Sfruttamento della manodopera dei braccianti agricoli . In arresto 4 Imprenditori agricoli di Ragusa

La Polizia di Stato di Ragusa ha arrestato 4 imprenditori agricoli e ne ha denunciati altri 3, ritenuti responsabili dello sfruttamento della manodopera dei braccianti agricoli: centro africani richiedenti asilo, rumeni, tunisini ed in minima parte italiani, impiegati presso le serre di Vittoria.
Le indagini condotte dalla Squadra Mobile di Ragusa hanno permesso di scoprire che nessuna delle aziende agricole controllate rispettava le norme vigenti, oltre allo sfruttamento lavorativo sono state contestate infrazioni per le modalità di assunzione (molti i lavoratori in “nero”); normative sull´edilizia, alloggi dei lavoratori fatiscenti e abusivi; violazioni delle norme sulla sicurezza sui luoghi di lavoro; violazione del c.d. codice dell´ambiente, discariche abusive di plastica ed anticrittogamici; violazione delle norme sulla salubrità degli ambienti adibiti a civile abitazione, abusive ed in pessime condizioni igieniche.  I lavoratori hanno reso dichiarazioni tali da permettere alla Squadra Mobile di procedere agli arresti ed alla denuncie in stato di libertà. Sono state sottoposte a sequestro le aree adibite a discarica abusiva e le abitazioni costruite in violazione delle leggi sull´edilizia.
I poliziotti hanno accertato l´impiego di minori privi di qualsiasi dispositivo di protezione mentre irrigavano con fertilizzanti tossici per l´uomo. Nelle abitazioni abusive vivevano interi nuclei familiari con neonati che sono stati segnalati ai servizi sociali del comune di Vittoria.

di Umberto Buzzoni e Renato D’Angelo
Foto Polizia di Stato

Estradato in Italia il Boss della tratta di migranti

Visualizzazione di 3.pngVisualizzazione di 3.png1E´stato estradato in Italia Mered dalla Repubblica del Sudan  Yehdego Medhane, l’eritreo 35enne ritenuto tra i principali boss della tratta di migranti.
L´operazione, frutto di una lunga, proficua e riservata collaborazione tra i servizi di intelligence del Sudan, supportati da elementi della National Crime Agency del Regno Unito, la Procura Distrettuale di Palermo e l´apposito gruppo di lavoro della Polizia di Stato che, da alcuni anni, opera nel contrasto al traffico di migranti nella Sicilia Occidentale. Il MERED è ritenuto uno dei principali trafficanti di migranti operanti sulla rotta libica-subsahariana, destinatario di un provvedimento cautelare emesso, nell´aprile del 2015, dalla competente Autorità giudiziaria palermitana.
Il 10.4.2015, nell´ambito dell´inchiesta denominata “GLAUCO2”, la Procura Distrettuale di Palermo ha emesso 24 provvedimenti di fermo nei confronti di altrettanti cittadini stranieri, tra i quali MERED Medhanie Yehdego, ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere, nonché di favoreggiamento dell´immigrazione e della permanenza clandestine, aggravati dal carattere transnazionale del sodalizio malavitoso. L´8.5.2015, è stata disposta la custodia cautelare in carcere nei confronti del menzionato MERED, provvedimento esteso a livello internazionale. Tenuto conto del ruolo da lui ricoperto nel network criminale transnazionale dedito al traffico di migranti, nei suoi confronti è proseguita l´attività investigativa ai fini della cattura, anche dopo l´arresto degli altri sodali.
Il MERED ha manifestato più volte l´intenzione di allontanarsi dalla Libia, verosimilmente per recarsi in Svezia, dove vivrebbe sua moglie, soltanto dopo avere ottenuto
documenti validi ed un sicuro “deposito” per le ingenti somme di denaro accumulate.
La complessiva attività svolta ha messo in luce il ruolo di primaria importanza dell´eritreo nel traffico di esseri umani. Sono state ascoltate numerose conversazioni concernenti le proiezioni in Italia del sodalizio criminale capeggiato dal MERED, nonché i viaggi via mare organizzati dal trafficante. In alcuni casi, MERED ha indicato ai sodali italiani la partenza e l´eventuale arrivo; in altre occasioni, i parenti dei migranti hanno contattato MERED per avere contezza dell´esito della traversata intrapresa dai loro congiunti.
Obiettivo del network criminale capeggiato dal MERED è quello di ottenere il massimo guadagno da ciascun migrante, costringendo i loro familiari al pagamento di ingenti3i somme di denaro, suddivise in varie “fasi”. Il compenso viene corrisposto in merito alla prima fase del viaggio in Africa, successivamente per il trasporto via mare, a bordo di imbarcazioni fatiscenti ed, infine, per il raggiungimento dei Paesi del Nord Europa. La partenza verso la destinazione intermedia o finale viene “autorizzata” dall´organizzazione criminale solo dopo aver ricevuto il denaro.
In particolare, la National Crime Agency è riuscita a sviluppare relazioni di tipo sia strategico che operativo con le Autorità sudanesi. Il rintraccio del latitante e la conseguente cattura sono stati resi possibili grazie ad una intensa opera di cooperazione coordinata dalla Procura Distrettuale di Palermo. L´operazione costituisce una svolta fondamentale nel contrasto al traffico di esseri umani.

