Giallo a Carini, donna strangolata in casa

di Repubblica

Secondo caso di femminicidio in una settimana dopo la morte della prostituta a Palermo. Sul posto carabinieri e magistrato. Rosalba Simonetti, 54 anni, era vedova. E’ stata uccisa con una calza

Una donna è stata trovata morta nella sua abitazione di Carini, a una ventina di chilometri da Palermo. Secondo i primi rilievi del medico legale, è stata strangolata con una calza serrata attorno al collo. Il corpo è stato trovato da personale del 118 nella casa al primo piano di una palazzina al numero 16 di via Palermo, nel centro del paese. Sul posto per le indagini i carabinieri e il sostituto procuratore della Repubblica Sergio De Montis. La donna, Rosalba Simonetti, 54 anni, separata dal marito da diversi anni, è stata trovata sul letto dalla figlia che ha allertato il 118.

La casa di via Città di Palermo non è stata trovata a soqquadro. La porta non presenta segno di scasso. Ad avvertire i carabinieri è stata la figlia che abitava assieme a lei. E’ il secondo femminicidio in una settimana dopo il caso della prostituta di 62 anni trovata morta a Palermo.

‘Ndrangheta, 59 arresti. Le mani della mafia sul Meazza: voleva scalzare il catering del Milan

di Repubblica

In ginocchio la cosca Libri-De Stefano-Tegano. Il tentativo di far fuori la società che per conto della squadra di Berlusconi gestisce la ristorazione allo stadio. L’azienda sana doveva essere screditata dall’indagine di un carabiniere infedele

Sembravano imprenditori, ma erano boss della ‘ndrangheta. Lo schema è noto, lo si è già visto molte volte nelle recenti inchieste milanesi, ma in queste ore è un’antica e influente cosca della ‘ndrangheta (la Libri-De Stefano-Tegano) che viene messa in ginocchio dalla Procura distrettuale antimafia e dal nucleo investigativo dei carabinieri. Si contano 59 arresti.

Accanto al traffico di droga, anche di altissimo livello, con sequestri di cocaina, hashish e di quella che chiamano ‘Ganja’, marijuana nel linguaggio hindi, e alle estorsioni, c’è un piccolo grande inedito. I mafiosi stavano provando ad entrare a San Siro con una società di catering. I detective hanno individuato un imprenditore milanese. Si chiama Cristiano Sala, ha ereditato dal padre il gruppo ‘Il maestro di casa’, che nel 2007 fatturava 35 milioni di euro all’anno e dal 2008 si mette in società con un imprenditore del principato di Monaco. Organizza attività sia nel mondo sportivo in genere sia a San Siro, attraverso la società ‘La Tribuna’, sia in altri stadi, con la ‘Welcome’. La crisi però lo fa fallire, lui diventa consulente anche di marchi importanti, ma avendo accumulato i debiti con la cosca di ‘ndrangheta “da vittima diventa complice”, si legge nell’ordinanza: e diventa anche “persona estremamente importante per il sodalizio criminoso”. Tant’è vero che Sala cerca di screditare una società, la Milan entertainment srl per il servizio di catering allo stadio Meazza per le stagioni 2013 e 2014.

Il carabiniere infedele. Sala lo fa attraverso un appuntato dei carabinieri, Carlo Milesi, abbastanza noto tra i giornalisti di nera, che il 25 ottobre 2013 produce una relazione di servizio e la trasmette alla Procura, accusando falsamente la società di impiegare lavoratori stranieri in nero. Milesi va in più occasioni nella sede del Milan, per convincere la società ad estromettere la società in concorrenza con Sala e ci torna dopo che la notizia della sua relazione di servizio esce sui giornali. C’è la registrazione di una telefonata in cui il carabiniere infedele racconta di essere entrato nella sede della società – ovviamente estranea a questi maneggi – e di aver atteso che i dirigenti finissero di parlare (chissà se è vero) con Barbara Berlusconi. E’ un passaggio che in ogni caso dimostra quanto sia facile riuscire a farsi aprire le porte di importanti e ignari imprenditori da parte delle organizzazioni criminali che si presentano con una “faccia pulita”.

Latitante da dieci anni, preso a Capo Verde spacciatore genovese

di Repubblica

Stefano Marchi “tradito” dai soldi che gli inviava la madre.  Deve scontare vent’anni di carcere

La Polizia ha arrestato nella Repubblica di Capo Verde il latitante Stefano Marchi, genovese, inserito nell’elenco dei cento ricercati più pericolosi, ritenuto elemento di spicco di un’organizzazione criminale composta da italiani e sudamericani dedita all’importazione e allo spaccio di ingenti quantitativi di cocaina.

A tradire Stefano Marchi, il superlatitante genovese arrestato ieri sull’isola di Majo a Capo Verde dalla polizia, sono stati i soldi che i suoi familiari gli inviavano dall’Italia per le spese di ordinaria amministrazione. Erano la mamma e il fratello che con cadenza quasi mensile mandavano piccole somme di denaro. Non solo. Nel 2011 gli agenti di polizia lo avevano localizzato una prima volta, sempre nell’arcipelago di Capo Verde, grazie a una intercettazione dove spiegava alla madre di avere fatto spostare alcune piante di aloe perchè le radici stavano rompendo il muretto di cinta  della villa dove si era rifugiato. “Le ha fatte mettere dal lato mare e dal lato polizia”, facendo così intuire il luogo dove si trovava. Ma subito dopo aveva cambiato residenza, facendo perdere di nuovo le tracce.

Marchi, che deve scontare una pena definitiva a 19 anni e 11 mesi, secondo l’accusa farebbe parte di una associazione criminale, composta da italiani e sudamericani, che importava cocaina dalla Colombia facendola arrivare prima in Europa e poi a Genova e nel Tigullio.

Ad eseguire l’ordine di cattura gli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Genova, coordinati dal Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e dal Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia.

