Camorra: a Napoli affiliati clan tatuati per ‘fedeltà’ al boss

Camorra: un tatuaggio per testimoniare l'adesione al clanda Ansa

Tatuati per dimostrare l’adesione al clan. Pratiche camorristiche come nel film ‘Educazione Siberiana’ a Napoli, dove la Squadra Mobile ha arrestatp dodici persone nell’ambito di un’operazione contro gli affiliati del clan “De Micco”, che opera nella zona del quartiere Ponticelli del capoluogo campano. I reati contestati sono associazione mafiosa finalizzata al traffico di droga, tentato omicidio, detenzione e porto abusivo armi.

I trafficanti, “Compravamo la droga da Genny ‘A Carogna”
Dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip, è emerso che il loro rifornitore di droga era Genny ‘A Carogna, l’ultrà del Napoli alla ribalta delle cronache dopo gli episodi sugli spalti alla finale di Coppa Italia allo stadio Olimpico.”La droga la compravamo da tale Genny la carogna che dovrebbe essere di Forcella”, ha riferito il collaboratore di giustizia Domenico Esposito. “Per la consegna – continua Esposito – era utilizzata una Renault Scenic modificata, che ci veniva lasciata parcheggiata con le chiavi presso il cimitero di Ponticelli. Noi mandavamo a ritirare la macchina che poi restituivamo”.

Sulla pelle “Rispetto, Fedeltà e Onore al boss”
Alcuni affiliati testimoniavano l’adesione incondizionata all’organizzazione camorristica facendosi tatuare sul corpo la scritta “Bodo”, appellativo con il quale viene indicato il clan, accompagnato dalla frase “rispetto, fedeltà e onore”. In una recente perquisizione è stato anche trovato dagli agenti della Squadra Mobile della Questura di Napoli un “libro mastro” sul quale sono annotate le quote periodiche dei profitti delle attività illecite del clan e le “mesate” (mensilità) da versare agli affiliati. Sul libro sono annotate anche le spese sostenute per gli avvocati e per gli armamenti.

Camorra, il boss Antonio Iovine collabora con i magistrati

iovineda TGCOM24

Il boss del clan di camorra dei Casalesi, Antonio Iovine, ha deciso di collaborare con la Procura della Repubblica di Napoli.

Iovine, 50 anni, conosciuto come ‘o ninno, da qualche giorno ha cominciato a ricostruire ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli le attività e i rapporti di uno dei più potenti clan di camorra, dalla gestione delle attività criminali, alle guerre fra clan ai rapporti con esponenti politici.

Iovine è considerato uno dei quattro capi del clan dei Casalesi, insieme a Francesco Bidognetti, Francesco Schiavone (conosciuto come Sandokan) e Michele Zagaria. Condannato all’ergastolo in via definitiva al termine del processo “Spartacus”, il più importante contro i Casalesi,Iovine è stato arrestato dalla Polizia, dopo 15 anni di latitanza, nell’autunno del 2010 in un covo in una casa di Casal di Principe e per quattro anni è stato detenuto in regime di carcere duro.

Lunedì scorso, nel processo per le intimidazioni (nel marzo 2008) nei riguardi dello scrittore Roberto Saviano e della giornalista Rosaria Capacchione, ora deputata del Pd, il pm della Dda di Napoli Antonello Ardituro ha chiesto la condanna di Francesco Bidognetti e degli avvocati Michele Santonastaso e Carmine D’Aniello (un anno e sei mesi di reclusione ciascuno) e l’assoluzione di Antonio Iovine, “non perche’ non sia certo della sua colpevolezza – ha spiegato il pm – ma perché non c’è la possibilità di dimostrarlo”.

Camorra: figlio boss Casalesi guida ubriaco e drogato

polizia-stradale-300x224da AGI.IT

La polizia stradale di Napoli alle 6.20 sulla strada statale 7 bis, all’altezza del chilometro 44, nel comune di Nola, ha trovato alla guida di un auto, ubriaco e sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, Oreste Diana, 23 anni, figlio del boss dei Casalesi Giuseppe, ‘fedelissimo’ di Francesco Schiavone, il capoclan noto come Sandokan. Il ragazzo era a bordo di una Nissan Micra e guidava con un tasso alcolemico di quasi 3 volte superiore al limite consentito. E’ stato denunciato. (AGI) .