Fonte: foto Polizia di Stato

Milano: pazienti psichiatrici picchiati da operatori della Asl

Picchiavano, insultavano, in modo gratuito, per motivi futili o addirittura senza alcun motivo, pazienti psichiatrici ricoverati in una casa di cura a Milano.

Si trattava di cinque impiegati della Asl di Milano, di origine peruviana. Uno di questi è stato arrestato in flagranza nei mesi scorsi; per gli altri è scattata la denuncia a piede libero.

Tutti sono stati licenziati al termine delle indagini preliminari notificate in questi giorni.

Le investigazioni erano iniziate alla fine del 2014 quando gli stessi responsabili della casa di accoglienza avevano notato segni di possibili percosse sui pazienti.

Gli investigatori del commissariato di “Comasina“, dopo aver raccolto la denuncia e sentito anche i familiari dei degenti, decidevano di chiedere alla magistratura l’istallazione di telecamere per intercettare le immagini delle violenze.

Puntualmente, soprattutto nelle ore notturne, veniva accertato che i cinque prendevano a calci, pugni, schiaffi alcuni pazienti, a volte percuotendoli con scope e “pappagalli”; le violenze erano spesso accompagnate da ingiurie rivolte ai pazienti.

Le immagini venivano visionate in differita dagli inquirenti che isolavano i singoli episodi e li legavano ai cinque operatori socio-sanitari indagati; le attività sono state particolarmente complicate anche per la scarsa attendibilità delle dichiarazioni delle vittime tutte persone interdette.

In un caso si è riusciti ad intervenire nella flagranza e ad arrestarne uno; per gli altri è scattata invece la denuncia in stato di libertà.

fonte Polizia di Stato

Donne al centro: la Polizia contro la violenza sulle donne

Molti sostengono che la Giornata internazionale della donna, che si celebra l’8 marzo, sia solo un’inutile passerella, altri che andrebbe abolita per non rimarcare la differenza, la distanza dal genere maschile.

Noi pensiamo invece che questa ricorrenza serva per tenere accesi i riflettori sulle mille storie di violenze, abusi e discriminazioni che accadono in tutto il mondo, Italia compresa.

Ed è per questo che la Polizia di Stato ha organizzato ieri un convegno “La Polizia di Stato con le donne“, al quale hanno partecipato i massimi vertici istituzionali ed esponenti della magistratura e del mondo giornalistico. Nell’incontro, che si è svolto a Roma alla Camera dei deputati, è stata tracciata l’evoluzione del ruolo della donna nella Polizia di Stato, dalla legge di riforma del Corpo del 1981 ad oggi, ed il determinante impegno dell’Istituzione a salvaguardia dell’universo femminile.

Nel suo intervento il capo della Polizia Alessandro Pansa ha detto che “Nella Pubblica Amministrazione il ruolo delle donne è riconosciuto e importante. In Polizia non esistono quote rosa o corsie preferenziali, le donne se lo devono guadagnare, e quando le donne arrivano a livelli apicali sono veramente brave, sono le migliori”.

Per quanto riguarda la violenza sulle donne il prefetto Pansa ha aggiunto che “esiste un numero sommerso: il numero di denunce non corrisponde ai fatti reali. È un fenomeno che avviene spessissimo all’interno dei rapporti familiari e per noi diventa difficile intervenire”.

