CATTURATI BARTOLOMEO GAGLIANI E PIETRO ESPOSITO: Fuga finita per il serial killer e l’ex camorrista

1387549395-0-catturato-il-serial-killer-evaso-da-genova-e-il-camorrista-in-fuga-da-pescaradi Grazia De Marco

E’ durata due giorni la fuga di Bartolomeo Gagliano e Pietro Esposito, due soggetti pericolosissimi   che avevano approfittato dei loro permessi premio per far perdere le loro tracce. Il primo a fuggire, lo scorso 18 Dicembre, dal carcere di Marazzi, a Genova, è stato il serial killer Bartolomeo Gagliano, catturato in Francia. Rintracciato lo stesso giorno anche l’ex camorrista e collaboratore di giustizia Pietro Esposito, che non era rientrato nel carcere di Pescara allo scadere delle otto ore, concesse dal Giudice di Sorveglianza per andare a trovare la madre.

Bartolomeo Gagliano, 55 anni, è ritenuto responsabile di ben tre omicidi, avvenuti tra il 1981 e il 1989. La prima ad essere stata uccisa dall’uomo fu Paolina Fedi, una prostituta di 23 anni, uccisa con dei colpi alla testa in un’area di servizio dell’autostrada A10 Genova-Savona. Per questo omicidio il serial killer fu condannato a otto anni di manicomio criminale a Mantelupo Fiorentino, dal quale, però, evase nel 1989. Una volta libero, assassinò un transessuale uruguayano, Nahir Fernandez Rodriguez, un travestito, Francesco Panizzi e tentò di uccidere un’altra prostituta,  che però riuscì a sopravvivere. Nel corso degli anni ’90 Gagliano alternò evasioni, nuovi arresti e reati, ma uscì definitivamente dal sistema degli ospedali psichiatrici nei primi anni del 2000, per un miglioramento delle sue condizioni di salute mentale. Secondo la ricostruzione Gagliano, verso le sei del mattino di mercoledì, si sarebbe avvicinato a un uomo che stava facendo consegne per il panificio in cui lavora e, minacciandolo con una pistola, lo avrebbe costretto a risalire in auto per farsi accompagnare a Genova e proseguire la sua fuga da solo.

Per ritrovare Gagliano gli investigatori hanno utilizzato il “modello Calevo”, ovvero un mix di intelligence ed elicotteri, per sorvegliare strade ed autostrade.                                  Dopo giorni di ricerche, con grande gioia, lo scorso 20 Dicembre il Ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, ha  annunciato che il pericoloso serial killer è stato fermato dagli uomini della Gendarmerie francese per le strade di Mentone, in Francia. La polizia italiana ha invece trovato e arrestato a Forlì Pietro Esposito, fedelissimo del clan De Lucia e stretto alleato dei Di Lauro, che era in carcere per la condanna definitiva a causa di una sua precedente evasione.

Il pentito era stato condannato a sei anni e 4 mesi di reclusione, già scontati, perché colpevole di due omicidi, tra cui quello della 23enne Gelsomina Verde, torturata ed uccisa nel 2004, poiché legata ad un elemento degli scissionisti. Esposito attirò in trappola la ragazza per portarla da Ugo De Lucia, killer del clan Di Lauro, che la seviziò per indurla a rivelare il nascondiglio dello scissionista Enzo Notturno. Gelsomina, però, non fu in grado di fornire notizie e per questo fu uccisa con tre colpi di pistola e bruciata nella sua auto.  A Esposito fu inflitta una pena  di sette anni e quattro mesi di reclusione in primo grado, poi ridotta a sei anni e nel frattempo diventò anche collaboratore di giustizia, aiutando gli inquirenti ad individuare gli altri responsabili dell’omicidio e a far scattare l’ordinanza di custodia nei confronti del boss Paolo Di Lauro.

Queste due evasioni hanno scatenato numerose polemiche, riguardanti soprattutto i permessi premio che, secondo alcuni, vengono concessi con troppa facilità dai magistrati di sorveglianza. Ma la legge  al riguardo è molto chiara: le norme sull’ordinamento penitenziario (art. 30 ter L. 26 Luglio 1975, n.354), infatti, consentono, ai condannati che hanno tenuto regolare condotta e non risultano particolarmente pericolosi, di richiedere un permesso premio ogni 15 giorni, per poter coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro. I permessi premio sono inoltre ritenuti fondamentale passaggio per il trattamento educativo attraverso il quale si realizza il principio di rieducazione della pena, sancito dall’art 27 della Costituzione.

LUCA TANZI:Un poliziotto morto per essere al servizio di tutti

20131119_ponte-luca-tanzi-21di Grazia De Marco

L’alluvione che ha devastato la Sardegna ha certamente cambiato il destino di molte persone, le quali stanno ora tentando con coraggio e grande forza di volontà di ridare un senso ad una vita che, sicuramente, non sarà più la stessa.

Tra le tante storie che sono state raccontate dai media, ha molto colpito e commosso quella del 44 enne Luca Tanzi, Assistente Capo della Polizia di Stato, morto nel tentativo di prestare soccorso nella sua martoriata regione.