Mafia, 200 boss al 41 bis trasferiti

riinada TGCOM24

Sono circa 250 i carcerati in regime di 41 bis trasferiti dagli istituti di pena in cui erano detenuti. Si tratta di boss di mafia, ‘ndrangheta, camorra e sacra corona unita. Il provvedimento riguarda anche Bernardo Provenzano, Totò Riina, i fratelli Graviano e Leoluca Bagarella. L’iter per il trasferimento, che rientra in un normale avvicendamento carcerario dei boss, è stato avviato a febbraio con il parere favorevole della direzione nazionale antimafia.

L’iter della procedura è stato avviato a febbraio dal dipartimento per l’amministrazione penitenziaria e ne sono state informate anche le direzioni distrettuali antimafia competenti.

Bernardo Provenzano è stato trasferito il 6 aprile dall’Ospedale Civile di Parma dov’era ricoverato dal giugno del 2013, presso l’istituto penitenziario di Milano Opera. Alla richiesta di chiarimenti del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, il Dap ha scritto: “Il trasferimento è parte di una più generale movimentazione disposta da questa Direzione Generale che ha riguardato circa 250 detenuti, ristretti in regime di 41 bis e reclusi nel medesimo penitenziario da oltre cinque anni”.

Mafia, un confidente svela il volto del boss Matteo Messina Denaro

messina denaroda TGCOM24

L’ultimo padrino latitante di Cosa Nostra, il boss trapanese Matteo Messina Denaro, ha un “nuovo” volto. Il Gico della guardia di finanza, grazie all’aiuto di un confidente, ha elaborato al computer un identikit del capomafia ricercato dal 1993. Il boss di Castelvetrano appare con capelli ancora scuri, una stempiatura più ampia del passato e leggermente appesantito.

L’immagine sarebbe stata diffusa alle forze dell’ordine impegnate da 21 anni nella ricerca del padrino. Unica vera novità rispetto alle ricostruzioni del passato – l’ultima venne elaborata dalla polizia grazie all’aiuto di collaboratori di giustizia e testimoni – sarebbe il fatto che Messina Denaro non porta occhiali.

Le vecchie foto del boss lo immortalavano con grosse lenti: il capomafia è affetto da una patologia alla retina che lo ha costretto a recarsi da uno specialista spagnolo. Il medico, che ha una clinica a Barcellona, interrogato dagli inquirenti, confermò la serietà della patologia e ipotizzò che nel frattempo il capomafia fosse diventato cieco da un occhio.

Il boss avrebbe fornito alla reception del centro oftalmico la sua vera data di nascita e rivelato la città di origine: Castelevetrano. Ma avrebbe detto di chiamarsi Matteo Messina, omettendo, dunque, il secondo cognome, Denaro. Fu il pentito, Vincenzo Sinacori, a dire per primo agli inquirenti che il capomafia soffriva della malattia. Il boss gli aveva rivelato che aveva intenzione di andare in Spagna per farsi visitare.

Ultimo capo di Cosa nostra ricercato, Messina Denaro, figlio dello storico padrino di Castelvetrano Ciccio, è un “enfant prodige” del crimine: a 14 anni inizia ad usare le armi da fuoco e a diciotto fa il suo primo omicidio. Ad un amico avrebbe confidato: “Con le persone che ho ammazzato, io potrei fare un cimitero”.

Da sempre nel cuore del boss Totò Riina e strenuo sostenitore della strategia stragista dei corleonesi, è stato condannato, tra l’altro, per gli attentati mafiosi a Roma, Firenze e Milano del ’93. Nonostante la vicinanza ai “viddani” di Corleone la sua immagine è ben diversa da quella dei vecchi boss di paese. Amante delle auto sportive e delle belle donne, soprannominato Diabolik per la passione per il famoso personaggio dei fumetti, fa affari con le estorsioni e con gli appalti, ma anche col traffico di droga e le operazioni imprenditoriali e finanziarie.