False fatture su carbon trading per 3,5 miliardi, nove arresti della Finanza

di Il Fatto Quotidiano

Sono 32 le persone iscritte nel registro degli indagati della procura di Milano. Nell’ambito dell’operazione è stato eseguito anche un sequestro per un totale di circa 650 milioni di euro. Per gli inquirenti il capo è un cittadino franco-israeliano

Il “fenomeno” delle frodi sulle “quote di emissione di Co2“, i cosiddetti “certificati neri” attestanti la “riduzione di inquinamento da ossido di carbonio da parte delle aziende”, “stando alle cifre che emergono da questa indagine”, risulta “particolarmente allarmante soprattutto se si pensa alla possibilità di riciclare, praticamente senza controlli, ingenti quantità di denaro”, con un “vulnus di rilevanti proporzioni per gli interessi dell’Erario”.

È la riflessione della Procura di Milano nella richiesta di custodia cautelare nell’ambito dell’inchiesta che ha portato all’arresto di nove persone da parte del Nucleo di Polizia Tributaria per una presunta maxifrode fiscale nel settore del carbon trading da circa 650 milioni di euro con fatture false per circa 3,5 miliardi di euro.

Il passaggio della richiesta dei pm Carlo Nocerino e Adriano Scudieri è contenuto nelle oltre 200 pagine dell’ordinanza firmata dal gip Stefania Donandeo. Nelle carte dell’inchiesta si legge che la presunta associazione per delinquere, che aveva uomini e società a disposizione sparsi in mezza Europa e in Medioriente, dalla Tunisia alla Francia passando per la Lituania, la Germania, la Slovacchia, la Gran Bretagna e l’Albania, era “riconducibile ad un unico vertice franco-israeliano in via di completa identificazione”.

Tra i capi della presunta associazione, secondo il gip, figurano Eddie Briand, un francese di 33 anni residente a Parigi, Rafaela Murati, un’albanese di 31 anni, anche lei residente a Parigi, e Mauro Pino, romano di 50 anni. Tutti e tre sono finiti in carcere. Tre società poi, con sede a Milano, la Star Co Energia srl, la Ypoint srl e la Adatto Energy srl, avrebbero funzionato come “collettore di fatture false e da interfaccia con i reali cessionari delle quote Co2, fungendo da cassa dell’organizzazione”.

Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Francesco Greco, hanno ricostruito le attività di dell’associazione a delinquere, che si serviva appunto di società italiane ed estere, per commerciare i certificati di carbone trading, ossia le quote di emissione dei gas serra introdotte con la direttiva europea 87 del 2003 per promuovere la riduzione dell’inquinamento secondo criteri di efficacia dei costi ed efficienza economica. Grazie a “ripetute e sistematiche frodi carosello” e a società cartiere e di società filtro nella filiera commerciale la banda si appropriava dell’imposta sul valore aggiunto (Iva) connessa alle transazioni. L’Iva non pagata in Italia, stando alle indagini, è stata stata portata all’estero con la creazione di fondi neri a partire dal 2010.

Sono 32 le persone indagate: si tratta di amministratori di fatto o di diritto di 28 società utilizzate dall’associazione. Nell’ambito delle operazioni della Gdf, nelle quali sono stati impegnati oltre 150 finanzieri, è stato eseguito anche un sequestro per un totale di circa 650 milioni di euro.

Sciopero generale, trasporti bloccati 54 cortei: scontri a Milano e Torino

di Corriere della Sera

Protesta contro legge di Stabilità e Jobs Act. Camusso (Cgil): «L’emergenza è il lavoro» Barbagallo (Uil): «Fermiamo l’Italia per farla ripartire nella direzione giusta»

Sciopero generale e 54 manifestazioni venerdì in tutta Italia per protestare contro la legge di Stabilità e il Jobs act. Lo sciopero è stato indetto dai sindacati Cgil e Uil, che parlano di un’adesione del 70 per cento e di «piazze affollatissime». I rispettivi leader, Susanna Camusso e Carmelo Barbagallo, partecipano ai cortei di Torino e di Roma: non sono mancati scontri nel capoluogo piemontese e a Milano. «Fermiamo l’Italia per farla ripartire nella direzione giusta» apre la mattinata il segretario generale Uil. E Camusso: «L’emergenza che ha questo Paese si chiama lavoro, bisogna fare politiche perché il lavoro ci sia. Il lavoro, non può essere qualunque lavoro senza diritti e senza professionalità. Il messaggio per cambiare il Paese è proprio quello di un Paese che investe sul lavoro e sulla sua qualità». Sullo sciopero interviene anche Giorgio Napolitano: «È bene che ci sia rispetto reciproco» tra le prerogative di governo e sindacati e che «non si vada ad una esasperazione come quella di cui oggi abbiamo il segno. Non fa bene al Paese» osserva il presidente della Repubblica parlando con i giornalisti a Torino. E Matteo Renzi, intanto, dal Forum economico italo-turco di Istanbul, torna a ribadire:«I politici devono avere il coraggio di fare le riforme, soprattutto in Italia dove è necessario cambiare».

Barbagallo: «Jobs Act, il governo parli con i sindacati»

Più in dettaglio, Barbagallo, che loda l’intervento di Napolitano, spiega: «Oggi milioni di lavoratori si astengono dal lavoro, milioni di pensionati partecipano alle nostre iniziative, insieme agli studenti». «Tutti i dati – aggiunge – dicono che il Paese sta andando giù. Vogliamo fermare la caduta e farlo ripartire dal punto di vista economico e del lavoro». Poi, a proposito del Jobs Act, «mi aspetto che questo governo quando parla di riforme del lavoro ne parli con i corpi intermedi, con i sindacati», torna a sottolineare il segretario generale della Uil, sostenendo che margini di intervento ci sono ancora, visto che i decreti attuativi del Jobs Act sono da definire e la legge di stabilità deve concludere l’iter parlamentare. Anche le risorse si possono trovare «mettendo mano alla riforma fiscale, alla lotta all’evasione e alla corruzione».

Camusso: «Ci dispiace che la Cisl non ci sia»

Invoca il dialogo anche Camusso: «È una scelta del governo se continuare a provare a innescare il conflitto oppure discutere. Deve essere chiaro che noi non ci fermiamo. Non si cambia un Paese se non lo si fa con i lavoratori. Altrimenti succede che ci si trova in brutta compagnia come quelle che emergono dalle cronache», dice la leader della Cgil. «Continueremo a contrastare le scelte sbagliate per avere una prospettiva di lavori in questo paese», aggiunge. Segnale, poi, alla Cisl: «Ci dispiace che non ci sia perché il messaggio di non provare a cambiare le scelte del governo è un messaggio di rassegnazione – prosegue la leader della Cgil -. Noi pensiamo che il paese non abbia bisogno di rassegnazione».

