero» di Romanzo Criminale (personaggio di spicco nella banda della Magliana è accusato anche dell’omicidio Pecorelli) interpretato al cinema da Riccardo Scamarcio. Saltano subito all’occhio questi due nomi nella maxi operazione della Procura e dei carabinieri del Ros di Roma, con Massimo Carminati ritenuto al vertice dell’associazione mafiosa. La prima, in assoluto, di connotazione esclusivamente romana.

I NOMI ECCELLENTI  

Nel complesso gli arrestati sono 37, tra cui anche l’ex ad dell’Ente Eur, Riccardo Mancini, oltre a una serie di «eccellenti» indagati. Ma l’aspetto più inquietante è la scoperta di un sistema mafioso per l’aggiudicazione di appalti pubblici con il coinvolgimento di funzionari e politici del Comune di Roma e della Regione Lazio. I Ros hanno perquisito il Campidoglio, la Regione e diverse abitazioni private tra cui quella dell’ex sindaco Alemanno. Hanno ricevuto un avviso di garanzia anche il consigliere regionale Pd Eugenio Patanè, quello Pdl Luca Gramazio, e il presidente dell’Assemblea capitolina Mirko Coratti.

COME AGIVA LA “CUPOLA” DELLA CAPITALE

È stato, insomma, individuato un sodalizio mafioso da anni radicato nella capitale con diffuse infiltrazioni nel mondo imprenditoriale per ottenere appalti pubblici dal Comune di Roma e dalle aziende municipalizzate, anche per quanto riguarda i campi nomadi e i centri di accoglienza per gli immigrati. I reati ipotizzati sono associazione di stampo mafioso, estorsione, usura, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio e altri reati ancora. L’indagine è coordinata dal procuratore capo Giuseppe Pignatone, dall’aggiunto Michele Prestipino e dai sostituto Paolo Ielo e Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli. Contestualmente all’operazione «Mafia capitale», la Guardia di Finanza sta procedendo al sequestro di beni per oltre 200 milioni di euro, in applicazione di un decreto firmato dal Tribunale di Roma.

IL CAPO ERA CARMINATI  

Intercettazioni telefoniche, pedinamenti e una proficua e altamente professionale attività investigativa ha consentito di smascherare uno scandalo tra mafia e politica di dimensioni inimmaginabili. Che risale, peraltro, a molti anni fa. Si legge infatti nell’ordinanza del gip Flavia Costantini: «E’ difficile stabilire esattamente il tipo di collegamento tra l’odierna organizzazione mafiosa riconducibile a Massimo Carminati e il substrato criminale romano degli anni ottanta, nel quale essa certamente affonda le sue radici. Esistono indiscutibili corrispondenze sul piano soggettivo e sul piano oggettivo». E ancora: «Sul piano soggettivo Mafia Capitale si è strutturata prevalentemente attorno alla figura di Massimo Carminati, il quale ha mantenuto e mantiene stretti legami con soggetti che hanno fatto parte della Banda della Magliana o che comunque le gravitavano intorno».

PIGNATONE: “OMERTA’ E ASSOGGETTAMENTO”  

Mafia e politica che hanno fruttato fior di quattrini. Tutto grazie – come si legge nell’ordinanza – «al riferimento alla forza di intimidazione del vincolo associativo deve intendersi che l’associazione abbia conseguito in concreto, nell’ambiente circostante nel quale essa opera, un’effettiva capacità di intimidazione, sino ad estendere intorno a sè un alone permanente di intimidazione diffusa, tale che si mantenga vivo anche a prescindere da singoli atti di intimidazione concreti posti in essere da questo o quell’associato». L’inchiesta Mafia Capitale del procuratore Giuseppe Pignatone viene ben riassunta dal gip nell’ordinanza: «Le indagini svolte hanno consentito di acquisire gravi indizi di colpevolezza in ordine all’esistenza di una organizzazione criminale di stampo mafioso operante nel territorio della città di Roma, la quale si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivano per commettere delitti e per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione e il controllo di attività economiche, di appalti e servizi pubblici».