Secondo gli inquirenti dietro il business dell’eolico in provincia di Trapani ci sarebbero i suoi capitali. Come suoi sarebbero i soldi investiti da prestanomi nella grande distribuzione alimentare: uno per tutti Giuseppe Grigoli, re dei supermercati Despar di mezza Sicilia a cui sono stati sequestrati beni per 700 milioni di euro. Un tesoro che, secondo gli inquirenti, sarebbe della primula rossa di Castelvetrano.

Boss Cutrì in fuga dopo evasione rocambolesca

Detenuto evaso: è l'ergastolano Domenico Cutrìda Ansa.it

Sono estese in tutt’Italia le ricerche dei componenti del commando che  a Gallarate (Varese) ha fatto evadere l’ergastolano Domenico Cutrì, 32 anni, mentre suo fratello, Antonino, 30 anni, è morto in ospedale a causa delle ferite riportate nello scontro a fuoco con gli agenti della Polizia penitenziaria che scortavano Domenico per un processo. Antonino era giunto in ospedale con la madre.

Oltre all’evaso, carabinieri e polizia cercano altri due o tre uomini che sono entrati in azione poco prima delle 15 di ieri (VIDEO). Erano arrivati a bordo di due auto, una delle quali è stata trovata vicino al tribunale. A bordo c’erano anche delle armi. Ieri sera si era diffusa la notizia che un terzo fratello Cutrì si era costituito in ospedale con una ferita a un piede ma la circostanza è stata smentita dagli investigatori.

L’ergastolano Domenico Cutrì, detenuto nel carcere di Busto Arsizio (Varese), era appena sceso dal furgone delle polizia penitenziaria e gli agenti lo stavano accompagnando all’interno del Tribunale di Gallarate, dove avrebbe dovuto partecipare a una udienza. In quel momento sono arrivati i banditi con le armi in pugno.

L’azione, all’apparenza attentamente pianificata, è durata pochi minuti, sotto gli occhi di diversi testimoni. (FOTO)

Gli uomini del commando hanno minacciato gli agenti, puntandogli contro le pistole e intimandogli di liberare il detenuto, e uno di loro ha spruzzato dello spray urticante negli occhi di uno dei poliziotti. Un altro agente è stato spinto giù dalle scale del Tribunale, e nella caduta ha riportato un lieve trauma cranico. C’è stata quindi una sparatoria tra i malviventi e gli agenti, durante la quale sono stati esplosi una trentina di colpi.

Uno dei colpi ha raggiunto uno degli assalitori, il fratello del detenuto, Antonino Cutrì, che è poi morto per la gravità delle ferite riportate, circa un’ora dopo, al termine di una disperata corsa dei suoi compagni per cercare di salvarlo, all’ospedale di Magenta. L’azione e’ durata pochi minuti: l’ergastolano è fuggito insieme ai complici, che hanno caricato su una Citroen C3 nera anche il ferito.

Due agenti, rimasti contusi, sono stati soccorsi dal personale del 118, portati all’ospedale di Gallarate per accertamenti e in serata dimessi. Vicino al Tribunale, poco dopo, la polizia ha trovato una seconda auto utilizzata dai banditi, con a bordo armi d’assalto. A questo punto la fuga dei malviventi, secondo la ricostruzione fatta dagli investigatori, è proseguita verso Cuggiono, il paese in provincia di Milano dove vive la madre dei fratelli Cutrì. Caricata la donna in auto la corsa è ripresa verso l’ospedale di Magenta dove il ferito e la madre sono stati scaricati. Ma per Antonino non c’era più nulla da fare ed è morto poco prima della 16. La madre nel frattempo è stata sentita dagli investigatori.

Polizia e carabinieri hanno allestito dei posti di blocco sulle strade della zona, in particolare al confine tra Lombardia e Piemonte. I due agenti feriti sono stati dimessi con una prognosi rispettivamente di 8 e 15 giorni.