Napolitano: «Si trovi la via della discussione pacata»

Quanto al presidente Napolitano, il capo dello Stato premette, parlando dello sciopero generale, che lui «ovviamente non entra nel merito delle ragioni degli uni o degli altri». Poi, aggiunge: «Mi auguro che si discutano sia le decisioni già prese, come quella della legge di riforma del mercato del lavoro, sia quelle da prendere soprattutto per il rilancio dell’economia e dell’occupazione in un contesto europeo». E che per queste tematiche così importanti per il Paese, ha sottolineato «si trovi la via di un discussione pacata». «Naturalmente poi il governo ha le sue prerogative, le ha anche il Parlamento ed ha il suo ruolo da svolgere il sindacato», aggiunge.

I disagi

Lo sciopero riguarda tutti i settori, dalla scuola ai trasporti, dalla sanità agli uffici pubblici, e prevede l’astensione per tutta la giornata lavorativa. Giovedì sera il ministro Lupi ha revocato la precettazione dei ferrovieri decisa mercoledì, scelta che era stata definita «gravissima» da Cgil e Uil: l’adesione, secondo i sindacati, riguarda il 48% dei convogli non garantiti. Nel trasporto pubblico e autostradale, gli orari variano per luogo. Per quanto riguarda traghetti e navi: ritardo di 8 ore alla partenza. Per i treni, sono garantiti i regionali dalle 6 alle 9 e dalle 18 alle 21.

Voli cancellati

Nella mattinata, disagi per i viaggiatori negli scali aeroportuali romani a Fiumicino e Ciampino. Lo sciopero coinvolge, dalle 10 alle 18, il personale navigante delle compagnie e gli addetti delle attività operative. Regolari i voli intercontinentali di Alitalia, che ha invece cancellato alcuni altri voli: circa 200 su tutto il territorio nazionale, il 50% in via preventiva a Fiumicino, oltre a 35 delle altre compagnie, 110 da Milano e 140 da Milano Malpensa. La società spiega che il numero delle cancellazioni (circa il 50% dei voli previsti per la giornata) è legato allo stop dei controllori di volo dell’Enav (sempre per lo sciopero generale) e che tutti i passeggeri sono stati riprotetti nei giorni scorsi su altri voli. Per quanto riguarda le altre compagnie straniere e italiane sono 35 le cancellazioni dei voli in partenza da Fiumicino e 10 da Ciampino. Ryanair già mercoledì aveva annunciato la soppressione di 188 voli da e per l’Italia (qui i dettagli e le modalità di rimborso).

Le città

Milano
Al via alle 9.30 la manifestazione di Milano: partenza da Porta Venezia per arrivare davanti al Duomo per quanto riguarda i lavoratori e, verso le 13, scontri nei pressi della Stazione Centrale e del Pirellone, vecchio palazzo della Regione, in quello degli studenti. Undici agenti sono rimasti contusi. Dal palco, interventi di Graziano Gorla, segretario generale Cgil Milano, e Danilo Margheritella, segretario generale Uil. Nella prima mattinata, un gruppo di esponenti di «Attitudine No Expo» aveva già occupato simbolicamente il cantiere di Expo improvvisando un corteo e srotolando alcuni striscioni contro l’Esposizione universale.

Torino
Scontri tra forze dell’ordine, studenti e autonomi anche nel capoluogo piemontese, dove in 70.000, arrivati con oltre 200 pullman, hanno sfilato. La manifestazione con Susanna Camusso è stata caratterizzata anche dalla accesa protesta dei vigili del fuoco contro i tagli.

Roma
Il corteo con Barbagallo è partito alle ore 9.30 da piazza Esquilino per arrivare, alle 11.30 circa, in piazza Santi Apostoli dove è previsto l’intervento del segretario generale della Uil. A margine della manifestazione si sono verificati alcuni incidenti durante un tentativo di sgombero di un palazzo occupato nei pressi del Policlinico Umberto I.

Genova
Copertoni di auto in fiamme e transenne a bloccare lungomare Canepa nei pressi del varco di ponte Etiopia da parte di un gruppo di lavoratori del porto di Genova. Pesanti le ripercussioni sul traffico cittadino.

Firenze, Pisa, Siena
Tre manifestazioni in Toscana: a Firenze, Siena e Pisa. Un centinaio di auto con bandiere dei sindacati Cgil e Uil diretti alla manifestazione di Pisa, hanno rallentato il traffico sulla A/12 da Viareggio con blocchi al casello di Pisa. La manifestazione di Pisa riunisce anche i manifestanti delle province di Massa Carrara e di Livorno.

Bologna
Quattro cortei a Bologna, culminati con lancio di letame contro la sede di Ncd ed Hera, fornitore di servizi ambientali ed energetici. Nel capoluogo emiliano si erano già messi in moto nella notte gli studenti di Link Bologna: un Babbo Natale con il volto di Matteo Renzi ha distribuito «pacchi regalo» a studenti e precari che affollano la zona universitaria. I pacchi sono stati poi depositati sotto il grande albero di Natale in piazza Nettuno. «I provvedimenti del governo Renzi – dicono – sono un “pacco” per la nostra generazione: jobs act, Sblocca Italia, Piano scuola, Decreto Poletti».

Perugia
Blocco totale della produzione anche alla Perugina a sostegno della «vertenza umbra».«Solo una ventina le persone entrate nello stabilimento di San Sisto», fanno sapere i vertici sindacali locali. In prima fila anche precari e studenti. Questi ultimi hanno improvvisato un «flash mob».

Altre città
A Napoli si tiene una manifestazione regionale, con un corteo partito alle ore 9,30 da piazza Mancini per approdare in piazza Matteotti, dove sono previsti i comizi di Anna Rea, segretaria generale della Uil Campania e Gianna Fracassi, segretaria nazionale della Cgil. Tre in totale i cortei, per circa 50.000 partecipanti. Sei i cortei a Bari, dove è stato disposto un piano di traffico straordinario e dove l’ex premier Massimo D’Alema è stato sonoramente contestato dai lavoratori. In Veneto manifestazioni in tutte le province. Manifestazioni anche in Sicilia: a Palermo sono scesi in piazza in 15.000 e gli orchestrali hanno invaso il tetto del teatro Politeama.