E proprio oggi il capo della Polizia Alessandro Pansa ha lanciato gli hashtag #donnalcentro e #focusonwomen. Grazie ad una collaborazione stretta con le leghe calcio di serie A e B giocatori, arbitri e piccoli accompagnatori scenderanno in campo, prima del match, il 5 ed il 6 marzo, indossando magliette su cui saranno stampati i due hashtag.

La Polizia ha anche realizzato un video che è stato proiettato durante il convegno. Piccolo gesti, atti dovuti contro tutte le violenze che si consumano nel silenzio e nell’indifferenza. Lo dobbiamo ad Halima (un nome di fantasia), una donna tunisina che a Caltanissetta insieme alle sue tre figlie veniva maltrattata e pestata dal marito; solo la violenza sessuale sulla prima figlia, nata da un precedente matrimonio, ha convinto la donna a denunciare, giusto qualche giorno fa, quell’uomo indegno di appartenere al genere umano.

Lo dobbiamo anche a Saira (anche questo un nome di fantasia), una donna di trenta anni arrivata a Roma dal Pakistan dieci anni fa e che per tutto questo tempo sino a pochi giorni orsono, ha tollerato le violenze fisiche e psicologiche del marito, nel silenzio e nella paura di non poter mantenere, da sola, in un Paese straniero, i due figli piccoli.

Lo dobbiamo alla forza di queste donne che hanno trovato il coraggio di denunciare i loro persecutori e a tutte quelle Halima e Saira che abitano nelle nostre città e che ancora questo coraggio non lo hanno trovato.

Lo dobbiamo infine anche a tutti quegli operatori delle forze dell’ordine delle Onlus e ai volontari che quotidianamente, in silenzio, costruiscono con mattoni piccolissimi la casa della tolleranza e della giustizia per tutte le donne vittime della violenza.

fonte Polizia di Stato

Percosse e maltrattamenti ad anziani, 3 arresti a Parma

Gli anziani subivano percosse, ingiurie e maltrattamenti di ogni genere, ma la denuncia di una signora uscita da quell’incubo ha permesso di smascherare la violenta gestione della casa di accoglienza per anziani Villa Alba, di Parma.

Questa mattina gli uomini della Squadra mobile della città hanno dato esecuzione ad un ordinanza di custodia cautelare nei confronti della titolare della struttura e di due sue collaboratrici, madre e sorella della stessa.

Le indagate sono accusate di maltrattamenti aggravati nei confronti degli anziani alloggiati presso la struttura, mentre le due collaboratrici devono rispondere anche del reato di furto aggravato di materiale sanitario.

Nella denuncia della donna tutto il drammatico racconto, dal quale è emersa la violenza subita da lei stessa e, in particolar modo, dalla sua compagna di stanza; insomma una quotidianità fatta di rimproveri, umiliazioni e frequente ricorso a percosse e minacce, in un clima di terrore, in cui agli anziani degenti erano costretti per gran parte della giornata.

Il racconto della signora che ha denunciato i fatti ha trovato pieno riscontro nell’indagine iniziata nell’aprile scorso e documentata con numerose intercettazioni ambientali, dalle quali emerge tutta la drammatica realtà di quello che era in realtà un vero e proprio lager.

La crudeltà della titolare della struttura era tale da portarla addirittura a ritardare l’intervento del 118 per soccorrere un’anziana degente bisognosa di cure, temendo che a causa del suo precario stato di salute, non fosse più consentito il suo ritorno nell’istituto determinando, così, un “mancato guadagno”.

fonte Polizia di Stato

Avvolta nel mistero la morte di Giulio Regeni

Mistero profondo sulla morte di Giulio Regeni, il 28enne ricercatore friulano scomparso la notte del 25 gennaio a Il Cairo e ritrovato privo di vita il 3 febbraio, ai margini dell’autostrada, alla periferia della capitale egiziana. Le notizie fornite dalle autorità egiziane sono confuse e contraddittorie: l’ambasciatore egiziano a Roma, Amr Mostafa Kamal Helmy, fa espresso riferimento ad un “atto criminale”, pur non precisandone natura e dettagli; il Direttore dell’Amministrazione Generale delle Indagini di Giza, generale Khaled Shalabi, di contro, sostiene che non ci sono sospetti tali da poter attribuire la morte del giovane a fatti criminali, in quanto le indagini sinora svolte fanno propendere per un “incidente stradale”.

