Traffico di rifiuti speciali, 14 arresti Tra di loro il boss Cozzolino

di Il Corriere

Tra i vertici, il capo clan camorristico che opera a Portici – Ercolano, già condannato per associazione a delinquere. Tra gli illeciti c’è anche la raccolta di indumenti destinati allo smaltimento che invece erano poi rivenduti nei paesi dell’Africa e in Europa

C’è un boss della camorra al vertice dell’organizzazione criminale dedita al traffico di rifiuti speciali smantellata da Polizia di Stato e Polizia Provinciale, nell’ambito di un’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma. Sono quattordici gli arresti, ma le operazioni, in corso dall’alba di giovedì, sono ancora in corso con gli agenti impegnati in numerose perquisizioni e sequestri, non solo a Roma ma in diverse Regioni italiane. Tra i capi dell’organizzazione emerge la figura di Pietro Cozzolino, elemento di vertice dell’omonimo clan camorristico operante a Portici-Ercolano (Napoli), già condannato per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti. E tra gli illeciti c’è anche la raccolta degli indumenti usati dai cassonetti destinati dall’Ama allo smaltimento, che invece venivano rivenduti dalle cooperative ai paesi africani ed europei.

I capi dell’organizzazione ricevevano, trasportavano, cedevano e comunque gestivano abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti speciali, con «condotte di falsità materiale e ideologica in atti pubblici». I reati sono aggravati dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 146/2006, perché secondo le indagini avrebbero fornito il loro contributo nella commissione dei reati a vantaggio di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività illecite in diversi Paesi europei e africani. Tra le altre, sono state sequestrate le cooperative New Horizons Onlus e Lapemaia Onlus e la società B&B Ecology srl che gestivano la raccolta dei rifiuti tessili speciali per conto del consorzio «Il Solco» delegato per il servizio da Ama. Tra gli arrestati c’è anche Danilo Sorgente, responsabile tecnico dell’impianto di recupero rifiuti gestito dalla New Horizons. Le cooperative smaltivano i rifiuti per conto della municipalizzata romana, ma invece di distruggerli li mandavano nei paesi poverissimi, senza igienizzarli, per rivenderli nei mercati.

Anche il fratello Aniello
Ai vertici dell’organizzazione criminale, oltre a Cozzolino, ci sarebbe il fratello Aniello, anche lui condannato in via definitiva per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti e latitante dal 2008. Gli arresti sono stati eseguiti a Roma, Napoli e Salerno. Il reato contestato è associazione per delinquere finalizzata al traffico di rifiuti speciali.

Assalto al bancomat nella notte, i banditi ​si schiantano nella fuga: 2 morti e 2 feriti

di Il Mattino

Assalto al bancomat nella notte con epilogo tragico a San Cipriano di Roncade (Treviso): 4 malviventi – con ogni probabilità giostrai – verso le 4 di questa notte hanno fatto esplodere lo sportello bancomat della filiale del Credito cooperativo di Monastier e Silea.

Subito è scattato e i malviventi si sono dati alla fuga in auto durante la quale – per sottrarsi all’inseguimeto delle pattuglie dei carabinieri subito intervenute – in via Bassa trevigiana di Silea, sbandando con l’auto lanciata a folle velocità sono fuoriusciti dalla sede stradale finendo capottati.

Bari, sorvegliato speciale ucciso a colpi di pistola davanti alla moglie

di Il Mattino

Un uomo di 59 anni, Nicola Lorusso, sorvegliato speciale, è stato ucciso stamane al quartiere San Girolamo a Bari in un agguato. Sull’episodio indaga la Squadra Mobile della Questura. L’agguato è avvenuto intorno alle 9,30 in via Van Westerhout.

L’uomo è stato raggiunto da numerosi colpi d’arma da fuoco. L’agguato in cui è stato ucciso stamani a Bari il sorvegliato speciale di 58 anni Nicola Lorusso, padre del capoclan Umberto, è avvenuto verso le 9,30 in via Van Westerhout. Secondo una prima ricostruzione, l’uomo era in compagnia della moglie alla guida di una Ford Fiesta e si stava recando in Questura per firmare la presenza. Lorusso si sarebbe accorto di essere seguito da un’altra auto e ha fatto scendere la moglie dalla vettura. Quindi ha proseguito la marcia ma poco dopo sarebbe stato affiancato e crivellato di proiettili da un killer che avrebbe sparato con un mitra kalashnikov.

Sembra che un uomo che transitava nella zona, uditi gli spari, abbia poi visto il cadavere a terra e abbia messo davanti un cassonetto dell’immondizia per evitare che il corpo venisse travolto dalle auto di passaggio. Sul posto si sono registrati momenti di tensione tra la polizia e i parenti dell’uomo ucciso giunti sul posto.