Mafia Capitale, due nuovi arresti. “Erano il collegamento tra le cooperative e la ‘ndrangheta”. Marino rifiuta la scorta

di Repubblica

In manette Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero. Per gli inquirenti, dal luglio 2014, affidata la gestione dell’appalto per la pulizia del mercato Esquilino a Giovanni Campennì, imprenditore della cosca Mancuso. Sequestrate altre due società riconducibili a Buzzi che avevano un giro d’affari annuo di 15 milioni di euro. Udienza Riesame, Carminati in aula

Ancora due arresti da parte dei carabinieri del Ros nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale. In manette sono finiti Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, entrambi per associazione di tipo mafioso. Sono accusati di aver assicurato il collegamento tra alcune cooperative gestite dalla ‘cupola romana’ e la ‘ndrangheta. Una terza persona, indagata a piede libero, è stata perquisita. Gli interventi dei carabinieri, disposti dal gip di Roma su richiesta della procura distrettuale antimafia, sono stati eseguiti nelle province di Roma, Latina e Vibo Valentia. Intanto, gli uomini del Comando provinciale della Guardia di finanza di Roma hanno sequestrato altre due società cooperative riconducibili a Salvatore Buzzi che avevano un giro d’affari annuo di 15 milioni di euro. ”E’ un’ottima giornata iniziata con altri due arresti – ha detto il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ai microfoni di Radio Radio – Speriamo che la magistratura ci aiuti velocemente a fare pulizia in questa città”. Poi l’annuncio: “Ho fatto molte resistenze alla scorta e alla fine non l’ho avuta. A Roma abbiamo già un migliaio di persone che vivono sotto scorta, per alcune è essenziale, per altri soprattutto nella categoria dei politici, è una comodità per avere la macchina di Stato. Se non è necessario credo sia meglio che quegli uomini vengano utilizzati per le periferie e sul territorio”.

Riesame. E questa mattina sono in corso le udienze del tribunale del Riesame di Roma, al lavoro sui ricorsi presentati da alcuni degli arrestati nell’inchiesta Mafia Capitale. In aula, già da alcune ore, sono presenti Massimo Carminati, considerato a capo della cupola capitolina, e il suo braccio destro Riccardo Brugia, entrambi accompagnati dall’avvocato Giosuè Bruno Naso. Le richieste dei legali degli arrestati riguardano -o ltre alla revoca dell’ordinanza di custodia cautelare – l’annullamento dell’aggravante dell’associazione “di stampo mafioso”. In aula, sono presenti i pm Giuseppe Casini, Luca Tescaroli e Paolo Ielo.

L’ordinanza di arresto. Il gip nell’ordinanza di arresto per Rotolo e Salvatore Ruggiero, che erano stati assunti da Buzzi, scrive: “L’associazione criminale romana, grazie alla mediazione di Rotolo Rocco aveva stipulato un accordo con il clan Mancuso di Limbadi, in virtù del quale aveva potuto svolgere le proprie attività in Calabria godendo della protezione della ‘ndrangheta. Nel corso dell’attività investigativa – scrive ancora il gip- è stato accertato che, circa cinque anni prima, l’associazione criminale romana, grazie alla mediazione di Rotolo Rocco (formalmente dipendente della “Cooperativa 29 Giugno”, presso la quale si occupa della gestione del deposito mezzi sito in via Affile 3, all’interno del quale vengono custoditi anche gli articolati di Giovanni Campennì) e Ruggiero Salvatore (lavoratore dipendente, dal 1998 al 1999, presso la “Soc. Coop. 29 Ggiugno Coop Sociale Srl” di Buzzi Salvatore, mentre dal 2009 inserito nella società Roma Multiservizi spa, presieduta sino all’ottobre 2013 da Franco Panzironi, ex ad di Ama arrestato anche lui), aveva stipulato un accordo con il clan Mancuso di Limbadi, in virtù del quale l’associazione romana aveva potuto svolgere le proprie attività in Calabria godendo della protezione della ‘ndrangheta mentre il clan Mancuso aveva inviato su Roma un proprio emissario, Giovanni Campennì (in quanto a lui Buzzi ha più volte spiegato il metodo con il quale l’associazione operava e la figura di Massimo Carminati), tramite il quale avviare attività imprenditoriali in collaborazione con l’associazione romana”.

Le indagini. Per gli inquirenti, quindi, gli indagati, ritenuti organici all’organizzazione denominata Mafia Capitale, hanno assicurato il collegamento tra alcune cooperative gestite da Buzzi Salvatore, sotto il controllo di Massimo Carminati, e la cosca Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia) consorteria di matrice ‘ndranghetista egemone nel vibonese. In particolare hanno documentato come, a partire dal luglio 2014, Salvatore Buzzi con l’assenso dell’ex Nar avesse affidato la gestione dell’appalto della pulizia del mercato Esquilino a Giovanni Campennì, ritenuto “imprenditore di riferimento” della cosca Mancuso, attraverso la creazione di una Onlus denominata “Cooperativa Santo Stefano”. I carabinieri sono riusciti a documentare, inoltre, come già nel 2009 Rotolo e Ruggiero si fossero recati in Calabria, su richiesta di Buzzi, allo scopo di accreditarsi con la cosca Mancuso, tramite esponenti della cosca Piromalli con riferimento all’esigenza di ricollocare gli immigrati in esubero presso il Cpt di Crotone. Secondo gli investigatori, dunque, Ruggiero e Rotolo avrebbero fornito uno “stabile contributo” alle attività di ‘Mafia Capitale’ proprio avvalendosi dei rapporti privilegiati instaurati con “qualificati esponenti” della ‘ndrangheta. Tutto ciò attraverso quello che viene definito “un rapporto sinallagmatico” tra le due organizzazioni mafiose che, a fronte della protezione offerta in Calabria alle cooperative controllate da ‘Mafia Capitale’, ha consentito l’inserimento della cosca Mancuso, rappresentata da Giovanni Campenni’, nella gestione dell’appalto pubblico a Roma.

