Sgominata baby gang, carabiniere ferito

di La Repubblica

Scontro nella notte a Poggioreale tra un auto inseguita dalla polizia e un’altra con a bordo un militare dell’Arma: ne avrà per 30 giorni. Arrestati in quattro, tre dei quali minorenni, per possesso di arnesi atti allo scasso

Non si fermano a un controllo e nel corso dell’inseguimento in auto finiscono per scontrarsi con un’altra auto a bordo della quale c’è un carabiniere: è finita così la scorsa notte a Napoli la fuga di quattro giovani, di cui uno solo maggiorenne da pochi giorni mentre il più piccolo ha 15 anni. I quattro sono stati arrestati dalla polizia.

I fatti: gli agenti della sezione Volanti nel corso dei normali servizi di prevenzione e controllo del territorio hanno imposto l’alt agli occupanti di una Fiat Stilo che, con fare sospetto, si aggiravano in zona Poggioreale. Il conducente, invece di fermarsi, è fuggito a tutta velocità in direzione via Stadera ma in prossimità del restringimento della carreggiata l’autovettura si è schiantata contro un’altra auto condotta da un militare dell’Arma dei Carabinieri che si stava recando a lavoro. L’auto del militare è stata sbalzata contro un pilastro: la vittima, ricoverata in ospedale, ne avrà per 30 giorni.

I quattro giovani, uno solo dei quali non ha precedenti di polizia, sono residenti a Pollena Trocchia (Napoli) e nel quartiere napoletano di Ponticelli. In macchina nascondevano arnesi atti allo scasso di dubbia provenienza. Alla guida dell’auto, vi era uno dei tre minori. I tre minori sono stati arrestati perché responsabili, in concorso tra loro, di tentato omicidio e denunciati, in stato di libertà, per i reati di resistenza a pubblico ufficiale, ricettazione e possesso di arnesi atti allo scasso. Il maggiorenne, invece, è stato arrestato perché responsabile dei reati di ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale e denunciato, in stato di libertà, per possesso di arnesi atti allo scasso.

Le mani della ‘Ndrangheta sull’Emilia, carabinieri arrestano 117 persone

di La Repubblica

Altri 46 fermi in altre regioni. Ramificazioni all’estero. Cutro (Crotone) il centro dell’organizzazione. Chiesto sequestro di beni per 100 milioni di euro. In manette anche consigliere comunale forzista di Reggio Emilia. Agli arresti alcuni imprenditori, tra cui il padre del calciatore Vincenzo Iaquinta

I tentacoli della ‘Ndrangheta sono arrivati fino in Emilia. E’ in corso in queste ore una maxi operazione dei carabinieri, denominata Aemilia, che ha condotto all’arresto di 117 persone, per la maggior parte in Emilia. Si tratta di soggetti ritenuti responsabili a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi da fuoco, intestazione fittizia di beni, riciclaggio, emissione di fatture false. Il clan al centro dell’inchiesta è quello dei Grande Aracri di Cutro (Crotone), di cui è documentata da tempo l’infiltrazione nel territorio emiliano, soprattutto nella zona di Brescello dove vivono esponenti di spicco della cosca calabrese. Alcuni dei reati hanno carattere transnazionale, interessano Austria, Germania, San Marino. Chiesto il sequestro di beni per 100 milioni di euro.

“Un intervento che non esito a definire storico, senza precedenti. Imponente e decisivo per il contrasto giudiziario alla mafia al nord”. Queste le parole utilizzate dal Procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti in conferenza stampa. Poi ha aggiunto: “Non ricordo a memoria un intervento di questo tipo per il contrasto a un’organizzazione criminale forte e monolitica e profondamente infiltrata”.