L’EX SINDACO: “DIMOSTRERO’ LA MIA ESTRANEITA’”

In un comunicato Gianni Alemanno si difende e respinge le accuse: «Chi mi conosce sa bene che organizzazioni mafiose e criminali di ogni genere io le ho sempre combattute a viso aperto e senza indulgenza. Dimostrerò la mia totale estraneità». «Sono sicuro – conclude – che il lavoro della Magistratura, dopo queste fasi iniziali, si concluderà con un pieno proscioglimento nei miei confronti».

ALFANO: “INCHIESTA SOLIDA”

«Ho grande stima e considerazione per il procuratore capo di Roma che ha grande spessore competenza equilibrio, quindi sono convinto della solidità dell’inchiesta» commenta il ministro dell’Interno Angelino Alfano a «Di martedì» su La7 aggiungendo: «Su persone che conosco, come Alemanno, mi auguro riesca a dimostrare la sua estraneità così come ha detto». «Se l’inchiesta è fondata – ha aggiunto Alfano – ci sono cialtroni che non smettono di rubare; inutile fare le leggi se si continua a rubare, non si deve rubare!», ha tuonato il ministro.

Ecco l’elenco degli ordini di custodia cautelare emessi dal gip di Roma Flavia Costantini.

In carcere:  

Massimo CARMINATI

Riccardo BRUGIA

Roberto LACOPO

Matteo CALVIO

Fabio GAUDENZI

Raffaele BRACCI

Cristiano GUARNERA

Giuseppe IETTO

Agostino GAGLIANONE

Salvatore BUZZI

Fabrizio Franco TESTA

Carlo PUCCI

Riccardo MANCINI

Franco PANZIRONI

Sandro COLTELLACCI

Nadia CERRITO

Giovanni FISCON

Claudio CALDARELLI

Carlo Maria GUARANY

Emanuela BUGITTI

Alessandra GARRONE

Paolo DI NINNO

Pierina CHIARAVALLE

Giuseppe MOGLIANI

Giovanni LACOPO

Claudio TURELLA

Emilio GAMMUTO

Giovanni DE CARLO

Luca ODEVAINE

 

Ai domiciliari:  

Patrizia CARACUZZI

Emanuela SALVATORI

Sergio MENICHELLI

Franco CANCELLI

Marco PLACIDI

Raniero LUCCI

Rossana CALISTRI

Mario SCHINA

Rifiutata dal gip Costantini la richiesta della procura di misura cautelare nei confronti di Gennaro Mokbel e Salvatore Forlenza, che rimangono tuttavia indagati.

Mafia, arrestato Massimo Carminati: l’anima nera del crimine capitolino più spietato e ramificato

di Il Messaggero

Sembrava imprendibile e intoccabile. Le inchieste da almeno da più di 30 anni l’avevano indicato come l’”anima nera” del crimine capitolino più spietato e ramificato. E, oggi, grazie all’operazione dei Ros, è finito in manette con l’accusa di associazione mafiosa.

Lui è Massimo Carminati, 56 anni, sguardo di ghiaccio, comportamento freddo e distaccato, un passato fra i terroristi neri dei Nar ma soprattutto un esponente di spicco della famigerata banda della magliana, la holding criminale che ha imperversato a Roma con omicidi e traffici di ogni tipo fiancheggiata da servizi segreti e entità politiche. E gli arresti eccellenti di oggi dimostrano che il banditismo romano non è mai morto e che Carminati ne recitava un ruolo di primissimo piano come un ”puparo” che ne tirava silenziosamente i fili di morte e di affari da milioni di euro.

Un arresto che sembrava impossibile quello di Massimo Carminati che è sempre riuscito a uscire indenne da qualunque inchiesta. Indagini storiche sulle stragi italiane e su altri fatti clamorosi. Vengono alla mente le assoluzioni per il depistaggio per la strage della stazione di Bologna e per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Massimo Carminati mentre era alla sbarra a Perugia per rispondere dell’omicidio Pecorelli, si macchiò di un un furto senza precedenti, un altro mistero d’Italia, che avvenne proprio a ridosso della sentenza. Era il 2000 quando Carminati con altri personaggi della banda della Magliana riuscì a svaligiare il caveau della banca all’interno della Città Giudiziaria di Roma. Furono aperte oltre duecento cassette di sicurezza di magistrati e avvocati. Un colpo che per gli inquirenti aveva la finalità di ottenere documenti scottanti e ricattatori. In carcere finirono anche alcuni carabinieri complici della banda che agì indisturbato nel fortino della Legge.