L’Agente, nato  a Urzulei, un piccolo paesino dell’Ogliastra,  era entrato in Polizia circa 15 anni fa ed aveva trascorso molti anni alla Questura di Nuoro: prima alle volanti, poi all’ufficio informatico e, infine, nella Squadriglia Catturandi. L’assistente Capo era fiero ed orgoglioso di essere entrato a far parte di questo corpo definito d’“elite”, proprio perché formato da personale esperto e specializzato, capace di trascorrere molti giorni tra boschi e sentieri impervi. Questi tre anni trascorsi nella Squadriglia gli avevano riservato anche grandi soddisfazioni, come l’arresto, nell’Aprile del 2011, di Angelo Balzano, latitante accusato di aver ucciso con tre colpi di pistola il meccanico Angelo Cannas.

Anche Lunedì 18 Novembre Luca era a lavoro come ogni giorno, ma non potendo camminare tra i sentieri della Barbagia per dare la caccia ai latitanti, a causa del maltempo, aveva comunque deciso di rendersi utile e di aiutare più gente possibile, viste le difficili condizioni che stava vivendo la sua amata regione e, per questo motivo, insieme ad alcuni suoi colleghi ha cominciato a pattugliare le vie di Nuoro e della Provincia. Alle 19.50, Luca ha avvisato il suo responsabile, l’Ispettore Capo Galistu, per informarlo che, insieme all’Assistente Mirko Pellino ed agli Agenti Scelti Gavino Virdis e Gavino Chighine, stava facendo da battistrada ad un’ambulanza con a bordo due persone, sulla provinciale 46, in direzione dell’ospedale di Nuoro, per evitare che potessero avere incidenti o uscire fuori strada.

All’improvviso il ponte sul fiume Cedrino, che la pattuglia stava attraversando, ha ceduto, inghiottendo in una voragine l’auto con a bordo Luca e i suoi colleghi. Un impatto fatale per Tanzi, per il quale purtroppo non c’è  stato nulla da fare e per i suoi compagni di lavoro, rimasti comunque gravemente feriti. I funerali si sono svolti a Nuoro lo scorso 21 Novembre, nella chiesa del S. Cuore, gremita di gente accorsa per dare l’ultimo saluto ad un poliziotto e, soprattutto, ad un uomo e un padre straordinario. Erano tanti i colleghi presenti, oltre a tutti i Questori dell’isola, al Presidente della Regione e al Capo della Polizia Alessandro Pansa, il quale è intervenuto durante la funzione, dicendo: “ oggi piangiamo un uomo, un appartenente alla Polizia di Stato, che con dedizione, grande coraggio e sprezzo del pericolo si è messo a disposizione di tutti e soprattutto della sua terra, perché era un poliziotto che rivendicava la sua appartenenza al territorio”.

Luca lascia sua moglie, Annalisa Lai e i suoi due figli, Daniele e Francesco, di 11 e 7 anni, che sul feretro del loro papà hanno voluto poggiare i suoi guanti da portiere,  il suo cappello ed i gradi, ovvero i simboli delle due più grandi passioni di Luca, il calcio e la Polizia. Nessuno potrà sicuramente restituire quest’uomo esemplare ai suoi cari, ma nel nostro piccolo possiamo prendere comunque esempio da lui, che ha messo da parte la propria paura senza esitazione, per aiutare la gente della sua terra, disperata  e straziata per aver perso in un attimo quello che avevano costruito con i sacrifici di una vita.

SMART DRUGS – LE NUOVE DROGHE

smart-drugs-001di Grazia De Marco

Alla presentazione del nuovo piano di azione contro le nuove sostanze psicoattive (Nsp), il sistema nazionale di allerta precoce per le droghe, del Dipartimento politiche anti-droga, ha rilevato ben 280 nuove sostanze psicoattive circolanti nel territorio italiano e 70 casi di intossicazione acuta correlati alla loro assunzione. Queste nuove sostanze tossiche, che vengono spesso utilizzate in alternativa alle droghe tradizionali,  sono chiamate “Smart Drugs” o anche  “droghe furbe” (perché non perseguibili dalla legge) e possono essere di natura sintetica o vegetale.

Il mercato di queste nuove “droghe furbe” utilizza soprattutto internet, sia per la pubblicizzazione delle molteplici offerte, che per la raccolta degli ordinativi e pagamenti mediante credito elettronico, approfittando dei normali corrieri postali per il loro invio a domicilio.  Esiste, infatti, un vero e proprio universo parallelo, in cui i cibernauti si scambiano le informazioni riguardanti le varie sostanze, i metodi di ricerca di erbe e semi e delle diverse modalità di preparazione (dosaggi, modi di assunzione, ecc.).