Sta di fatto, però, che, da quanto emerso dai primi risultati dell’esame autoptico, la morte del ricercatore universitario sarebbe stata provocata da un forte colpo alla testa inferto da un corpo contundente. Inoltre, numerose sono le ferite presenti in varie parti del corpo, diverse delle quali attribuibili a bruciature di sigaretta e tagli da coltello, il che porta a ritenere che il giovane sia stato prima torturato per poi andare incontro ad un’atroce e lenta morte. La notizia è confermata anche da uno dei quotidiani egiziani più filo-governativi, cosa che sconfessa definitivamente il presunto “incidente stradale” prefigurato dal generale della Polizia Khaled Shalabi. A propendere per l’omicidio è anche la Procura del Cairo, che, oltre alle ferite di cui sopra, parla, altresì, di “contusioni attorno agli occhi, come fossero il risultato di pugni”.

Proprio a causa delle evidenti contraddizioni nelle diverse versioni dei fatti, sono intervenute le massime autorità politiche italiane (Presidente della Repubblica e Capo del Governo), chiedendo con forza chiarezza sul decesso di Giulio Regeni, in particolare che sia fatta piena luce “sulla preoccupante dinamica degli avvenimenti, consentendo di assicurare alla giustizia i responsabili di un crimine così efferato, che non può rimanere impunito”. Intanto, le autorità egiziane, che hanno assicurato il massimo impegno nelle indagini e la massima collaborazione con le istituzioni del nostro Paese, hanno consegnato il corpo all’ospedale italianoUmberto I” del Cairo. Fin qui le ultime notizie; ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire chi era Giulio Regeni, il perché della sua presenza in Egitto ed il possibile movente del suo omicidio.

Nato 28 anni fa a Fiumicello in provincia di Udine, Giulio viene descritto come “il figlio che tutti vorrebbero”, un ragazzo serio, intelligente, dalle grandi capacità. Una bella persona, un giovane determinato ma solidale, conoscitore del mondo ed appassionato di Medio Oriente. Dai 12 ai 14 anni era stato sindaco dei ragazzi del suo comune, che poi aveva lasciato per recarsi a Trieste, ove aveva frequentato il liceo “Petrarca”. Arriverà successivamente l’esperienza estera: una borsa di studio, gli ultimi 3 anni di liceo nel Collegio del Mondo Unito del New Mexico (USA). Infine, l’università in Inghilterra, prima ad Oxford, dove ha conseguito una laurea ad indirizzo umanistico, quindi il dottorato a Cambridge, che, a settembre scorso, lo aveva portato al Cairo, dove faceva ricerche per una tesi sull’economia locale.

Capace di parlare correntemente arabo ed inglese, nel 2012 e 2013 aveva vinto due premi al concorso internazionaleEuropa e Giovani”, promosso dall’Istituto Regionale per gli studi europei per ricerche ed approfondimenti sul Medio Oriente. Da quando era in Egitto, collaborava con il quotidianoIl Manifesto”, scrivendo articoli sotto pseudonimo: “preferiva non firmarli perché aveva paura per la sua incolumità”, così ha riferito ai microfoni di “Radio Popolare” Giuseppe Acconcia, collaboratore del quotidiano, aggiungendo “Giulio si occupava soprattutto di movimenti operai e sindacalismo indipendente e per questo aveva contatti con l’opposizione egiziana”. Proprio oggi, “Il Manifesto” ha pubblicato l’ultimo articolo di Giulio Regeni, questa volta con il nome vero, nonostante la diffida ricevuta dalla famiglia, dal titolo “In Egitto, la seconda vita dei sindacati indipendenti”.

Molto probabilmente, è proprio nell’ambito del suo marcato impegno a favore dei diritti civili, della democrazia, della libertà sindacale, che vanno indagate le cause del suo barbaro assassinio. Non possiamo non rilevare, infatti, che è avvenuto in un Paese il cui Presidente, Abdel Fattah Al Sisi, è salito al potere nel 2013 a seguito di un colpo di stato, in cui le libertà sono fortemente compromesse ed in cui, negli ultimi tempi, centinaia di oppositori del regime continuano a “scomparire” senza lasciare traccia.