Mafia a Roma, 5 nuovi arresti per l’omicidio Fanella. Il giallo della cabina telefonica

di Repubblica

L’uomo era stato ucciso a luglio nella sua abitazione alla Camilluccia. Coinvolti personaggi legati all’estrema destra. Perquisizione nelle coop di ex terroristi. Intercettato Denaro, il presunto mandante del delitto: usava lo stesso telefono pubblico che Carminati adoperava per i suoi affari nel “mondo di mezzo”

Cinque arresti e numerose perquisizioni della Squadra mobile di Roma nell’ambito delle inchiesta sull’omicidio di Silvio Fanella, l’ex cassiere di Gennaro Mokbel, l’uomo accusato della maxi truffa da 2,2 miliardi di euro ai danni di Telecom e Fastweb. Fanella, anche lui condannato per la truffa, era stato ucciso a luglio nella sua abitazione di Roma alla Camilluccia, freddato con un colpo di pistola al torace da tre finti finanzieri.

Le indagini, coordinate dai pm Paolo Ielo e Giuseppe Cascini della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, hanno colpito gli esecutori e organizzatori del tentato sequestro sfociato nell’omicidio di Fanella, rivelando il coinvolgimento a vario titolo di numerosi pregiudicati legati all’estrema destra, che gravitano sul litorale romano di Ostia, in Piemonte, Lombardia e Trentino Alto Adige.

Tra gli arrestati, Manlio Denaro, 56 anni, dipendente della palestra Flemin Fitness di via Flaminia Vecchia e coinvolto nelle indagini sulla truffa Fastweb Telecom Sparkle e considerato dal gip Bernadette Nicotra il mandante del tentato sequestro, ed Emanuele Macchi di Cellere, 58 anni, ex Nar, fermato nel sud della Francia dalla Squadra mobile di Roma lo scorso settembre e già in carcere a Genova. In manette anche Gabriele Donnini, Carlo Italo Casoli e la figlia di 27 anni Claudia, l’unica per cui sono stati disposti gli arresti domiciliari, che avrebbero messo a disposizione dell’organizzazione mezzi e documenti falsi. La polizia aveva già arrestato già nei mesi scorsi i presunti esecutori materiali dell’omicidio: Giovanni Battista Ceniti, rimasto ferito durante il delitto, Egidio Giuliani e Giuseppe Larosa, rintracciati a Roma e a Novara lo scorso 7 settembre.

L’operazione, che ha visto impegnati 150 uomini e le Questure di Roma, Genova, Verbania, Novara, Torino, Trento e Varese, ha portato anche alla perquisizione della cooperativa sociale Multidea di Novara, che ha tra le finalità quella del reinserimento sociale degli ex detenuti, nella quale operano pregiudicati per reati di terrorismo, appartenenti alle brigate rosse e ai movimenti eversivi di destra, e che vede tra i fondatori Giuliani, mentre Larosa vi figurava come dipendente.

“In cinque mesi si è chiuso, dunque, il cerchio sul commando che ha tentato di sequestrare e poi ha ucciso Silvio Fanella”, ha sottolineato il procuratore aggiunto Antimafia della capitale, Michele Prestipino.

E spuntano anche collegamenti tra l’omicidio e l’inchiesta su “Mafia capitale”. In particolare, c’è una cabina telefonica sulla via Flaminia utilizzata da Massimo Carminati, e per questo tenuta sotto controllo dagli investigatori del Ros dei carabinieri, che torna in questa indagine. Da lì partivano anche le chiamate di Denaro. In una telefonata intercettata sono l’ex estremista e Giuliani, che si trovava in quel momento a Novara, a parlare. “Volevo sapere quando è la festa di nonna” dice Denaro: un frase che, secondo chi indaga, indica l’arrivo di Giuliani a Roma per il sequestro. ”Noi siamo pronti. Io scenderò il 26, mentre gli altri dopo. Ma tu fammi trovare i regalini che ti avevo chiesto” risponde l’altro.

Nell’ordinanza di custodia cautelare compare anche un’intercettazione in cui Carminati e Brugia, tra i principali protagonisti dell’inchiesta sull’associazione a delinquere di stampo mafioso, parlano di un debito che Denaro avrebbe contratto con Mokbel e che sarebbe il movente dell’omicidio. “Quello è pericoloso” dice Carminati. “Denaro – scrive il gip – voleva mettere la mani sul tesoretto di Mokbel”: contanti, oggetti preziosi e diamanti che gli investigatori hanno trovato solo dopo l’omicidio
nascosti a Pofi, un’abitazione in provincia di Frosinone.

“Questo al momento è l’unico collegamento oggettivo con Carminati”, ha detto il sostituto procuratore Michele Prestipino “oltre a un elemento soggettivo: si tratta di personaggi criminali che negli anni passati si conoscevano e avevano rapporti per l’appartenenza allo stesso contesto politico”.