Massimo Carminati l’intoccabile, il criminale complice di terroristi sanguinari come La Mambro e Fioravanti oggi è stato arrestato dopo anni che le informative degli inquirenti lo inquadravano come un boss romano fra i più temibili. La sua zona era quella di Corso Francia dove, sempre secondo gli investigatori, grazie alla sua impunità e al suo sangue freddo, era riuscito ad essere l’uomo cardine per gli affari criminali in città. «A Roma anche la ’ndrangheta e la camorra dovevano sentire il parere di Carminati per i loro affari», questo il parere di un inquirente.

Così come era stato capace di costruire e di gestire un fiorente traffico di videopoker: affari per milioni di euro. La Distrettuale Antimafia ne aveva monitorato anche i rapporti con Michele Senese boss della camorra che ha spadroneggiato a Roma e ora recluso in carcere con l’ergastolo. Su di lui erano caduti i sospetti su alcuni recenti omicidi accaduti a Roma. Era soprannominato il ”cecato”: da giovane mentre trasportava la valuta della Magliana in Svizzera era stato crivellato di colpi dalla polizia e così aveva perso un occhio. Massimo Carminati è il ”Nero”: il killer spietato che spadroneggia nella ”fiction” sulla banda della magliana. Un arresto fondamentale quello di Carminati per bloccare il crimine romano più segreto e pericoloso.

Andrea Loris Stival, oggi l’autopsia. Testimone: “L’ho visto in paese da solo”

di Il Fatto Quotidiano

Il corpo di Andrea Loris Stival, otto anni, è stato trovato nel pomeriggio del 29 novembre in un canneto a 4 chilometri dalla scuola dove la madre lo aveva lasciato. Gli investigatori: “Nessuna traccia di violenza, solo una piccola lesione sul volto, ma aspettiamo l’esito degli accertamenti”. Appello delle forze dell’ordine: “Chi ha visto qualcosa ce lo segnali“. Si cerca il suo zainetto

Mentre è in corso, nella mattinata di domenica all’obitorio dell’ospedale Ragusa Ibla, l’autopsia sul corpo di Andrea Loris Stival, il bambino di 8 anni trovato morto ieri nel Ragusano, fonti investigative fanno sapere che un testimone avrebbe visto il piccolo camminare in paese, già senza zaino, poco dopo le nove del mattino. Gli investigatori hanno anche visionato le riprese del sistema di sorveglianza di un panificio verificando che la mamma, dopo aver accompagnato a scuola il figlio maggiore, ha portato all’asilo quello di quattro anni. Carabinieri e polizia, però, continuano a specificare che “non può essere esclusa alcuna ipotesi”. Iniziati, intanto, nuovi sopralluoghi nell’area del ritrovamento per ricercare elementi utili alle indagini. Tra le piste prese in considerazione, anche il sequestro da parte di un pedofilo. Le forze dell’ordine raccomandano a tutti i cittadini di fornire eventuali dettagli utili alle indagini “mediante segnalazioni, anche anonime, ai numeri d’emergenza 112 e 113 o recandosi presso un qualunque ufficio di Polizia”.
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Il corpo di Andrea è stato trovato in un canalone in cemento, profondo due metri e mezzo, che costeggia un vecchio mulino abbandonato di Santa Croce di Camerina. Il bimbo non era entrato a scuola, nonostante la madre, una casalinga di 25 anni, con un altro figlio piccolo, lo avesse accompagnato e lasciato a 10-20 metri dall’ingresso. E’ stata la donna a lanciare l’allarme quando, quattro ore dopo, alle 12.30 è andato a riprenderlo. E’ in quel lasso di tempo che si concentrano le indagini. I bidelli, le maestre e i compagni di classe della terza elementare non lo avevano visto entrare. Dopo una decina di minuti la mamma è andata dai carabinieri per denunciarne la scomparsa. Il padre, 30 anni, lavora come autotrasportatore, e per non farlo preoccupare, è stato informato alcune ore dopo, nella speranza di non farlo allarmare e di trovare il ragazzino, come qualche altra volta era accaduto. Oggi, però, è stato sentito come testimone in Questura, mentre la moglie darà la sua versione tra qualche giorno, quando avrà superato lo shock per l’accaduto.