Le intercettazioni. “Il fatto sta così, che io sono andato dai Mancuso per Salvatore Buzzi e i Mancuso mi hanno mandato a sto soggetto…”, si legge nelle intercettazione del Ros in cui Buzzi incontra Salvatore Ruggiero e Rocco Rotolo, arrestati oggi per associazione mafiosa. Alla conversazione partecipa un quarto uomo il cui viso è stato oscurato dagli investigatori. “Rocco, lui, è il nipote di Peppe Piromalli – dice Ruggiero nell’incontro, tra alcune macchine forse in un parcheggio – Siamo andati… così funziona dai Mancusi (sic), il perno centrale che comanda… capito… dice ‘alt compari, un attimo, parliamo’… ci siamo messi a parlare ‘noi siamo… in questo periodo bersagliati… sappiamo tutto ciò che è successo a Vibo … noi siamo bersagliati dai giudici… dai cosi… però chiamiamo un ragazzo… che è pulito nella legge e quindi… Ci siamo dati appuntamento e ci ha presentato questo gingillo diciamo… capisci? e funziona… così… nei perni centrali… sono confusi…”. “Ora non è che Buzzi pensa che io gli ho mandato sto soggetto alla cooperativa – dice Rotolo -… il fatto sta così, che io sono andato dai Mancuso per Buzzi Salvatore e i Mancuso mi hanno mandato a sto soggetto… quindi io non lo conosco”.

“… siccome stanno aumentando i pasti mi ha detto ‘facci entrare anche la ‘ndrangheta’”, diceva Massimo Carminati in un’intercettazione del 26 maggio scorso, parlando con Paolo Di Ninno, commercialista di Salvatore Buzzi in carcere per associazione mafiosa, e Claudio Bolla, stretto collaboratore del ras delle cooperative sociali. “Caso mai ti butto dentro una fatturina – continuava Carminati – sto mese per il mese prossimo… e poi con il fatto della sovrafatturazione, quando aumentano i pasti capito…5 sacchi in più”. Di Ninno rispondeva: “Tutto chiaro”. E Carminati:” Si è tutto perfetto”. Il presunto boss di Mafia Capitale secondo gli investigatori si preoccupava di trarre utili dagli affari delle cooperative di Buzzi. In un’altra conversazione intercettata Buzzi dichiarava: “… perché Claudio è cosi… ma è tremendo… ma nemmeno Sandro: gli ho visto fare una volta una trattativa con la ‘ndrangheta… ‘ce fai sparà gli ho detto… ce fai sparà…’ ndranghetisti… a trattà sui 5 lire… gl’ho detto ‘scusa chiudi chiudi’, glie facevo chiudi e questo rompeva il cazzo… ce sparano sto giro… in piena Calabria!”. “… in quella rete là comandano loro, poi in questa rete qua comandiamo noi!!… so passati 5 anni.. t’ha toccato qualcuno là sotto?”, spiegava Salvatore Ruggiero, arrestato oggi come presunto referente delle cosche, in un colloquio con Salvatore Buzzi il rapporto tra la ‘ndrangheta e Mafia Capitale, secondo quanto si legge nell’ordinanza.

Dalle intercettazioni emergono elementi considerati dal gip un “ulteriore conferma delle cointeressenze con la ndrangheta”. “Allora io te dico, quando io stavo a Cropani io… (inc).. poteva veni’ giu’ tutti giorni un bambino… scendevo er pomeriggio, salivo su la mattina e ripartivo er pomeriggio.. parlavo con il Prefetto, parlavo con tutti, parlavo con la ‘ndrangheta.. parlavo con tutti. E poi risalivo su”, diceva Salvatore Buzzi in una conversazione intercettata del 7 luglio scorso. La coop ’29 Giugno’ gestiva a Cropani (Cosenza) il Centro accoglienza richiedenti asilo (Cara).

La cooperativa di ‘ndranghetisti. Era nata verso la fine del 2013 ”l’idea di costituire una cooperativa, con personaggi già inseriti nelle attività imprenditoriale di Salvatore Buzzi, cui far partecipare Giovanni Campennì (imprenditore incensurato, ndr), quindi seguendo le indicazioni dei Mancuso, e altri di origine calabrese stanziali su Roma”. Ma il “progetto si perfeziona con il benestare di Massimo Carminati il quale, il 5 febbraio 2014, in un incontro con Buzzi e Campennì acconsentiva all’ingresso di quest’ultimo nella gestione delle attività sul mercato Esquilino”, si legge nell’ordinanza del gip Flavia Costantini. In una riunione del 10 dicembre 2013, tenutasi per discutere alcune questioni formali legate alla creazione di quella che poi si sarebbe chiamata ‘Cooperativa Santo Stefano’, alla presenza di Guido Colantuono e Paolo Di Ninno, Buzzi – scrive il gip – ”ipotizzava di assegnare l’incarico di presidente al primo: ‘Allora… Colantuo’, dato che tu sarai il presidente de questa cooperativa de ‘ndranghetisti… poi naa chiamiamo più così perché…”. Colantuono, però – si legge nell’ordinanza -, “esternava le proprie perplessità in merito adducendo come motivazione l’impossibilità di poter gestire i restanti soci, data la consapevolezza della loro caratura criminale: il loro spessore criminale avrebbe potuto creargli dei problemi”. Sempre nel corso della stessa conversazione, Buzzi e Colantuono ”continuavano a discutere in merito alla struttura societaria che avrebbe dovuto assumere la futura cooperativa sia dal punto di vista finanziario, sottolineando che Campennì si sarebbe esposto per 100mila euro, come precisato dallo stesso Buzzi, sia dal punto di vista partecipativo”. Stando al gip, i cinque soggetti che avrebbero dovuto amministrare la cooperativa Santo Stefano risultavano da Buzzi ”già individuati in Giovanni Campennì, Rocco Rotolo, Guido Colantuono, Vito Marchetto e Salvatore Ruggiero. Nella circostanza emergeva senza alcun dubbio che l’attività gestita dalla nascente cooperativa sarebbe stata quella già svolta dalla ’29 giugno’ presso il mercato Esquilino a Roma”.