‘Ndrangheta, 59 arresti. Le mani della mafia sul Meazza: voleva scalzare il catering del Milan

di Repubblica

In ginocchio la cosca Libri-De Stefano-Tegano. Il tentativo di far fuori la società che per conto della squadra di Berlusconi gestisce la ristorazione allo stadio. L’azienda sana doveva essere screditata dall’indagine di un carabiniere infedele

Sembravano imprenditori, ma erano boss della ‘ndrangheta. Lo schema è noto, lo si è già visto molte volte nelle recenti inchieste milanesi, ma in queste ore è un’antica e influente cosca della ‘ndrangheta (la Libri-De Stefano-Tegano) che viene messa in ginocchio dalla Procura distrettuale antimafia e dal nucleo investigativo dei carabinieri. Si contano 59 arresti.

Accanto al traffico di droga, anche di altissimo livello, con sequestri di cocaina, hashish e di quella che chiamano ‘Ganja’, marijuana nel linguaggio hindi, e alle estorsioni, c’è un piccolo grande inedito. I mafiosi stavano provando ad entrare a San Siro con una società di catering. I detective hanno individuato un imprenditore milanese. Si chiama Cristiano Sala, ha ereditato dal padre il gruppo ‘Il maestro di casa’, che nel 2007 fatturava 35 milioni di euro all’anno e dal 2008 si mette in società con un imprenditore del principato di Monaco. Organizza attività sia nel mondo sportivo in genere sia a San Siro, attraverso la società ‘La Tribuna’, sia in altri stadi, con la ‘Welcome’. La crisi però lo fa fallire, lui diventa consulente anche di marchi importanti, ma avendo accumulato i debiti con la cosca di ‘ndrangheta “da vittima diventa complice”, si legge nell’ordinanza: e diventa anche “persona estremamente importante per il sodalizio criminoso”. Tant’è vero che Sala cerca di screditare una società, la Milan entertainment srl per il servizio di catering allo stadio Meazza per le stagioni 2013 e 2014.

Il carabiniere infedele. Sala lo fa attraverso un appuntato dei carabinieri, Carlo Milesi, abbastanza noto tra i giornalisti di nera, che il 25 ottobre 2013 produce una relazione di servizio e la trasmette alla Procura, accusando falsamente la società di impiegare lavoratori stranieri in nero. Milesi va in più occasioni nella sede del Milan, per convincere la società ad estromettere la società in concorrenza con Sala e ci torna dopo che la notizia della sua relazione di servizio esce sui giornali. C’è la registrazione di una telefonata in cui il carabiniere infedele racconta di essere entrato nella sede della società – ovviamente estranea a questi maneggi – e di aver atteso che i dirigenti finissero di parlare (chissà se è vero) con Barbara Berlusconi. E’ un passaggio che in ogni caso dimostra quanto sia facile riuscire a farsi aprire le porte di importanti e ignari imprenditori da parte delle organizzazioni criminali che si presentano con una “faccia pulita”.

Latitante da dieci anni, preso a Capo Verde spacciatore genovese

di Repubblica

Stefano Marchi “tradito” dai soldi che gli inviava la madre.  Deve scontare vent’anni di carcere

La Polizia ha arrestato nella Repubblica di Capo Verde il latitante Stefano Marchi, genovese, inserito nell’elenco dei cento ricercati più pericolosi, ritenuto elemento di spicco di un’organizzazione criminale composta da italiani e sudamericani dedita all’importazione e allo spaccio di ingenti quantitativi di cocaina.

A tradire Stefano Marchi, il superlatitante genovese arrestato ieri sull’isola di Majo a Capo Verde dalla polizia, sono stati i soldi che i suoi familiari gli inviavano dall’Italia per le spese di ordinaria amministrazione. Erano la mamma e il fratello che con cadenza quasi mensile mandavano piccole somme di denaro. Non solo. Nel 2011 gli agenti di polizia lo avevano localizzato una prima volta, sempre nell’arcipelago di Capo Verde, grazie a una intercettazione dove spiegava alla madre di avere fatto spostare alcune piante di aloe perchè le radici stavano rompendo il muretto di cinta  della villa dove si era rifugiato. “Le ha fatte mettere dal lato mare e dal lato polizia”, facendo così intuire il luogo dove si trovava. Ma subito dopo aveva cambiato residenza, facendo perdere di nuovo le tracce.

Marchi, che deve scontare una pena definitiva a 19 anni e 11 mesi, secondo l’accusa farebbe parte di una associazione criminale, composta da italiani e sudamericani, che importava cocaina dalla Colombia facendola arrivare prima in Europa e poi a Genova e nel Tigullio.

Ad eseguire l’ordine di cattura gli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Genova, coordinati dal Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e dal Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia.