Al momento, le pressioni del Governo Italiano sembrano aver sortito i primi effetti. Il premier egiziano, infatti, ha acconsentito affinchè una task force di poliziotti e carabinieri italiani si rechi al Cairo per affiancare i colleghi egiziani nelle difficili e delicate indagini; inoltre, è stato rilasciato il nulla osta per il trasferimento in Italia della salma del povero Regeni, che arriverà alle ore 13 di domani nello scalo aeroportuale di Fiumicino, da dove sarà poi trasferita presso l’Istituto di Medicina LegaleLa Sapienza”, per essere sottoposta a nuova autopsia, disposta dalla Procura della Repubblica di Roma, che indaga per omicidio volontario.

di Umberto Buzzoni

Presi 4 trafficanti di schiave del sesso, le minacciavano con il voodoo

Una foto, ciocche di capelli, peli e unghie erano gli elementi usati dai “Baba-loa” per sottoporre a rito voodoo le giovani ragazze prima di imbarcarle per l’Europa e farle diventare schiave del sesso da vendere sui marciapiedi.

Al termine dell’operazioneBaba-loa“, coordinata dal Servizio centrale operativo, la Squadra mobile di Ragusa ha messo le manette a quattro persone, un uomo e tre donne, accusati di far parte di un’organizzazione internazionale dedita alla tratta di giovani donne nigeriane, illegittimamente introdotte nel nostro Paese con lo scopo di sfruttarle avviandole alla prostituzione. I reati sono inoltre aggravati dal fatto che il gruppo criminale agiva in più Stati, in particolare Libia, Nigeria e Italia.

Gli arresti sono stati effettuati a Novara, Ferrara e Napoli in collaborazione con le locali Squadre mobili.

Gli sfruttatori approfittavano dello stato di estrema povertà delle vittime e delle loro famiglie, riuscendo facilmente ad ingannarle con il miraggio di un lavoro lecito con il quale avrebbero ripagato il costo del trasferimento (circa 400 euro) e inviato soldi a casa.

L’indagine è iniziata nel febbraio scorso quando, durante uno dei tanti sbarchi di migranti nel porto di Pozzallo (Ragusa), gli uomini della Mobile ragusana hanno notato la presenza di moltissime giovani donne di origine nigeriana.

Grazie anche all’aiuto di una giovane interprete nigeriana, anche lei sbarcata qualche anno fa a Pozzallo e sottratta dalla Polizia alla vita da marciapiede, i poliziotti sono riusciti a convincere una delle migranti a raccontare la sua storia agli investigatori.

Come tutte le altre ragazze cadute nella rete, anche lei sperava di poter studiare e lavorare come baby sitter o badante, prima di rendersi conto, quando ormai era troppo tardi, che in realtà il suo futuro sarebbe stato quello di vendersi sui marciapiedi italiani per “restituire” all’organizzazione un debito di circa 30mila euro.

Il rito voodoo con il quale il Baba-loa le aveva benedette prima di partire, si rivelava in realtà l’arma principale con la quale le vittime venivano terrorizzate e soggiogate, insieme a vere e proprie minacce fisiche a loro e alle loro famiglie. Il “Baba-loa” è una figura religiosa tradizionale molto diffusa e rispettata, soprattutto nelle zone della Nigeria meridionale, con tanto di albo professionale di categoria.

La ragazza aveva imparato a memoria un numero di telefono di una donna, la “maman” che l’avrebbe prelevata e inserita nel meccanismo dell’organizzazione. Proprio mettendo sotto controllo quel numero di telefono gli investigatori sono risaliti agli altri membri del gruppo criminale e alla sua struttura organizzativa.

Alcune delle vittime diventavano esse stesse carnefici e diventavano delle “maman”, in modo da estinguere il debito senza prostituirsi.

L’attività investigativa ha portato all’individuazione di tre diramazioni italiane dell’organizzazione, proprio nelle città dove sono stati effettuati gli arresti.

fonte Polizia di Stato

A Milano 4 arresti per tratta di esseri umani

Ammontava anche a 70mila euro il debito che alcune prostitute nigeriane, ridotte in schiavitù, dovevano ad una rete criminale specializzata nella tratta di esseri umani. Così, dopo un’indagine durata più di un anno, la Squadra mobile di Milano ha arrestato quattro cittadini nigeriani che avviavano giovani donne alla prostituzione in provincia di Milano.