I carabinieri controllano anche le immagini del sistema di videosorveglianza della scuola, ma Andrea Loris Stival non è inquadrato da alcuna parte. Eppure alcuni vigili urbani ricordano bene di averlo visto assieme alla madre e salutarla vicino l’istituto. A trovare il corpo senza vita, poco prima delle 17, è un cacciatore uscito di casa sollecitato dalla moglie a partecipare alle ricerche scattate dopo l’allarme e che hanno coinvolto tutto il paese, in un canneto distante quattro chilometri dalla scuola. “Mi sono affacciato su un canalone tra le canne – ricostruisce Orazio Fidone – e ho visto il cadavere. Ho gridato prima a squarciagola e poi ho telefonato ai carabinieri: erano le 16:55. Nel frattempo è arrivata un’auto della polizia. Se avessi potuto dargli la mia vita lo avrei fatto”.

Al momento del ritrovamento, il bambino aveva indosso tutti i vestiti, asciutti: un paio di jeans, calze rosse, scarpe blu, una maglietta bianca e un giubbotto marrone. Non ci sono tracce di sangue o segni di violenza evidenti, tranne una piccola lesione sul volto con un ematoma. I detective di polizia e carabinieri stanno continuando a perlustrare la zona in cerca dello zainetto blu, a forma di ovetto, con cinghie gialle, che Andrea portava con sé quando è uscito di casa. “Nessuna ipotesi investigativa certa sarà possibile prima di domani” dopo “un attento esame del corpo”, spiega il procuratore di Ragusa, Carmelo Petralia, anche perché “non è stata trovata alcuna traccia di sangue”. “Stiamo lavorando a tutto campo – aggiunge – e non tralasciamo alcuna pista, ma per avere certezze occorrerà un esame medico legale attento”. Certo, osserva il magistrato, “non è impossibile, ma sembra difficile pensare che abbia percorso quattro chilometri a piedi e sia andato lì, in quel posto, da solo”. Parole che lasciano aperti scenari violenti, come un omicidio,ed evocano la pedofilia. “Al momento – precisa Petralia, che coordina l’inchiesta assieme al sostituto Marco Rota – non ci sbilanciamo però, perché qualunque ipotesi è prematura. Certo stiamo valutando tutte le tesi possibili – conclude il procuratore di Ragusa – come è giusto e doveroso che sia davanti alla morte di un bambino di otto anni”.

Il presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta ha fatto visita alla famiglia del piccolo Andrea. Il governatore è stato già nel municipio del paese e ha incontrato le forze dell’ordine. “Mi sento angosciato, come se fosse morto mio figlio, anche se non ho figli. Quando ho appreso ieri la notizia ho interiorizzato il dolore e ho sentito la necessità di partecipare di persona il mio dolore e la mia vicinanza”. Ha detto il governatore della Sicilia dopo un sopralluogo nella zona in cui è stato trovato il corpo del piccolo.

Le case tolte ai mafiosi? Abbandonate dallo Stato La polizia: “Datele a noi”

di Il Giornale

Migliaia di case confiscate alle mafie, ma nessuna assegnata ai poliziotti. Anche se la legge lo prevede. E a Palermo, dinanzi alla sede dell’Agenzia ai Beni confiscati e sequestrati alla mafia, il sindacato di polizia Consap e la cooperativa di poliziotti «Cops» ha inscenato ieri un sit-in di protesta.

Sono almeno dodicimila tra appartamenti, ville e aziende varie sparse per lo Stivale i beni confiscati ai clan ma solo in parte assegnati, secondo una stima del sindacato di polizia Consap. Un patrimonio immobiliare ingente. Case che comportano per lo Stato spese di manutenzione e di gestione (ad esempio le quote condominiali) e che invece, se vendute o affittate, potrebbero rappresentare un introito non indifferente. Nella sola Palermo, ad esempio, ci sono – secondo il sindacato di polizia – 3mila appartamenti disponibili non utilizzati. Il loro valore medio va dai 100-150mila euro al mezzo milione di euro.