False fatture su carbon trading per 3,5 miliardi, nove arresti della Finanza

di Il Fatto Quotidiano

Sono 32 le persone iscritte nel registro degli indagati della procura di Milano. Nell’ambito dell’operazione è stato eseguito anche un sequestro per un totale di circa 650 milioni di euro. Per gli inquirenti il capo è un cittadino franco-israeliano

Il “fenomeno” delle frodi sulle “quote di emissione di Co2“, i cosiddetti “certificati neri” attestanti la “riduzione di inquinamento da ossido di carbonio da parte delle aziende”, “stando alle cifre che emergono da questa indagine”, risulta “particolarmente allarmante soprattutto se si pensa alla possibilità di riciclare, praticamente senza controlli, ingenti quantità di denaro”, con un “vulnus di rilevanti proporzioni per gli interessi dell’Erario”.

È la riflessione della Procura di Milano nella richiesta di custodia cautelare nell’ambito dell’inchiesta che ha portato all’arresto di nove persone da parte del Nucleo di Polizia Tributaria per una presunta maxifrode fiscale nel settore del carbon trading da circa 650 milioni di euro con fatture false per circa 3,5 miliardi di euro.

Il passaggio della richiesta dei pm Carlo Nocerino e Adriano Scudieri è contenuto nelle oltre 200 pagine dell’ordinanza firmata dal gip Stefania Donandeo. Nelle carte dell’inchiesta si legge che la presunta associazione per delinquere, che aveva uomini e società a disposizione sparsi in mezza Europa e in Medioriente, dalla Tunisia alla Francia passando per la Lituania, la Germania, la Slovacchia, la Gran Bretagna e l’Albania, era “riconducibile ad un unico vertice franco-israeliano in via di completa identificazione”.

Tra i capi della presunta associazione, secondo il gip, figurano Eddie Briand, un francese di 33 anni residente a Parigi, Rafaela Murati, un’albanese di 31 anni, anche lei residente a Parigi, e Mauro Pino, romano di 50 anni. Tutti e tre sono finiti in carcere. Tre società poi, con sede a Milano, la Star Co Energia srl, la Ypoint srl e la Adatto Energy srl, avrebbero funzionato come “collettore di fatture false e da interfaccia con i reali cessionari delle quote Co2, fungendo da cassa dell’organizzazione”.

Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Francesco Greco, hanno ricostruito le attività di dell’associazione a delinquere, che si serviva appunto di società italiane ed estere, per commerciare i certificati di carbone trading, ossia le quote di emissione dei gas serra introdotte con la direttiva europea 87 del 2003 per promuovere la riduzione dell’inquinamento secondo criteri di efficacia dei costi ed efficienza economica. Grazie a “ripetute e sistematiche frodi carosello” e a società cartiere e di società filtro nella filiera commerciale la banda si appropriava dell’imposta sul valore aggiunto (Iva) connessa alle transazioni. L’Iva non pagata in Italia, stando alle indagini, è stata stata portata all’estero con la creazione di fondi neri a partire dal 2010.

Sono 32 le persone indagate: si tratta di amministratori di fatto o di diritto di 28 società utilizzate dall’associazione. Nell’ambito delle operazioni della Gdf, nelle quali sono stati impegnati oltre 150 finanzieri, è stato eseguito anche un sequestro per un totale di circa 650 milioni di euro.

Mafia Capitale, due nuovi arresti. “Erano il collegamento tra le cooperative e la ‘ndrangheta”. Marino rifiuta la scorta

di Repubblica

In manette Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero. Per gli inquirenti, dal luglio 2014, affidata la gestione dell’appalto per la pulizia del mercato Esquilino a Giovanni Campennì, imprenditore della cosca Mancuso. Sequestrate altre due società riconducibili a Buzzi che avevano un giro d’affari annuo di 15 milioni di euro. Udienza Riesame, Carminati in aula

Ancora due arresti da parte dei carabinieri del Ros nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale. In manette sono finiti Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, entrambi per associazione di tipo mafioso. Sono accusati di aver assicurato il collegamento tra alcune cooperative gestite dalla ‘cupola romana’ e la ‘ndrangheta. Una terza persona, indagata a piede libero, è stata perquisita. Gli interventi dei carabinieri, disposti dal gip di Roma su richiesta della procura distrettuale antimafia, sono stati eseguiti nelle province di Roma, Latina e Vibo Valentia. Intanto, gli uomini del Comando provinciale della Guardia di finanza di Roma hanno sequestrato altre due società cooperative riconducibili a Salvatore Buzzi che avevano un giro d’affari annuo di 15 milioni di euro. ”E’ un’ottima giornata iniziata con altri due arresti – ha detto il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ai microfoni di Radio Radio – Speriamo che la magistratura ci aiuti velocemente a fare pulizia in questa città”. Poi l’annuncio: “Ho fatto molte resistenze alla scorta e alla fine non l’ho avuta. A Roma abbiamo già un migliaio di persone che vivono sotto scorta, per alcune è essenziale, per altri soprattutto nella categoria dei politici, è una comodità per avere la macchina di Stato. Se non è necessario credo sia meglio che quegli uomini vengano utilizzati per le periferie e sul territorio”.