Sequestrate due coop di Buzzi.  Il nuovo sequestro riguarda altre due società cooperative riconducibili a Salvatore Buzzi. Il provvedimento, emesso dal Tribunale di Roma – Sezione misure di prevenzione a seguito di richiesta della Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica di Roma ed eseguito da parte del Nucleo di polizia tributaria, riguarda le quote societarie, il capitale sociale e l’intero patrimonio aziendale, comprese le disponibilità finanziarie, della ’29 Giugno Servizi Società Cooperativa di Produzione e Lavoro’, con sede a Roma, in via Pomona 3; e ‘Formula Sociale Società Cooperativa Sociale Onlus’, in via Mozart 43, sempre nella capitale.

Le due società, di fatto nella piena disponibilità di Salvatore Buzzi, erano amministrate da soggetti anch’essi indagati nell’ambito dell’operazione ‘Mondo di mezzo’ ovvero da soggetti che facevano parte del consiglio di amministrazione delle società già sequestrate dalle fiamme gialle alcuni giorni fa. La Società Cooperativa 29 giugno Servizi ha un giro d’affari annuo di circa 9 milioni di euro e conta circa 267 dipendenti, mentre la cooperativa Formula Sociale ha un volume d’affari di oltre 6 milioni di euro e impiega 131 addetti. Sono in corso approfondimenti in relazione agli appalti vinti dalle citate cooperative e sulle disponibilità finanziarie alle stesse riconducibili.

Marino ha deciso: “Niente scorta”. In diretta su Radio Radio, il sindaco Marino ha annunciato: “Ho fatto molte resistenze alla scorta e alla fine non l’ho avuta. Se non è necessario credo sia meglio che quegli uomini vengano utilizzati per le periferie e sul territorio”. Il discorso si sposta sull’ex primo cittadino, Gianni Alemanno. “Io non posso e non voglio dare giudizi – ha detto Marino – Il fatto che il mio predecessore sindaco di Roma abbia avuto un avviso di garanzia per associazione di stampo mafioso mi turba profondamente e deve turbare tutte le romane e i romani che gli avevano giustamente dato fiducia nel 2008 con l’elezione popolare”. Marino ha poi ammesso: “Negli ultimi mesi, per vari motivi anche di conflittuialità di alcuni nei miei confronti, il lavoro dell’aula era stato piuttosto lento. Mi pare che questa nuova elezione, con un ufficio di presidenza con due donne come presidente e vicepresidente per la prima volta nella storia del consiglio, dia un approccio più pragmatico, tipico delle donne. Non nutro risentimenti, nè timori – ha aggiunto – Per me, da quando vinsi le primarie, le divisioni sono terminate, per altri c’erano tante squadre, tante correnti, tante divisioni. Io devo ubbidire alle romane e ai romani e rendere la loro qualità di vita migliore. Il cambiamento più importante è stato in casa mia, con mia figlia, che è sempre stata contraria alla mia candidatura a sindaco, non mi ha parlato per un mese quando mi sono candidato. Qualche sera fa mi ha telefonato e mi ha detto: ‘papà devi andare avanti'”.

Evasioni con lima e lenzuola, arrestati 5 agenti della penitenziaria corrotti

di Corriere della Sera

Martedì mattina all’alba sono stati arrestati cinque agenti della polizia penitenziaria di Varese, accusati di aver favorito un’evasione nel 2011. Due sono stati raggiunti a Bollate. Gli arresti arrivano con ordinanza di custodia cautelare: gli agenti, in cambio di soldi e favorirono la fuga di tre detenuti avvenuta il 21 febbraio 2013: Mikea Victor Sorin, 29 anni, che stava scontando una condanna definitiva per sfruttamento della prostituzione e sarebbe tornato in libertà a giugno, Daniel Parpalia e Marius Georgie Bunoro, 28 e 23 anni, che erano ancora in attesa di giudizio per furto aggravato. Erano nella stessa cella e insieme avrebbero pianificato la fuga con lima e lenzuola, come in un film. Segarono le sbarre di un bagno e nel cortile fecero una torretta con i cassonetti della carta, scavalcando il muro di cinta con delle lenzuola. Furono fermati poche ore dopo.

Le indagini coordinate dal pubblico ministero Annalisa Palomba, hanno confermato i sospetti di un favoreggiamento dall’interno. Una donna, durante i colloqui, riuscì a far entrare una lima nascosta in una cintura e addirittura un cellulare che aveva occultato nella vagina. Gli arresti sono stati effettuati dai carabinieri del nucleo operativo radiomobile di Luino e Varese, dalla polizia penitenziaria, dalla polizia di Stato e dalla guardia di finanza. Effettuate nove perquisizioni sempre a carico di appartenenti alla polizia penitenziaria. Alcuni agenti sono stati prelevati nel carcere di Varese, dove erano stati messi di turno questa notte in vista dell’operazione.

Scala, scontri alla prima: carabinieri e manifestanti feriti. Ma il Fidelio ha convinto tutti

di Repubblica

Milano blindata, ma lo schieramento di uomini non ha fermato la protesta: cariche e lanci di uova, sassi e bengala. Sequestrata una molotov. Franceschini: “Le proteste sono un danno economico”

Volevano la piazza, nel giorno della prima (applauditissima) del Fidelio alla Scala, e se ne sono presi un pezzo. Volevano i riflettori, i taccuini e le telecamere, un obiettivo cui urlare rabbia e un obiettivo contro cui scaricare quello che si erano portati dietro. Uova, pomodori, zucchine, pietre, molti fumogeni e anche molto colorati. La molotov no, non sono riusciti a fabbricarla per tempo: una bottiglia di birra, piena di liquido infiammabile e con lo stoppino già inserito, finisce a terra prima di essere lanciata e nelle mani dei funzionari della Digos. Ma il resto c’è stato tutto, nel cuore di una Milano che non ha avuto fra i suoi spettatori né il presidente Giorgio Napolitano né il premier Matteo Renzi.