Da tempo i poliziotti chiedono l’applicazione della legge numero 159 del 2011, il cosiddetto «Codice antimafia» che, all’articolo 48, prevede che il personale delle forze Armate e delle forze di polizia possa costituire cooperative edilizie alle quali è riconosciuto il diritto di opzione prioritaria sull’acquisto dei beni destinati alla vendita. I poliziotti palermitani si sono, quindi, costituiti in cooperativa, la «Cops Srl», per acquistare i beni confiscati e potere beneficiare di un diritto previsto dalla legge che attesta il costo dell’immobile al 50 per cento del valore catastale per questo genere di cooperative. Ma non hanno ancora potuto comprare casa. Col risultato che molti alloggi restano chiusi, e alcuni vengono occupati abusivamente. Tra gli occupanti illegali c’è persino un poliziotto. Doveva sostenere spese ingenti per il figlio malato e fare da spola da Palermo a Milano. Così, per avere un tetto sulla testa, ha deciso di occupare un appartamento.

«Eppure – rileva Igor Gelarda, dirigente nazionale della Consap – il direttore dell’Agenzia nazionale per l’Amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati, Umberto Postiglione, ha parlato di immobili fermi perché nessuno li vuole, mentre la gente va a occupare le case perché ne ha bisogno». Affermazioni che hanno innescato la scintilla della protesta culminata con un corteo.

Ecco come funziona o dovrebbe funzionare: l’Agenzia consegna i beni confiscati a enti e istituzioni per finalità pubbliche o sociali. Il bene non utilizzato dovrebbe tornare all’Agenzia e potrebbe essere venduto. Per la Consap è utilizzato solo il 50% di questi immobili. «La Questura di Palermo su 50 alloggi assegnati – denuncia Domenico Milazza, segretario provinciale Consap Palermo – ne utilizza solo 20». Ma, a fronte delle abitazioni chiuse, un poliziotto in graduatoria da 14 anni si è visto assegnare l’alloggio solo dopo che il collega che ci abitava è dovuto uscire di casa.

«Migliaia di alloggi che costano tanto allo Stato e non sono assegnati rappresentano una sconfitta nella storia della lotta alla mafia – dice Gelarda -. Chi più dei poliziotti, che hanno pagato con tributi di sangue la lotta alla mafia, avrebbero diritto a questi appartamenti? Molte famiglie di poliziotti, a causa della crisi, sono in difficoltà economiche. Qualcuna è costretta a rivolgersi alla Caritas. Una soluzione al problema degli alloggi darebbe una grossa mano alle famiglie in difficoltà».

Ieri i poliziotti sono stati ricevuti da un funzionario dell’Agenzia. «Ci ha garantito un incontro con i vertici – dice Milazza -. Era ora».

 

Cagliari, affonda la nave della droga. Arrestati i narcotrafficanti

di La Stampa

Maxi operazione della Guardia di Finanza. Il blitz nel cuore della notte a poche miglia dalla costa sarda. Sull’imbarcazione 16 tonnellate di stupefacenti destinati alla Spagna

Le manette li hanno salvati da morte sicura: i narcotrafficanti che trasportavano un super carico di hashish si sarebbero trovati in acqua nel giro di poco tempo. E se non fossero arrivate le motovedette e gli elicotteri della Guardia di finanza sarebbero affondati insieme alle sedici tonnellate di droga che dovevano far arrivare quasi sicuramente in Spagna.

I finanzieri del Reparto aeronavale di Pratica di Mare e i colleghi di Cagliari seguivano con i radar lo spostamento del peschereccio giallo (25 metri di stazza) che attraversava il Mar Mediterraneo con la prua rivolta verso la Sardegna. E nel cuore della notte, quando l’imbarcazione è arrivata a cento miglia dall’isola, c’è stato il blitz: elicotteri e motovedette, comprese alcune unità della Guardia civil spagnola, hanno circondato la nave della droga e bloccato l’equipaggio. A bordo c’erano nove persone, tutte di nazionalità egiziane, che ovviamente sono state ammanettate e accompagnate a Cagliari. Subito dopo i militari hanno iniziato a ispezionare il carico: 370 colli, per un totale di circa 16 tonnellate di hashish.