In serata si era diffusa la notizia, poi smentita dai carabinieri, che  un altro fratello di Domenico Cutrì,  si sia costituito. La notizia era stata data dalla Uil Penitenziari.

Arrestato boss pentito Antonino Lo Giudice

poliziada Corriere.it

E’ finita la latitanza di Antonino Lo Giudice. Il pentito di ‘ndrangheta che si era autoaccusato di aver messo nel 2010 le bombe davanti alla Procura Generale e a casa del procuratore Di Landro, è stato catturato venerdì dalla squadra mobile di Reggio Calabria e dallo Sco. Il “Nano” che si era allontanato volontariamente lo scorso 3 giugno, mentre si trovava agli arresti domiciliari, è stato scovato in un appartamento alla periferia di Reggio Calabria.

LATITANTE – Lo cercavano anche all’estero, ma probabilmente Lo Giudice non si è mai mosso dalla sua città, probabilmente aiutato nella sua latitanza dalla moglie e dal figlio. Ai magistrati della Dda di Reggio Calabria dovrà spiegare i motivi del suo allontanamento. E, soprattutto, il perché abbia deciso di ritrattare le sue precedenti dichiarazioni.

IL MEMORIALE – Dopo il suo allontanamento volontario Antonino Lo Giudice aveva fatto recapitare ad alcuni avvocati e agli ordini di stampa, tramite il figlio Giuseppe , un memoriale dove diceva di essersi autoaccusato ingiustamente e che lui con le bombe non aveva nulla a che fare. «Mi sono inventato tutto»– ha detto il “Nano”. Nel testo il pentito ha scritto di voler ritrattare tutte le sue dichiarazioni ed ha anche ammesso di essere stato costretto a raccontare vicende ed episodi di cui lui non era a conoscenza. E aveva indicato in Giuseppe Pignatone, ex procuratore capo a Reggio Calabria, Michele Prestipino, aggiunto alla stessa procura, Beatrice Ronchi, sostituto procuratore alla dda reggina e Renato Cortese ex capo della Mobile di Reggio Calabria, oggi capo della Mobile di Roma, come le persone che lo avrebbero “minacciato” qualora non avesse detto quello che loro avrebbero voluto sapere.

ACCUSE – Le dichiarazioni di Lo Giudice hanno riguardato anche Alberto Cisterna, ex numero due della Procura nazionale antimafia e Francesco Mollace, sostituto procuratore generale, di recente trasferito a Roma, con lo stesso incarico. Sulla base delle accuse lanciate da Lo Giudice Cisterna è stato inquisito per corruzione, ma dopo due anni di indagini la sua posizione è stata archiviata dal gip di Reggio Calabria, su richiesta della stessa procura. Il testo inviato dal “Nano” era stato accompagnato da una pen drive con immagini dello stesso pentito. Che faceva sapere:”«Non mi cercate, tanto non mi troverete mai». Venerdì la sua cattura, a quattro passi dalla sua casa.

Milano violenta: ammazzato ‘boss’ Pasquale Tatone, domenica ucciso il fratello

polizia-omicidio-notteda AGI.IT

A Milano e’ ormai guerra di mala: Pasquale Tatone, fratello dell’ex boss Emanuele Tatone, ucciso domenica scorsa insieme ad un’altra persona, e’ caduto vittima di un agguato stanotte. Pasquale era appena uscito da un locale in via Pascarella, angolo evia Lopez, zona Quarto Oggiaro, quando e’ stato freddato a colpi d’arma da fuoco nella sua auto. La famiglia Tatone e’ considerata uno dei maggiori ‘clan’ della gestione del traffico di droga in citta’. Il rapido susseguirsi degli agguati sembra quindi l’avvio di una feroce guerra aperta da qualche organizzazione rivale per il controllo dello spaccio. Pasquale Tatone era andato a vedere la partita in un locale di Quarto Oggiaro ed e’ uscito da solo. Quando e’ entrato nella sua vettura parcheggiata in via Pascarella, e’ stato colpito da diversi proiettili, pare di grosso calibro, forse di fucile.