L’organizzazione operava già dalla Nigeria; le ragazze infatti venivano sottoposte ad una variante del rito voodoo con cui si sottomettevano psicologicamente.

Dopo questa preparazione arrivavano nel nostro Paese, in molti casi attraversando il deserto, e poi a bordo di barconi dalla Libia a Lampedusa.

In Italia, inizialmente erano affidate a una “madame” che le avviava alla prostituzione facendo credere loro di essere debitrici di grosse somme di denaro per esser state “aiutate” a raggiungere l’Europa.

Almeno 9 le ragazze individuate dagli investigatori di cui 4 quelle collocate in una comunità di recupero del comune di Milano.

Gli agenti hanno recuperato, inoltre, anche dei quaderni in cui la madame teneva la contabilità che avrebbe reso libere per sempre le ragazze.

fonte Polizia di Stato

Omicidio Ferrara: preso in Slovacchia il terzo uomo

Si è chiuso il cerchio intorno alla banda di criminali che lo scorso 9 settembre ha rapinato e ucciso il pensionato Pier Luigi Tartari a Ferrara.

Il terzo uomo definito il “capo della banda” è stato catturato lo scorso 3 ottobre in Slovacchia dalla Squadra mobile di Ferrara in collaborazione con il Servizio di cooperazione internazionale di Polizia (Scip) ed il Servizio centrale Operativo (Sco).

Le indagini hanno preso il via dopo la segnalazione del fratello della vittima che non lo aveva trovato in casa; all’interno dell’abitazione erano state rinvenute abbondanti tracce di sangue.

Gli investigatori dopo pochi giorni hanno fermato due uomini stranieri, senza fissa dimora e hanno recuperato il corpo della vittima. Sono riusciti così in breve tempo a ricostruire l’accaduto e a rintracciare il capo della banda, che nel frattempo aveva lasciato l’Italia per nascondersi a casa della compagna, in un villaggio al confine con l’Ungheria.

Pier Luigi Tartari era stato sorpreso nella sua casa, minacciato, picchiato, legato a mani e piedi e trascinato dai suoi aguzzini per effettuare prelievi al bancomat della città, poi ucciso e lasciato legato così, in un casolare abbandonato della zona.

Il sopralluogo all’interno della sua abitazione ha permesso di accertare che, oltre ad alcuni oggetti personali di valore della vittima, erano stati asportati anche due fucili regolarmente detenuti.

fonte Polizia di Stato

Siracusa: giovane segregata in Turchia, salvata dalle amiche

 Sequestrata, portata in Turchia, narcotizzata, privata di documenti, telefono e picchiata ad ogni tentativo di ribellione.

Sembra la trama di un film di spionaggio, ma in realtà è quanto capitato ad una ragazza 19nne, di origini turche, residente a Siracusa. La colpa della giovane donna era quella di condurre uno stile di vita occidentale, non tollerato dai genitori che stamattina sono finiti in carcere.

Tutto è cominciato da una segnalazione delle amiche della ragazza che, non vedendola più e non riuscendo a contattarla telefonicamente, si sono allarmate e sono andate in questura, segnalando la scomparsa probabilmente legata ai contrasti con i genitori.

La Polizia di Siracusa, sospettando che la giovane potesse essere stata trattenuta contro la propria volontà in Turchia, ha allertato l’Interpol.

Nel frattempo sono iniziate le intercettazioni telefoniche per stabilire le responsabilità dei familiari.

I sospetti venivano confermati: la ragazza era trattenuta in casa di parenti a Serinhisar, una cittadina dell’entroterra turco a 200 chilometri dalla costa egea.

La giovane era sottoposta ad una vigilanza continua da parte dei parenti e, ad ogni tentativo di ribellione, veniva picchiata.

La polizia turca ha liberato la ragazza che, rientrata a Siracusa, ha raccontato le sue vicissitudini alla squadra mobile siciliana; ha denunciato di esser stata attirata in Turchia con l’inganno e qui segregata in casa di parenti.

Ad architettare il sequestro i due genitori che oggi sono finiti in carcere: non sopportavano che la figlia vivesse secondo uno stile di vita occidentale.

fonte Polizia di Stato