Una parte consistente dell’inchiesta riguarda, come detto, gli appalti della ricostruzione post terremoto e alcuni imprenditori emiliani. In particolare la “Bianchini costruzioni Srl” di Modena è riuscita ad ottenere “numerosissimi appalti” del Comune di Finale Emilia in relazione – si legge nell’ordinanza – ai lavori conseguenti il sisma del maggio 2012 e altri in materia edile e di smaltimento rifiuti. Per questo Augusto Bianchini è finito in carcere, Alessandro Bianchini è invece ai domiciliari. Tra gli arrestati anche l’imprenditore Giuseppe Iaquinta, padre dell’ex calciatore della Juventus e campione del mondo Vincenzo Iaquinta.

Tra le persone colpite dai provvedimenti di custodia, il consigliere comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani, di Forza Italia. I carabinieri lo hanno prelevato dalla sua abitazione di Arceto di Scandiano, vicino a Reggio Emilia. Tra gli indagati c’è anche Giovanni Paolo Bernini, ex presidente del Consiglio comunale di Parma, allora appartenente a Forza Italia. Per lui la procura aveva chiesto l’arresto, ma il Gip non l’ha concesso. L’accusa a suo carico è di “aver contribuito pur senza farne parte al rafforzamento e alla realizzazione degli scopi dell’associazione mafiosa”, perché “richiedeva e otteneva dagli associati voti a suo favore in relazione alla campagna elettorale 2007 per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale di Parma”.

Agli arresti anche Nicolino Sarcone considerato anche da indagini precedenti il reggente della cosca su Reggio Emilia. Sarcone, già condannato in primo grado per associazione mafiosa, è stato recentemente destinatario di una misura di prevenzione patrimoniale che gli aveva bloccato beni per 5 milioni di euro. Dalle carte dell’inchiesta emergerebbe anche il sostegno elettorale imposto dai Grande Aracri ad alcuni candidati emiliani durante le amministrative.

L’indagine è condotta dalla procura distrettuale antimafia di Bologna che ha ottenuto dal gip del Tribunale le 117 custodie cautelari in Emilia, ma anche Lombardia, Piemonte, Veneto, Sicilia. Contestualmente si stanno muovendo le procure di Catanzaro e Brescia che hanno emesso 46 provvedimenti.

Nella lista dei nomi colpiti dall’ordinanza di custodia sono finiti anche Ernesto e Domenico Grande Aracri, i fratelli del boss già detenuto Nicolino Grande Aracri, detto “Mano di gomma”. Domenico è un avvocato penalista, il suo arresto è stato disposto dalla Dda di Bologna, mentre per Ernesto si è mossa la Dda di Catanzaro. Il centro di questa organizzazione è Cutro, piccola cittadina del crotonese: Nicolino Grande Aracri aveva intenzione di costituire una grande provincia in autonomia a quella reggina.

“Grande Aracri – ha spiegato il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo – si atteggia a capo di una struttura al di sopra dei singoli locali. E’ sostanzialmente il punto di riferimento anche delle cosche calabresi saldamente insediate in Emilia Romagna dove c’era una cellula dotata di autonomia operativa nei reati fine. I collegamenti tra Emilia Romagna e Calabria erano comunque continui e costanti e non si faceva niente senza che Grande Aracri lo sapesse e desse il consenso”.

Intanto emergono dettagli sui tentativi di intimidazione che il clan aveva messo in atto nell’area emiliana. Non solo su imprenditori e istituzioni, ma anche su giornali. Nelle carte dell’inchiesta vengono ricostruite le minacce a una giornalista di un quotidiano, mentre un altro giornalista è finito agli arresti. In manette anche sei “talpe”, che informavano i Grande Aracri. Si tratta di tre ex carabinieri in congedo e tre poliziotti. Sul campo sono impiegati al momento un migliaio di militari con il supporto anche di elicotteri.