Uccisi due uomini a nord di Milano. Uno è il fratello di un boss della zona

poiziada TGCOM24

I corpi recuperati in un’area verde vicino alla strada. Una delle vittime è Emanuele Tatone, 52 anni, di una famiglia nota alle cronache criminali, mentre l’altro cadavere è di un pregiudicato

Duplice delitto a Milano. Due cadaveri sono stati trovati a Quarto Oggiaro, in un’area vicino alla strada dove si trovano alcuni orti. Le vittime sono Emanuele Tatone, di 52 anni, e di Paolo Simone, di 54. Il primo, fratello di Nicola, famoso boss del quartiere, è un membro della famiglia Tatone più volte al centro delle cronache criminali. Entrambi i corpi mostrano i segni di proiettili.

I due corpi erano a una distanza di diversi metri. Una prima segnalazione giunta alla polizia da un passante parlava di un solo corpo. Una volta sul posto, una zona di orti costruiti dai cittadini in un’area verde, gli agenti hanno notato il secondo cadavere. Al momento gli investigatori non si sbilanciano sulle cause della morte. Uno dei cadaveri, quello di Paolo Simone, si trovava sul margine di un sentiero, di schiena, con il foro di un proiettile sul volto, con del fango raggrumato sui vestiti. Il secondo, quello di Emanuele Tatone, era invece semi nascosto, tra le frasche di una vicina macchia di alberi. Entrambi i corpi avrebbero vari segni di colpi d’arma da fuoco.

Il clan Tatone – Emanuele Tatone è fratello di Nicola Tatone, pluripregiudicato e considerato uno dei boss di Quarto Oggiaro, il popolare quartiere milanese da decenni al centro di vicende legate allo spaccio di droga. Nicola Tatone, arrestato dalla polizia nel 2009 per un’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, è stato condannato a 24 anni di carcere. Lui e suoi fratelli sono i figli della nota ‘Mamma Rosa’ anche detta ‘Nonna eroina’ perché una delle capostipiti dello spaccio di droga nel capoluogo lombardo. Emanuele Tatone non era inserito in ambienti criminali di grande spessore, se non per le sue parentele. Era gravemente malato da anni ed era tossicodipendente.

L’altro uomo trovato ucciso, Paolo Simone, non viene ritenuto un pregiudicato di rilievo e proprio in queste ore gli investigatori della Squadra mobile, che conducono le indagini, stanno accertando se ci sono stati in passato collegamenti tra i due o tra le rispettive famiglie.

Nei mesi scorsi Emanuele Tatone aveva organizzato una protesta rivendicando di aver pagato tutti i debiti con la giustizia.

Camorra, boss arrestato in mansarda-palestra

chianeseda Sky TG24

Andrea Chianese, latitante ed elemento di spicco del clan camorristico Amato Pagano, è stato arrestato dai carabinieri di Giugliano (Napoli) in uno stabile di Calvizzano, nel Napoletano. L’uomo è stato sorpreso nel sonno in una mansarda al quarto piano del palazzo. Il suo rifugio era stato attrezzato a palestra e riempito con numerosi macchinari per il fitness. Nel locale sono state trovate anche diverse foto di persone della sua famiglia.

Ricercato dal 19 maggio 2009, Andrea Chianese era destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 30 marzo 2009 dal gip di Napoli per associazione di tipo mafioso e per aver partecipato dal marzo 2006 al febbraio 2009 a delitti contro la persona e contro il patrimonio nonché a reati finanziari (omicidi, estorsioni, detenzione porto illegali di armi, riciclaggio e reimpiego di denaro provento di delitto).

Tutte attività che, secondo gli investigatori, aveva svolto nei comuni di Melito e Mugnano per portare avanti gli affari illeciti del citato sodalizio criminale. Mentre sono ancora in corso accertamenti per verificare la riconducibilità dell’abitazione, il boss è stato condotto nel centro penitenziario di Secondigliano.