Gli scontri nel cuore della città. Le cariche in via Santa Margherita e sotto Palazzo Marino, le trattative per liberare la piazza e il corteo attraverso la Galleria con giro sotto il Duomo prima di sfilare via nel metrò, non senza aver lasciato un segno sulle telecamere. «Manifestazioni di protesta violenta inaccettabili — dirà il prefetto Francesco Paolo TroncaLa legalità non è negoziabile». Era il Sant’Ambrogio della protesta, e così è stato, nonostante i 750 uomini — tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e vigili del fuoco, a presidiare la Scala, dietro e davanti alle transenne. Tre contusi fra i manifestanti, due tra i carabinieri, nessun arresto. Ma le cifre finali, stavolta, raccontano pochissimo. “Diamo sempre il peggio di noi al mondo”, ha commentato il presidente della Lombardia, Roberto Maroni, ex ministro dell’Interno. “La prima della Scala è uno spettacolo unico e riusciamo a rovinare anche questo”. E la conseguenza può essere “un danno di immagine e anche economico” secondo il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, perché “centinaia di migliaia di persone stanno decidendo se venire durante Expo e agli appuntamenti della Scala di mesi”.

Dodici minuti di applausi. Tensione alle stelle fuori dal teatro, dodici minuti di applausi intensi, grida di ‘bravi!’ e salve di fiori sugli interpreti: un successo pieno per il Fidelio di Beethoven riletto dalla regista Deborah Warner. Ma anche il saluto commosso al direttore musicale uscente Daniel Barenboim, a cui al termine del primo atto hanno gridato “grandissimo il maestro” e all’inizio del secondo un “evviva!” suscitando la sua risposta autoironica, “speriamo!”, che ha fatto ridere il pubblico. Approvazione piena per tutti quindi: anche per la compagnia di canto basata sulla voce di Anja Kampe nel ruolo di Leonora/ Fidelio; Klaus Florian Vogt (il marito imprigionato, Florestan); Kwangchul Youn (il capocarceriere Rocco), Mojca Erdmann (sua figlia Marzelline) e Florian Hoffmann (spasimante non ricambiato, Jaquino); Falk Struckmann (Don Pizzarro, governatore della prigione); Peter Mattei (il ministro Don Fernando).

La standing ovation per Barenboim. Beethoven si era ispirato a un alto contenuto morale, alla fede nei valori positivi. A vantaggio di questi ultimi, Warner non trascura gli altri contrasti emergenti: prigione e libertà, ingiustizia e giustizia, sofferenza e felicità. Soprattutto, buio e luce. Che con il lavoro creativo di Jean Kalman danno un’impronta decisiva allo spettacolo. Nella sua rivisitazione la prigione, in un dramma dai contenuti universali, diventa una vecchia struttura industriale abbandonata, che fa da scena fissa allo spettacolo. Alte pareti, cemento a vista, bidoni, vecchi macchinari impolverati. Qui Rocco e la figlia Marzelline (calze scure, minigonna e felpa rosa) vivono anche la loro vita domestica, fra tavolini e scartoffie, lenzuola stese ad asciugare, l’asse da stiro usato dalla ragazza; in un angolo, un secchio e il mocio per pulire a terra. E’ qui che lavora anche Fidelio, suscitando l’amore di Marzelline (e un bacio rubato) e la gelosia di Jaquino: straordinario il quartetto a cui i personaggi danno vita. Il sipario si chiude, il pubblico applaude, standing ovation per Barenboim e l’orchestra.

In platea Lagarde e Grasso. Tornando alle proteste, il sindaco Giuliano Pisapia ha spiegato che sono legittime fino a che non diventano violente e ha pregato i giornalisti di evitare allarmismi in una “situazione delicata”. Il presidente Napolitano gli aveva scritto per spiegare che sono stati motivi “generali e personali” a tenerlo lontano dalla Scala. La speranza di Pisapia è di poterlo ospitare per la prima dell’anno prossimo che sarà con Giovanna d’Arco di Verdi. “Tutti sappiamo quello che sta soffrendo il presidente Napolitano – ha aggiunto – ma è importante che continui nel suo impegno per il nostro Paese”. Nel palco reale c’era però la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato, Pietro Grasso, oltre a Franceschini (fra i rappresentanti del governo anche il sottosegretario Ivan Scalfarotto). Ma la persona forse più potente in sala era la direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde (probabilmente anche la più elegante), invitata in platea dal presidente della Bocconi ed ex premier Mario Monti.

Pereira:”La Scala come la Ferrari”. “Le proteste ci sono sempre state” ha ricordato il sovrintendente Alexander Pereira, spiegando che i soldi guadagnati con la prima (biglietti in platea a 2mila 400 euro) serviranno per progetti importanti come il finanziamento dell’accademia o gli eventi per i bambini e per i giovani. E comunque dopo la Ferrari “la Scala è il brand italiano più conosciuto al mondo e va sostenuta” anche in Europa.

Svolta nel giallo sulla scomparsa di Denise. Aperta una nuova inchiesta per omicidio

di La Stampa

Mentre a Palermo si svolge il processo d’appello sulla scomparsa della piccola Denise Pipitone – in cui la sorellastra Jessica è imputata per concorso in sequestro di persona, dopo l’assoluzione in primo grado -, la procura di Marsala apre un’inchiesta per omicidio. La svolta arriva all’indomani della deposizione in aula di uno dei periti incaricati di trascrivere il contenuto della mole di intercettazioni ambientali.

Il fascicolo finora è contro ignoti, dice il procuratore capo Alberto Di Pisa, che oltre alla trascrizione ha chiesto il file audio in cui, l’11 ottobre 2004, parlando con la sorella minore Alice in casa della madre Anna Corona, Jessica bisbiglierebbe: «Eramu n’casa a mamma l’ha uccisa a Denise» (Eravamo a casa, la mamma ha ucciso Denise), intimando ad Alice di mantenere segreta la notizia.

Il perito Massimo Mendolìa non ha dubbi che la frase sia proprio questa, come ha detto ieri ai giudici della terza sezione della Corte d’appello di Palermo, presidente da Raimondo Lo Forti. A difendere Jessica, ora ventisettenne, sono gli avvocati Gioacchino Sbacchi e Fabrizio Torre, che contestano le conclusioni della perizia, affermando che la frase non né chiara né ben udibile.