Recuperarli tutti è stato impossibile, perché nella sala macchine c’era una grossa falla e nel giro di poco tempo il peschereccio si è riempito d’acqua ed è affondato. Se non ci fosse stato l’intervento dei finanzieri, dunque, i nove che erano a bordo non avrebbero avuto scampo. Nella zona in cui l’imbarcazione è andata a picco il fondale è profondo circa 2600 metri e riportare a galla la scorta di droga sarà impossibile. Lottando contro il tempo, comunque, i militari sono riusciti a sequestrare 1600 chili di hashish, che saranno analizzati anche per capire meglio da dove sia partita la grande scorta.

Quello fatto scattare nella notte al largo delle coste sarde non è stato un blitz a sorpresa: le Fiamme gialle italiane e la Guardia civil spagnola sapevano da qualche tempo dell’arrivo imminente di un ingente carico di droga e avevano pianificato l’operazione “Triton”. «Per individuare il peschereccio e sequestrare il carico di stupefacenti – spiega la Guardia di finanza – è sono state schierate le unità navali d’altura che abitualmente sono impegnate nella vigilanza aeronavale del Canale di Sardegna e dello Stretto di Sicilia, supportate per l’occasione da alcuni aerei dotati di sofisticate apparecchiature di rilevamento. Tutta l’operazione si è svolta sotto l’egida dell’Agenzia Europea Frontex e della Direzione Centrale per l’Immigrazione e la Polizia delle Frontiere del Ministero dell’Interno».

Lodi, terrore sulla A1: camion a fuoco, ma l’assalto al portavalori non va a segno

di Repubblica.it

Un commando composto da una ventina di uomini armati, probabilmente italiani, ha cercato di assaltare alle 6.40 un furgone portavalori provocando il caos sulla A1 a pochi chilometri da Lodi. Nessuno è rimasto ferito. Ed è un miracolo, visto che c’è stata una sparatoria: questo almeno è ciò che sostengono alcuni automobilisti. Non solo colpi di pistola, ma anche mezzi incendiati e messi di traverso per sbarrare il passo al portavalori e chiodi gettati sul selciato per distruggergli le ruote. Nel mirino uno dei blindati del gruppo Battistolli, che però è riuscito a evitare blocchi, chiodi e spari. Fino alle prime ore del pomeriggio la situazione è rimasta critica: code chilometriche hanno bloccato per ore camionisti e automobilisti.

Sull’Autostrada del Sole sono le 6.40 del mattino. Il traffico è molto sostenuto ed è fatto soprattutto di mezzi pesanti. La banda entra in azione: semina chiodi sulla carreggiata – siamo al chilometro 34 in direzione sud – dà fuoco a due autocarri e a un’auto e li mette di traverso per bloccare blindato, scorta e tutto il resto del traffico. Stessa scena sull’altra carreggiata – al chilometro 24 in direzione nord – dove vengono incendiati due camion.

La rapina fallisce, però, perché solo il mezzo della scorta rimane bloccato dai chiodi: quello che custodisce i valori riesce a fuggire e ad arrivare in una delle basi del gruppo Battistolli intorno alle 9. Un blindato della stessa azienda aveva subito un altro assalto nel 2013 lungo l’autostrada A9: il colpo aveva fruttato 10 milioni di euro. I rapinatori sono scappati su alcune auto (ci sono testimoni che parlano di tre uomini su un’automobile nera) sfruttando un varco nella recinzione: gli investigatori della polizia stanno analizzando le immagini della società Autostrade. A Graffignana, sempre nel Lodigiano, hanno abbandonato le auto. E poco più avanti hanno fermato e rapinato dell’auto una donna facendo perdere le proprie tracce.

Automobilisti e camionisti che si sono trovati a passare per tutta la mattinata sull’autostrada A1 hanno subito disagi enormi. I due tratti autostradali sono rimasti bloccati per ore per consentire alla Scientifica di compiere tutti i rilievi, ma anche perchè l’asfalto andava ripulito dai chiodi. Il tratto compreso fra Lodi e Casalpusterlengo in direzione di Bologna è stato riaperto intorno alle 10.40. Quello tra Fiorenzuola e l’allacciamento con l’A21 è ancora bloccato, invece, perché la Scientifica non ha ancora terminato il lavoro. Qui si registrano cinque chilometri di coda.