Riesame. E questa mattina sono in corso le udienze del tribunale del Riesame di Roma, al lavoro sui ricorsi presentati da alcuni degli arrestati nell’inchiesta Mafia Capitale. In aula, già da alcune ore, sono presenti Massimo Carminati, considerato a capo della cupola capitolina, e il suo braccio destro Riccardo Brugia, entrambi accompagnati dall’avvocato Giosuè Bruno Naso. Le richieste dei legali degli arrestati riguardano -o ltre alla revoca dell’ordinanza di custodia cautelare – l’annullamento dell’aggravante dell’associazione “di stampo mafioso”. In aula, sono presenti i pm Giuseppe Casini, Luca Tescaroli e Paolo Ielo.

L’ordinanza di arresto. Il gip nell’ordinanza di arresto per Rotolo e Salvatore Ruggiero, che erano stati assunti da Buzzi, scrive: “L’associazione criminale romana, grazie alla mediazione di Rotolo Rocco aveva stipulato un accordo con il clan Mancuso di Limbadi, in virtù del quale aveva potuto svolgere le proprie attività in Calabria godendo della protezione della ‘ndrangheta. Nel corso dell’attività investigativa – scrive ancora il gip- è stato accertato che, circa cinque anni prima, l’associazione criminale romana, grazie alla mediazione di Rotolo Rocco (formalmente dipendente della “Cooperativa 29 Giugno”, presso la quale si occupa della gestione del deposito mezzi sito in via Affile 3, all’interno del quale vengono custoditi anche gli articolati di Giovanni Campennì) e Ruggiero Salvatore (lavoratore dipendente, dal 1998 al 1999, presso la “Soc. Coop. 29 Ggiugno Coop Sociale Srl” di Buzzi Salvatore, mentre dal 2009 inserito nella società Roma Multiservizi spa, presieduta sino all’ottobre 2013 da Franco Panzironi, ex ad di Ama arrestato anche lui), aveva stipulato un accordo con il clan Mancuso di Limbadi, in virtù del quale l’associazione romana aveva potuto svolgere le proprie attività in Calabria godendo della protezione della ‘ndrangheta mentre il clan Mancuso aveva inviato su Roma un proprio emissario, Giovanni Campennì (in quanto a lui Buzzi ha più volte spiegato il metodo con il quale l’associazione operava e la figura di Massimo Carminati), tramite il quale avviare attività imprenditoriali in collaborazione con l’associazione romana”.

Le indagini. Per gli inquirenti, quindi, gli indagati, ritenuti organici all’organizzazione denominata Mafia Capitale, hanno assicurato il collegamento tra alcune cooperative gestite da Buzzi Salvatore, sotto il controllo di Massimo Carminati, e la cosca Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia) consorteria di matrice ‘ndranghetista egemone nel vibonese. In particolare hanno documentato come, a partire dal luglio 2014, Salvatore Buzzi con l’assenso dell’ex Nar avesse affidato la gestione dell’appalto della pulizia del mercato Esquilino a Giovanni Campennì, ritenuto “imprenditore di riferimento” della cosca Mancuso, attraverso la creazione di una Onlus denominata “Cooperativa Santo Stefano”. I carabinieri sono riusciti a documentare, inoltre, come già nel 2009 Rotolo e Ruggiero si fossero recati in Calabria, su richiesta di Buzzi, allo scopo di accreditarsi con la cosca Mancuso, tramite esponenti della cosca Piromalli con riferimento all’esigenza di ricollocare gli immigrati in esubero presso il Cpt di Crotone. Secondo gli investigatori, dunque, Ruggiero e Rotolo avrebbero fornito uno “stabile contributo” alle attività di ‘Mafia Capitale’ proprio avvalendosi dei rapporti privilegiati instaurati con “qualificati esponenti” della ‘ndrangheta. Tutto ciò attraverso quello che viene definito “un rapporto sinallagmatico” tra le due organizzazioni mafiose che, a fronte della protezione offerta in Calabria alle cooperative controllate da ‘Mafia Capitale’, ha consentito l’inserimento della cosca Mancuso, rappresentata da Giovanni Campenni’, nella gestione dell’appalto pubblico a Roma.

Le intercettazioni. “Il fatto sta così, che io sono andato dai Mancuso per Salvatore Buzzi e i Mancuso mi hanno mandato a sto soggetto…”, si legge nelle intercettazione del Ros in cui Buzzi incontra Salvatore Ruggiero e Rocco Rotolo, arrestati oggi per associazione mafiosa. Alla conversazione partecipa un quarto uomo il cui viso è stato oscurato dagli investigatori. “Rocco, lui, è il nipote di Peppe Piromalli – dice Ruggiero nell’incontro, tra alcune macchine forse in un parcheggio – Siamo andati… così funziona dai Mancusi (sic), il perno centrale che comanda… capito… dice ‘alt compari, un attimo, parliamo’… ci siamo messi a parlare ‘noi siamo… in questo periodo bersagliati… sappiamo tutto ciò che è successo a Vibo … noi siamo bersagliati dai giudici… dai cosi… però chiamiamo un ragazzo… che è pulito nella legge e quindi… Ci siamo dati appuntamento e ci ha presentato questo gingillo diciamo… capisci? e funziona… così… nei perni centrali… sono confusi…”. “Ora non è che Buzzi pensa che io gli ho mandato sto soggetto alla cooperativa – dice Rotolo -… il fatto sta così, che io sono andato dai Mancuso per Buzzi Salvatore e i Mancuso mi hanno mandato a sto soggetto… quindi io non lo conosco”.