Sequestro sventato dai carabinieri Obiettivo: figlio di imprenditrice

di Il Corriere

Un ristoratore padovano indebitato aveva assoldato due polesani. Il colpo doveva scattare mentre la donna portava il 13enne a scuola. «Pensavo fosse Scherzi a parte»

VICENZA Sventato dai Ros dei carabinieri il sequestro del figlio di un imprenditore vicentino a Thiene. Tre le persone arrestate dai carabinieri di cui si attende la convalida. L’operazione è scattata alle prime ore di martedì e ha visto impegnati anche i carabinieri di Vicenza e di Rovigo. Perquisizioni sono in corso. Tutto nasce quando un ristoratore padovano indebitato, Massimo Silvestrin, 41 anni, di Este (Padova) assolda due polesani, Gianfranco Galani, 68 anni, autotrasportatore, e il figlio Antonio, 43, anni, per sequestrare il figlio di un’imprenditrice vicentina. I due studiano i movimenti della famiglia e si preparano a rapirlo mentre la madre lo accompagna a scuola al mattino. Nel mirino dei malviventi era finito il figlio tredicenne della titolare (con il nonno) di un’azienda di import export di bevande e catering L’intervento dei Ros è scattato martedì mattina poco dopo le sette quando la signora e il figlio stavano per uscire in auto da casa per andare a scuola.

I malviventi sono stati bloccati mentre attendevano le loro vittime in un parcheggio vicino. Per rapire il giovane vicentino avrebbero simulato una rapina. L’operazione degli investigatori era stata coordinata e avviata da settimane senza che la famiglia ne fosse al corrente ma creandole attorno un cordone di protezione. All’origine dell’inchiesta il fermo di una rodigina, ora indagata, che avrebbe rifiutato proposte di affiliazione alla banda avanzate degli organizzatori del rapimento. Sarebbero stati dei gravi problemi finanziari dei tre arrestati, in particolare di un ristoratore padovano che aveva assoldato i due polesani, all’origine del progetto di sequestro del giovane thienese. Il leader del gruppo criminale, secondo la procura, è un imprenditore padovano dell’area estense che conosceva la famiglia thienese e che aveva un cumulo di debiti anche con questa. Gli altri due arrestati sono padre e figlio residenti a Occhiobello (Rovigo) e Ferrara: il terzetto, rimasto in silenzio dopo le manette, sarebbe stato intenzionato a chiedere un riscatto tra uno o due milioni e aveva organizzato il nascondiglio del rapito in un casolare abbandonato. La signora si è detta incredula ed ha chiesto ai carabinieri se tutto fosse reale o non si trovasse davanti a una sorta di film o di «Scherzi a parte». Il giovane non sarebbe riuscito a trattenere le lacrime.

Assalto al caveau, raffiche di kalashnikov contro i carabinieri

di Repubblica

L’episodio a Quinto Vercellese. I banditi con una ruspa hanno preso di mira il deposito di un istituto di vigilanza. Diverse strade ancora bloccate. I rapinatori nella fuga hanno incendiato cinque auto. Forse un collegamento con l’assalto a un furgone portavalori avvenuto più tardi nell’Astigian.

Un vero assalto armato in stile paramilitare. È stato definita così dalle forze dell’ordine la tentata rapina che questa notte ha trasformato Caresanablot, piccolo paese alle porte di Vercelli, in un vero e proprio campo di battaglia. Con tanto di conflitto a fuoco. Un colpo, quello alla sede della Fidelitas, sulla strada che da Caresanablot porta a Quinto Vercellese, studiato nei minimi dettagli dal commando di dieci persone che, armati di pistole e kalashnikov, hanno esploso almeno una cinquantina di colpi all’indirizzo dei carabinieri, con 27 bossoli ritrovati in strada. “Sembrava il set di un film americano”, raccontano alcuni cittadini svegliati dalla raffica di colpi esplosi dai banditi in fuga. ”Siamo scesi in strada per capire cosa fosse successo. Abbiamo avuto molta paura”.