Anna Corona – ex moglie di Piero Pulizzi, padre naturale di Denise – chiamata in causa nell’intercettazione, era stata indagata per concorso in sequestro di minore, insieme ad altri, nel processo di primo grado; la sua posizione era poi stata archiviata su richiesta della procura. «È terribile tutta questa vicenda – scrive su facebook Maria Angioni, uno dei primi pm della Procura di Marsala a indagare sulla scomparsa – troppi tasselli tutt’ora non quadrano. Si deciderà ora a parlare qualcuno?».

L’avvocato Giacomo Frazzitta, legale di parte civile, stigmatizza la diffusione della notizia: «Anche se il fascicolo è contro ignoti, è come mettere sull’avviso gli interessati». Sulla frase choc che a oltre dieci anni dalla scomparsa può cambiare le carte in tavola, Frazzitta dice che «allo stato può soltanto essere valutata come ulteriore conferma del coinvolgimento dell’imputata nel sequestro di Denise, che per l’accusa era già stato confermato dalla frase `Quannu eru cu Alice a casa c’ha purtà´ (Quando ero con Alice, a casa l’ha portata)», anche questa pronunciata da Jessica l’11 settembre 2004, in commissariato, a Mazara del Vallo, mentre attendeva di essere interrogata.

Le intercettazioni sono state il motore dell’inchiesta sin dal suo avvio. «Abbiamo raccolto una mole di dati – affermò il consulente della Procura Gioacchino Genchi durante il processo di primo grado a Marsala – che, a mia memoria, non ha precedenti nella storia giudiziaria internazionale. Dodici milioni di contatti telefonici intercettati e acquisizione delle mappe Bts (stazioni radio base)». Ciò nonostante, poche certezze, sempre a un passo dalla verità, ma alla fine in mano solo indizi, non prove certe e inconfutabili. Stavolta, però, la frase intercettata potrebbe rivelarsi decisiva. Ma l’inattesa svolta toglie speranze a Piera Maggio, la mamma di Denise, che si è chiusa nel silenzio.

«L’auto della madre a 50 metri dalla strada del delitto di Loris»

di Corriere

SANTA CROCE CAMERINA (Ragusa) – Sono le 9:27:08 di sabato scorso. La Polo nera di Veronica Panarello finisce nelle immagini del distributore Erg sulla strada comunale 35 che da Santa Croce Camerina conduce a Punta Secca. Guardando quelle immagini gli investigatori scrivono: «Si nota transitare l’autovettura riconducibile alla Volkswagen Polo della Panarello che, proseguendo per quella strada comunale, a distanza di qualche minuto, arriverà a completare il curvone sulla sinistra, scomparendo dal campo visivo della telecamera». «Va fatto rilevare – annotano polizia e carabinieri – che a circa 50 metri dal termine del sopracitato curvone, vi è l’ingresso della strada poderale che conduce al Mulino Vecchio». Nessuna telecamera vede la Polo prendere quella strada. Ma c’è un’ultima immagine, registrata dal sistema di un’azienda privata che si trova proprio sulla strada del Mulino Vecchio: l’orario è compatibile e vi si vede «un’autovettura di colore scuro che, senza minimamente rallentare la marcia, prosegue in direzione della strada» che si inoltra nella campagna.

Poche ore più tardi, proprio al Mulino Vecchio, in un canale nascosto da un canneto sarà ritrovato il corpo senza vita di Loris Andrea Stival, il figlio di Veronica. Aveva 8 anni ed è stato strangolato e buttato laggiù.
La svolta arriva alle nove e mezzo di ieri sera. Poco prima l’ennesimo vertice in Procura e le conclusioni di sette giorni di inchiesta raccolte in una informativa firmata da polizia e carabinieri. Sono pagine che accusano lei, Veronica. Ci sono i filmati che raccontano un’altra verità. E dicono, per esempio, che la macchina di Veronica, quella mattina, non è mai passata davanti alla scuola del bimbo. Lei giura da sette giorni di averlo portato vicino all’ingresso dell’istituto. E invece gli occhi elettronici della zona rivelano che lei da quelle parti non è passata affatto nei minuti in cui dice di averlo fatto.

La storia raccontata dall’informativa comincia alle 8.32 quando si vede lei con i due bambini uscire di casa. Loris a un certo punto rientra, la madre riparte da sola con l’altro figlio in direzione della ludoteca e poi torna indietro. Neppure si avvicina al plesso scolastico del primogenito. E alle 8.49 rientra a casa. Trascorrono 36 minuti, e alle 9.25 circa esce di nuovo. Dopo due minuti, un lasso di tempo compatibile con il tratto di strada da percorrere, la sua auto viene ripresa a una cinquantina di metri dal viottolo del mulino. Eppure la sua direzione era un’altra, il castello di Donnafugata dove poi in effetti partecipa a un corso di cucina.

Una testimone fissa il suo ingresso nella sala alle 9.55. Avrebbe impiegato quindi 30 minuti. Per un simile tragitto ne servirebbero tra i 15 e i 20, ad un’andatura normale, come hanno verificato gli stessi investigatori: «È possibile fare qualsiasi cosa in un lasso di tempo così piccolo? E come si calcolano tutte le variabili di un qualsiasi percorso in auto?», ribatte l’avvocato della donna, Francesco Villardita, che a proposito dei video che smentirebbero la sua assistita ha sempre detto che «prima di parlarne bisognerebbe almeno averli visti». E al momento li hanno visti solo gli inquirenti.

Ieri, inoltre, si è appreso che Loris sarebbe stato ancora vivo quando è stato gettato nel canalone: «Gli accertamenti ci suggeriscono che probabilmente non era clinicamente morto» ha rivelato al Corriere una fonte investigativa qualificata. Infine, l’arma del delitto, forse individuata. Si tratta di una fascetta di plastica. Potrebbe essere compatibile con i segni rinvenuti sul collo del bambino. E altri segni, ai polsi di Loris, sono emersi dagli esami medico-legali: non è escluso siano stati procurati da fascette simili a quella utilizzata per strangolarlo. Stringhe di questo tipo erano a casa di Loris. È stata sua madre a tirarle fuori e a consegnarle alle maestre che, lunedì, erano andate a trovarla per porgere le condoglianze.