“… siccome stanno aumentando i pasti mi ha detto ‘facci entrare anche la ‘ndrangheta’”, diceva Massimo Carminati in un’intercettazione del 26 maggio scorso, parlando con Paolo Di Ninno, commercialista di Salvatore Buzzi in carcere per associazione mafiosa, e Claudio Bolla, stretto collaboratore del ras delle cooperative sociali. “Caso mai ti butto dentro una fatturina – continuava Carminati – sto mese per il mese prossimo… e poi con il fatto della sovrafatturazione, quando aumentano i pasti capito…5 sacchi in più”. Di Ninno rispondeva: “Tutto chiaro”. E Carminati:” Si è tutto perfetto”. Il presunto boss di Mafia Capitale secondo gli investigatori si preoccupava di trarre utili dagli affari delle cooperative di Buzzi. In un’altra conversazione intercettata Buzzi dichiarava: “… perché Claudio è cosi… ma è tremendo… ma nemmeno Sandro: gli ho visto fare una volta una trattativa con la ‘ndrangheta… ‘ce fai sparà gli ho detto… ce fai sparà…’ ndranghetisti… a trattà sui 5 lire… gl’ho detto ‘scusa chiudi chiudi’, glie facevo chiudi e questo rompeva il cazzo… ce sparano sto giro… in piena Calabria!”. “… in quella rete là comandano loro, poi in questa rete qua comandiamo noi!!… so passati 5 anni.. t’ha toccato qualcuno là sotto?”, spiegava Salvatore Ruggiero, arrestato oggi come presunto referente delle cosche, in un colloquio con Salvatore Buzzi il rapporto tra la ‘ndrangheta e Mafia Capitale, secondo quanto si legge nell’ordinanza.

Dalle intercettazioni emergono elementi considerati dal gip un “ulteriore conferma delle cointeressenze con la ndrangheta”. “Allora io te dico, quando io stavo a Cropani io… (inc).. poteva veni’ giu’ tutti giorni un bambino… scendevo er pomeriggio, salivo su la mattina e ripartivo er pomeriggio.. parlavo con il Prefetto, parlavo con tutti, parlavo con la ‘ndrangheta.. parlavo con tutti. E poi risalivo su”, diceva Salvatore Buzzi in una conversazione intercettata del 7 luglio scorso. La coop ’29 Giugno’ gestiva a Cropani (Cosenza) il Centro accoglienza richiedenti asilo (Cara).

La cooperativa di ‘ndranghetisti. Era nata verso la fine del 2013 ”l’idea di costituire una cooperativa, con personaggi già inseriti nelle attività imprenditoriale di Salvatore Buzzi, cui far partecipare Giovanni Campennì (imprenditore incensurato, ndr), quindi seguendo le indicazioni dei Mancuso, e altri di origine calabrese stanziali su Roma”. Ma il “progetto si perfeziona con il benestare di Massimo Carminati il quale, il 5 febbraio 2014, in un incontro con Buzzi e Campennì acconsentiva all’ingresso di quest’ultimo nella gestione delle attività sul mercato Esquilino”, si legge nell’ordinanza del gip Flavia Costantini. In una riunione del 10 dicembre 2013, tenutasi per discutere alcune questioni formali legate alla creazione di quella che poi si sarebbe chiamata ‘Cooperativa Santo Stefano’, alla presenza di Guido Colantuono e Paolo Di Ninno, Buzzi – scrive il gip – ”ipotizzava di assegnare l’incarico di presidente al primo: ‘Allora… Colantuo’, dato che tu sarai il presidente de questa cooperativa de ‘ndranghetisti… poi naa chiamiamo più così perché…”. Colantuono, però – si legge nell’ordinanza -, “esternava le proprie perplessità in merito adducendo come motivazione l’impossibilità di poter gestire i restanti soci, data la consapevolezza della loro caratura criminale: il loro spessore criminale avrebbe potuto creargli dei problemi”. Sempre nel corso della stessa conversazione, Buzzi e Colantuono ”continuavano a discutere in merito alla struttura societaria che avrebbe dovuto assumere la futura cooperativa sia dal punto di vista finanziario, sottolineando che Campennì si sarebbe esposto per 100mila euro, come precisato dallo stesso Buzzi, sia dal punto di vista partecipativo”. Stando al gip, i cinque soggetti che avrebbero dovuto amministrare la cooperativa Santo Stefano risultavano da Buzzi ”già individuati in Giovanni Campennì, Rocco Rotolo, Guido Colantuono, Vito Marchetto e Salvatore Ruggiero. Nella circostanza emergeva senza alcun dubbio che l’attività gestita dalla nascente cooperativa sarebbe stata quella già svolta dalla ’29 giugno’ presso il mercato Esquilino a Roma”.