Tutto è iniziato intorno alle 2,30 di notte quando i banditi alla guida di auto, furgoni e di una ruspa, tutti mezzi rubati, hanno raggiunto da direzioni diverse l’edificio della società di vigilanza. Prima però, per poter assaltare l’agenzia in tutta sicurezza, i banditi hanno bloccato le strade di accesso alla zona dando fuoco ad alcune vetture rubate: dalla strada per Olcenengo a quella del ponte sull’Elvo, a Collobiano, fino alla provinciale per Vercelli. Almeno 11 le auto date alle fiamme e usate come diversivo dai malviventi. Poi, arrivati davanti al cancello della ditta hanno messo in moto la ruspa e l’hanno lanciata contro il muro della Fidelitas, più precisamente contro la “sala della conta”, ossia il caveau, dove è custodito il denaro che la ditta ha il compito di custodire per conto di terzi. Sono bastati pochi secondi perché il personale di turno della vigilanza si vedesse crollare il muro addosso e sentisse scattare l’allarme. Poi il far west in strada: i carabineri e i banditi aprono il fuoco. A quel punto il commando capisce che la rapina è fallita, risale sui mezzi rubati e riparte in direzione di Villarboit. A conferma ci sono le immagini delle telecamere di videosorveglianza che si trovano in zona. Una fuga fino a Greggio e Balocco dove vengono ritrovate altre auto incendiate, forse per cancellare le impronte e ogni indizio.

È probabile che i banditi abbiano percorso a piedi la stradina che porta al piazzale dell’Autogrill situato sull’autostrada Torino-Milano dove, probabilmente, ad attenderli c’erano delle auto ‘pulitè per la fuga finale. Non ci sono dubbi che si tratti di una banda di professionisti che arriva da fuori, probabilmente anche collegata all’assalto avvenuto a Lodi il 28 novembre scorso quando una decina di malviventi dopo aver cosparso l’asfalto di chiodi e bloccato la circolazione con auto e furgoni messi in mezzo alla strada e dati alle fiamme, aveva tentato un assalto un furgone portavalori. Al momento non si esclude nemmeno un collegamento con un colpo avvenuto stamatina alle 8 nell’Astigiano. A Pontesuero tre banditi hanno bloccato il conducente di un furgone di una ditta di Alessandria, che trasportava le monetine delle slot-machine. Lo hanno picchiato e si sono messi alla guida del mezzo. Il furgone è stato poi ritrovato due chilometri dopo in strada Valgera. I banditi si sono dati alla fuga con un bottino di circa 5mila euro.

Carabinieri e polizia di Vercelli stanno svolgendo le indagini visionando anche le immagini delle telecamere di sicurezza sia della ditta che quelle comunali. Del fatto è stata informata anche la procura di Vercelli.

Spara al figlio durante la lite in casa, 47enne muore in ospedale

di Il Mattino

È morto all’1.40 nella notte tra lunedi e martedi Federico Dri, 47 anni, l’uomo colpito dal padre con un colpo di pistola al culmine di una lite. L’uomo è stato sottoposto ad un lungo e complicato intervento chirurgico che sin dall’inizio è sembrato disperato. Una volta terminata l’operazione sono sopraggiunte ulteriori complicanze. Il padre Franco Dri, 73 anni, arrestato dai Carabinieri subito dopo l’aggressione, è agli arresti domiciliari come disposto dai magistrati della Procura di Pordenone.

Il dramma nella famiglia di Fiume Veneto (Pordenone) si era verificato le 18.30 di lunedi in un’abitazione di viale della Repubblica. Franco Dri, ex commerciante di elettrodomestici, aveva esploso un colpo di pistola centrando il figlio Federico al torace durante una lite. Quest’ultimo, gravemente ferito, era stato trasferito con un’ambulanza del 118 all’ospedale di Pordenone dov’era stato sottoposto per ore a un intervento chirurgico.

I Carabinieri della Compagnia di Pordenone in serata avevano formalizzato l’arresto di Franco Dri, 73 anni: l’ipotesi di reato da tentato omicidio nei confronti del figlio Federico si è successivamente trasformata in omicidio.

Da quanto si è appreso, l’anziano ha esploso un unico colpo, utilizzando un’arma di proprietà, regolarmente denunciata, al culmine dell’ennesimo litigio col figlio, con cui da anni c’era un rapporto burrascoso. La vittima dello sparo ha avuto problemi di dipendenze, lavorava saltuariamente e conducendo una vita che avrebbe progressivamente minato il rapporto con i genitori esasperando il rapporto con il padre.

All’alterco e successivo sparo non ha assistito la madre del ferito – e moglie dell’aggressore – che comunque era in casa, ma in un’ altra stanza.

Coltello e passamontagna, donna settantenne rapina l’edicola: “Ho solo la pensione minima”

di Repubblica

E’ successo nell’Astigiano: è stato il figlio della giornalaia a riconoscerla e a disarmarla. Fuggita, è stata denunciata a piede libero. Ai carabinieri la donna, che abita accanto al suo “obiettivo”, ha spiegato di non avere più soldi.

A 68 anni ha indossato un passamontagna e, armata di coltello, ha tentato di rapinare l’edicola sotto casa. È accaduto ad Agliano Terme, un paesino di 700 persone nell’Astigiano. I carabinieri di Asti l’hanno identificata e denunciata nel giro di poche ore. Merito delle indicazioni fornite dalle stesse vittime. Nonostante la donna avesse il volto coperto, l’hanno infatti immediatamente riconosciuta dal timbro della voce e dalla corporatura. Per convincere l’edicolante a consegnarle l’incasso, è entrata brandendo un coltello. “Dammi i soldi che hai” avrebbe detto l’aspirante rapinatrice, chiaramente non tanto pratica del mestiere. Il figlio della titolare infatti è riuscito subito a disarmarla, mettendola in fuga. La donna, scappata a piedi per le vie di Agliano. Ma in paese si conoscono davvero tutti. I carabinieri che l’hanno denunciata a piede libero per tentata rapina. Ancora mistero sul “movente” che ha armato la sua mano. Di certo la donna non naviga nell’oro: come ha spiegato ai carabinieri, percepisce solo la pensione minima di circa 500 euro.

L’amica non lo vuole più in casa, lui aggredisce i carabinieri: arrestato

di Il Messaggero

Un udinese di 35 anni è stato arrestato durante la notte nel quartiere di via Riccardo di Giusto. Nei suoi confronti è stata formulata l’accusa di violenza e resistenza a pubblico ufficiale. L’uomo, in attesa della prima udienza del processo per direttissima che sarà celebrata lunedì 26, è stato rinchiuso nella camera di sicurezza della caserma dei carabinieri di Udine est.

Secondo la ricostruzione dei militari dell’Arma, il trentacinquenne – già conosciuto dalle forze dell’ordine, M. M. sono le sue iniziali – ha aggredito un carabiniere, dapprima cercando di colpirlo con un pugno al volto e subito dopo afferrandolo per un braccio con forza.

Ciò è accaduto intorno all’una nel corso di un intervento in via Gozzer (una strada chiusa, laterale di viale Dino). La pattuglia si è presentata a casa di una donna che intendeva allontanare un ospite indesiderato.

Sin dal loro arrivo, i militari di Udine Est si sono accorti che sia la padrona di casa, sia il suo conoscente erano alterati, molto probabilmente dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo. Successivamente, poichè l’uomo non aveva alcun titolo per abitare in quell’appartamento, lo hanno invitato a raccogliere le sue cose e ad allontanarsi.

In un primo momento il trentacinquenne è parso collaborativo, sembrava essersi convinto della necessità di “fare le valige”. Poi, però, ha cambiato atteggiamento, facendo chiaramente capire che non voleva andarsene. All’improvviso si è scagliato contro un carabiniere, sfiorandolo con un pugno. C’è stata una colluttazione a seguito della quale il militare è finito al pronto soccorso dell’ospedale Santa Maria della Misericordia per una distorsione (i medici hanno emesso una prognosi di tre giorni). La centrale operativa del 112 ha poi inviato in supporto anche i colleghi del Nucleo radiomobile.