Sequestrate due coop di Buzzi.  Il nuovo sequestro riguarda altre due società cooperative riconducibili a Salvatore Buzzi. Il provvedimento, emesso dal Tribunale di Roma – Sezione misure di prevenzione a seguito di richiesta della Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica di Roma ed eseguito da parte del Nucleo di polizia tributaria, riguarda le quote societarie, il capitale sociale e l’intero patrimonio aziendale, comprese le disponibilità finanziarie, della ’29 Giugno Servizi Società Cooperativa di Produzione e Lavoro’, con sede a Roma, in via Pomona 3; e ‘Formula Sociale Società Cooperativa Sociale Onlus’, in via Mozart 43, sempre nella capitale.

Le due società, di fatto nella piena disponibilità di Salvatore Buzzi, erano amministrate da soggetti anch’essi indagati nell’ambito dell’operazione ‘Mondo di mezzo’ ovvero da soggetti che facevano parte del consiglio di amministrazione delle società già sequestrate dalle fiamme gialle alcuni giorni fa. La Società Cooperativa 29 giugno Servizi ha un giro d’affari annuo di circa 9 milioni di euro e conta circa 267 dipendenti, mentre la cooperativa Formula Sociale ha un volume d’affari di oltre 6 milioni di euro e impiega 131 addetti. Sono in corso approfondimenti in relazione agli appalti vinti dalle citate cooperative e sulle disponibilità finanziarie alle stesse riconducibili.

Marino ha deciso: “Niente scorta”. In diretta su Radio Radio, il sindaco Marino ha annunciato: “Ho fatto molte resistenze alla scorta e alla fine non l’ho avuta. Se non è necessario credo sia meglio che quegli uomini vengano utilizzati per le periferie e sul territorio”. Il discorso si sposta sull’ex primo cittadino, Gianni Alemanno. “Io non posso e non voglio dare giudizi – ha detto Marino – Il fatto che il mio predecessore sindaco di Roma abbia avuto un avviso di garanzia per associazione di stampo mafioso mi turba profondamente e deve turbare tutte le romane e i romani che gli avevano giustamente dato fiducia nel 2008 con l’elezione popolare”. Marino ha poi ammesso: “Negli ultimi mesi, per vari motivi anche di conflittuialità di alcuni nei miei confronti, il lavoro dell’aula era stato piuttosto lento. Mi pare che questa nuova elezione, con un ufficio di presidenza con due donne come presidente e vicepresidente per la prima volta nella storia del consiglio, dia un approccio più pragmatico, tipico delle donne. Non nutro risentimenti, nè timori – ha aggiunto – Per me, da quando vinsi le primarie, le divisioni sono terminate, per altri c’erano tante squadre, tante correnti, tante divisioni. Io devo ubbidire alle romane e ai romani e rendere la loro qualità di vita migliore. Il cambiamento più importante è stato in casa mia, con mia figlia, che è sempre stata contraria alla mia candidatura a sindaco, non mi ha parlato per un mese quando mi sono candidato. Qualche sera fa mi ha telefonato e mi ha detto: ‘papà devi andare avanti'”.

Evasioni con lima e lenzuola, arrestati 5 agenti della penitenziaria corrotti

di Corriere della Sera

Martedì mattina all’alba sono stati arrestati cinque agenti della polizia penitenziaria di Varese, accusati di aver favorito un’evasione nel 2011. Due sono stati raggiunti a Bollate. Gli arresti arrivano con ordinanza di custodia cautelare: gli agenti, in cambio di soldi e favorirono la fuga di tre detenuti avvenuta il 21 febbraio 2013: Mikea Victor Sorin, 29 anni, che stava scontando una condanna definitiva per sfruttamento della prostituzione e sarebbe tornato in libertà a giugno, Daniel Parpalia e Marius Georgie Bunoro, 28 e 23 anni, che erano ancora in attesa di giudizio per furto aggravato. Erano nella stessa cella e insieme avrebbero pianificato la fuga con lima e lenzuola, come in un film. Segarono le sbarre di un bagno e nel cortile fecero una torretta con i cassonetti della carta, scavalcando il muro di cinta con delle lenzuola. Furono fermati poche ore dopo.