Poco dopo i carabinieri hanno effettuato un controllo all’interno dell’abitazione e in camera da letto hanno trovato 39 grammi di presunta sostanza da taglio. Tale materiale è stato sottoposto a sequestro e inviato al laboratorio di analisi di Sacile per ulteriori approfondimenti. Dell’accaduto è stato informato il magistrato di turno della Procura della Repubblica, il pm Barbara Loffredo.

Coltivava marijuana nella serra hi-tech: bagnino arrestato dai carabinieri

di Il Messaggero

Si terrà lunedì 26 alle 9.30 davanti al Gip, Roberto Venditti, l’udienza di convalida dell’arresto di D. M., il bagnino 32enne residente a Bevazzana arrestato venerdì dai Carabinieri della Compagnia di Latisana, dopo il ritrovamento nell’appartamento occupato dal giovane di una vera e propria coltivazione, altamente tecnologica, di marijuana.

Durante l’udienza – ha anticipato l’avvocato difensore Roberto Mete – il legale è intenzionato a chiedere al Gip, oltre alla scarcerazione del suo assistito, anche la non punibilità motivata con il fatto che le piante di marijuana, coltivate a casa del giovane, erano per uso personale. Richieste che si baserebbero soprattutto sul fatto che è incensurato ed estraneo ai circuiti criminali, collegati allo spaccio.

Al Gip sarà avanzata un’ulteriore richiesta: accertare esattamente i quantitativi sequestrati venerdì ed effettuare dei riscontri peritali. A quanto pare uno dei dubbi riguarderebbe le infiorescenze sequestrate che non erano ancora mature.

Nell’appartamento occupato dal 32enne, all’interno di un complesso residenziale di Bevazzana, i Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Latisana, hanno trovato una serra amovibile, con all’interno una coltura di marijuana: le piante, come si può vedere nelle foto, erano coltivate all’interno di una struttura dotata di lampade termiche, termoventilatori ed essiccatori, con il metodo idroponico, una speciale tecnica adottata per rendere lo stupefacente di alta qualità e a elevato principio attivo.

Abbastanza per procedere con l’arresto per l’accusa di coltivazione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio, come comunicato al Pm della Procura, Barbara Loffredo, non appena eseguito l’arresto.

Il giovane è ora in carcere a Udine.

Bimbo prematuro fatto morire per soldi

Una truffa alle assicurazioni fa scoprire un giro di aborti a scopo di lucro Il piccolo ha lottato per sopravvivere. Ma nessuno gli ha dato l’ossigeno

743782-593x443fonte Il Tempo

Sarebbe rimasta incinta apposta per poi praticare un aborto in avanzata fase di gestazione simulando un finto incidente stradale e ottenere un indennizzo per la morte del figlio: 80mila euro da incassare per un neonato espulso apposta dal pancione al settimo mese di gravidanza da una mamma, finita ai domiciliari con l’accusa di infanticidio. Ma non si può chiamare «madre» la giovane donna che si sarebbe procurata un aborto con una «pinza», strumento suggerito dall’amico medico, anche lui indagato. Presentatasi in ospedale con una complice dopo l’incidente d’auto mai avvenuto aveva detto di aver perso il bimbo nell’urto. E la cosa più atroce è che il piccino «muoveva ancora le manine» ma quella «piccola boccata di ossigeno» che lo avrebbe «fatto sopravvivere» non è stata data, ha spiegato il dirigente della Polizia Stradale di Cosenza, Domenico Provenzano.

È un orrore senza fine la storia che arriva da un centro del Cosentino. «I casi di aborto per aumentare il risarcimento delle assicurazioni sarebbero diversi», hanno confermato gli investigatori. È questo l’agghiacciante scenario emerso durante la presentazione alla stampa dell’operazione Medical Market, alla presenza del questore di Cosenza Luigi Liguori e il comandante provinciale delle Fiamme Gialle Giosué Colella, condotta dalla Procura di Castrovillari, che ha portato all’arresto di 7 persone e 144 avvisi di garanzia. L’obiettivo è sgominare un’organizzazione criminale che avrebbe avuto base operativa all’ospedale di Corigliano Calabro e che tra somme percepite indebitamente e truffa alle assicurazioni e all’Inps avrebbe fruttato 2 milioni di euro.

«Abbiamo accertato che un bambino ha lottato, ha cercato di rimanere vivo e questo ci ha tranciato il cuore – hanno detto gli investigatori – e pensare che gli sarebbe bastato una piccola boccata d’ossigeno per sopravvivere. Immaginate procreare per uccidere quali connotazioni può assumere. La realtà supera la fantasia, man mano che andavamo avanti in questo caso rimanevamo sempre più sconvolti».

Questa la messinscena con la donna indotta con il suo consenso all’aborto simulando un incidente stradale per ottenere un cospicuo risarcimento, poi bloccato. Secondo quanto emerso dall’attività investigativa, il medico avrebbe fornito indicazioni su come praticare l’aborto, illegale, perché la al settimo mese di gravidanza, eseguito con una pinza. Quindi la donna è stata accompagnata da un’amica al Pronto soccorso di Corigliano dove hanno sostenuto di essere state coinvolte in un sinistro e che il feto era stato espulso a seguito del trauma. Ma il pigiama che la donna indossava era pulito, né sono state riscontrate macchie ematiche o di liquido nell’auto dell’amica. Che non ha saputo fornire indicazioni esatte sul luogo dell’incidente, né ha dichiarato di conoscere il cognome di altri fantomatici amici con loro al momento dell’impatto. Il medico del pronto soccorso, secondo l’accusa complice nella vicenda, non ha praticato sul neonato alcuna manovra di rianimazione mentre gli infermieri si sono accorti che muoveva le manine. Altre stranezze sono state segnalate dalla ginecologa che ha visitato madre e figlio subito dopo il consulto chiesto dallo stesso medico di pronto soccorso. E sul ventre della donna non c’era alcun segno di trauma. Ancora più preoccupante è un precedente registrato nello stesso ospedale, con un’altra donna che si era presentata raccontando la stessa versione di un incidente stradale mentre, secondo gli investigatori, era stata colpita con la sua volontà al ventre per simulare un trauma.

Crimine informatico

Fonte Ministero Interno

Fonte Ministero Interno

Un computer, una rete o un dispositivo hardware possono essere l’agente, il mezzo o l’obiettivo del crimine

I continui progressi delle nuove tecnologie, la vasta diffusione di apparati digitali e la sempre più estesa e frequentata rete di social media vedono crescere in termini esponenziali il numero di utenti che accedono al mondo di internet. Una società sempre più introdotta nel mondo digitale, e che gestisce informaticamente gran parte della propria vita di relazione, fa avvertire pressante l’esigenza di una sicurezza di settore sempre più qualificata, specializzata e vicina al cittadino.

Accanto a fenomeni storici quali la pedopornografia online, che tende sempre più a celarsi nel mondo sommerso del web anche attraverso complessi sistemi di anonimizzazione della navigazione, si manifestano nuove attività predatorie gestite da agguerrite organizzazioni criminali transnazionali che colpiscono i servizi di e-commerce e home banking e anche attacchi pianificati a banche dati o ancora aggressioni sofisticate contro infrastrutture critiche istituzionali.

Per rispondere al meglio alla sfida e per affinare adeguatamente il bagaglio professionale, la Polizia delle Comunicazioni ha avviato innovative partnership con i migliori centri universitari e di ricerca per acquisire contributi formativi e concorrere a realizzare efficaci strategie operative di contrasto.

Per venire incontro alle esigenze di sicurezza e assistenza dei sempre più numerosi cittadini utenti della rete, è stato realizzato il portale del Commissariato di P.S. on line che, ponendosi come una vera volante del web, è costantemente operativo per monitorare la rete, diramare allarmi in caso di insidie, raccogliere le più varie istanze di aiuto e assistenza. Di pari passo sono state avviate speciali campagne di sensibilizzazione dei ragazzi per un uso consapevole del web.

Fonte: Ministero Interno