Le indagini coordinate dal pubblico ministero Annalisa Palomba, hanno confermato i sospetti di un favoreggiamento dall’interno. Una donna, durante i colloqui, riuscì a far entrare una lima nascosta in una cintura e addirittura un cellulare che aveva occultato nella vagina. Gli arresti sono stati effettuati dai carabinieri del nucleo operativo radiomobile di Luino e Varese, dalla polizia penitenziaria, dalla polizia di Stato e dalla guardia di finanza. Effettuate nove perquisizioni sempre a carico di appartenenti alla polizia penitenziaria. Alcuni agenti sono stati prelevati nel carcere di Varese, dove erano stati messi di turno questa notte in vista dell’operazione.

Nuova tragedia nel Canale di Sicilia: 17 migranti morti di freddo su un gommone. Le salme giunte a Porto Empedocle

di Repubblica

E’ accaduto a 110 miglia a sud di Lampedusa. Gli altri 75 a bordo sono stati soccorsi dalla Guardia costiera. Una persona in gravi condizioni trasferita in elicottero all’ospedale di Lampedusa. Le salme sono state portate a Porto Empedocle. I sopravvissuti sono stati dirottati su una nave della Marina verso un altro porto

Diciassette migranti sono morti di freddo su un gommone a 110 miglia a sud di Lampedusa. Lanciato l’allarme, l’imbarcazione è stata raggiunta da due motovedette della Guardia costiera e dal rimorchiatore civile “Burbon Argos”. Le salme sono da poco giunte a Porto Empedocle, dove saranno trasbordate.

Non è stato di un naufragio, come si era pensato all’inizio, a provocare questa nuova tragedia nel Canale di Sicilia: 16 delle vittime sono morte presumibilmente per ipotermia e disidratazione, un’altra è stata stroncata da un edema polmonare subito dopo l’arrivo dei soccorritori. Sul gommone c’erano altre 75 persone, una delle quali, in gravi condizioni per ipotermia, è stata subito trasferita con l’elicottero della nave militare “Etna” all’ospedale di Lampedusa. I superstiti sono stati trasferiti prima sulla nave “Orione” e successivamente sulla “Etna”.

Le 17 salme, recuperate a 110 miglia a Sud di Lampedusa e 50 miglia a Nord di Tripoli, sono arrivate e sono state portate a Porto Empedocle (Ag). Ad accoglierle il prefetto di Agrigento Nicola Diomede, il questore Mario Finocchiaro e l’arcivescovo Francesco Montenegro. I corpi dei migranti sono stati allineati in un magazzino dell’area portuale, all’interno di celle frigorifere, per essere sottoposte ad ispezione cadaverica. Esame che dovrà confermare se, come anticipato dai verbali dei soccorritori, fra loro ci sono anche due donne e un minore e chiarire quali sono le cause della morte. La loro storia non si conosce. Non si sa da dove siano partiti e quanto sia durato il loro viaggio, su un gommone poi andato in avaria. I 75 sopravvissuti sono stati dirottati su una nave della Marina verso un altro porto.

Sono in tutto 278 i migranti soccorsi nelle ultime ore dalle navi della Marina militare nel Canale di Sicilia. Il pattugliatore “Cigala Fulgosi” e la corvetta “Driade” hanno recuperato due gommoni con a bordo rispettivamente 102 e 100 persone, tutte imbarcate sulla “Etna”, come i sopravvissuti del gommone della nuova strage.

Le Nazioni Unite non si fidano di Triton, l’operazione dell’Agenzia Frontex che sostituirà l’operazione “Mare Nostrum”, interamente italiana ed estesa fino al limite delle acque territoriali libiche (Frontex pattuglierà un’area molto più limitata, fino a 30 miglia dalle coste italiane), perché ritengono che si “limiterà a difendere la frontiera marittima italiana”. “C’è il timore”, ha spiegato in una conferenza stampa Francois Crepeau, relatore speciale dell’Onu per i diritti dei migranti, “che l’estate prossima, senza un’operazione come Mare Nostrum, migliaia di persone moriranno. Chiudere gli occhi davanti a tale prospettiva non è una soluzione: queste persone continueranno a tentare l’attraversamento e continueranno a morire a causa dell’inazione dell’Europa”.

Secondo l’Onu, l’Italia ha compiuto “sforzi straordinari” con la sua operazione, salvando la vita ad oltre 150mila persone, ha detto Crepeau in un intervento oggi a Roma, alla Sioi. “E’ più importante proteggere una vita umana che proteggere un confine”, ha continuato definendo “cinica” l’affermazione secondo cui Mare Nostrum avrebbe attirato i migranti invece che servire da deterrente. “E’ una falsità – ha detto – ma anche se fosse vero cosa dovremmo fare, lasciarli morire in mare?”. Ciò che invece va fatto per scoraggiare i trafficanti, ha sottolineato, è lavorare sui reinsediamenti dei rifugiati nei paesi più ricchi e accantonare “politiche repressive che non scoraggiano i flussi migratori perché la speranza è sempre più forte della paura”. Cosi, ad esempio, “se pianificassimo io reinsediamento entro i prossimi cinque anni di un milione di rifugiati siriani, al mio paese, il Canada, ne toccherebbero 8 mila, un numero sostenibile”.