L’E- commerce permette inoltre di reperire anche una vasta gamma di prodotti che comprendono sia le smart drugs di origine vegetale, venduti a prezzi concorrenziali, sia alcuni prodotti di sintesi (fenitelamine, benzilpiperazine e derivati della triptomina).  Esistono  poi  dei veri e propri smart-shop, ovvero  negozi presenti sia in Italia che in diverse nazioni europee, specializzati nella vendita di particolari prodotti erboristici di diversa origine e formulazione, di articoli destinati alla coltivazioni di piante e  di diverse tipologie di accessori, per ottimizzare l’effetto derivato dall’assunzione di sostanze fumabili (cartine, filtri,          pipe, ecc.). I prodotti commercializzati in questi smart-shop  si suddividono principalmente in base al fatto di essere pronti o meno all’uso. Tra i primi troviamo una gamma pressoché infinita di gocce, bevande, pillole,  mentre tra i secondi troviamo preparati, decotti e infusi.

I frequentatori di questi smart-shop appartengono a varie categorie sociali: studenti che ricercano in questi negozi son stimolanti celebrali dal basso profilo tossicologico, per la preparazione agli esami, adulti tra i 40 e i 60 anni che ricercano sostanze dalle proprietà simil-viagra e giovanissimi che provano queste sostanze per semplice curiosità.  Le “smart-drugs” più diffuse sono quelle a base di efedrina, caffeina, taurina e quelle con caratteristiche allucinogene, poiché  promettono di aumentare le potenzialità celebrali, la capacità di apprendimento, di migliorare le performance fisiche e di fornire effetti psichedelici, con visioni sensoriali e allucinogene.  La maggior parte delle “smart drugs” sono sostanze vegetali stimolanti, fondamentalmente divise in: prodotti caffeinici, prodotti efedrinici, afrodisiaci (Damiana) e eco-drugs (semi hawaiani e messicani, khanna, assenzio).

Sono rilevanti, inoltre,  le problematiche psichiatriche e fisiche correlate all’uso di queste sostanze, aggravate dal contemporaneo uso di alcool e altre droghe, come ha affermato anche il Ministro Lorenzin, la quale ha dichiarato “ sono enormi e devastanti gli effetti delle nuove droghe  sui  giovani, è una priorità per il Paese vigilare sulla loro salute, affinchè possano vivere un futuro senza pesi”. Alcune di queste sostanze, come la cannabis sintetica, il metilone, il khat e la Ketamina causano tachicardia, difficoltà respiratorie, edemi polmonari, convulsioni e psicosi, mentre altre come le fenetilamine, le piperatine e la fenciclidina causano insufficienze epatiche e renali, gravi allucinazioni e comportamenti violenti.

Per cercare di diffondere nuove strategie nazionali e fermare questo fenomeno in rapida evoluzione, il Ministero della Salute e il Dpa hanno messo a punto un nuovo Piano di Azione Nazionale (Nsp), che ha avuto il patrocinio delle nazioni unite e di dieci società scientifiche e che sarà presentato in dieci città italiane.

OMICIDIO-SUICIDIO A BERGAMO: Mamma uccide figlioletta e si toglie la vita

resizerdi Grazia De Marco

Lo scorso 20 Aprile, a Bergamo, si è consumata l’ennesima tragedia familiare, una di quelle di cui non vorremmo mai sentire parlare, perché, troppo spesso, coinvolgono  piccole vittime        innocenti.  Protagoniste e vittime di questo dramma familiare sono  Alessia Olimpo, dentista di 36 anni e la sua figlioletta di un anno e mezzo, trovate morte nella loro casa di Bergamo, dove vivevano insieme a Alberto Caldaroli, marito e padre delle vittime.

Secondo le prime indiscrezioni, si e sicuramente trattato di un omicidio-suicidio: la donna, in un attimo di follia, avrebbe prima colpito a morte la figlia con un coltello e poi, forse ritrovando la lucidità e rendendosi conto di ciò che aveva fatto, si è tolta la vita, tagliandosi la gola con la stessa          arma.

Ad aver lanciato per primo l’allarme è stato il padre di Caldaroli, che prima ha tentato invano di chiamare Alessia al telefono e poi, verso le 18, preoccupato per non aver ottenuto nessuna risposta alle numerose telefonate, ha chiamato il figlio Alberto, che è immediatamente tornato da un congresso dentistico a cui stava partecipando a Riva Del Garda.   Arrivato al suo appartamento, al quinto piano di un condominio in Viale Giulio Cesare 52, Alberto ha prima suonato alla porta, chiusa a chiave dall’interno, poi ha cercato di chiamare a gran voce la moglie e la figlia e, infine, temendo il peggio, ha chiamato i Vigili Del Fuoco e il   118.

La Polizia e gli uomini del 115, hanno raggiunto una finestra della cameretta della bimba con una scala e sono entrati nell’appartamento, dove hanno rinvenuto i due corpi riversati per terra in un lago di sangue.  Sono stati immediatamente allertati il Sostituto Procuratore Franco Bettini, il Dirigente della Squadra Mobile, Giampaolo Bonafini e i tecnici della Polizia Scientifica, i quali hanno provveduto a “sigillare” l’appartamento per procedere con i rilievi.

Da quel momento l’intero palazzo è rimasto blindato per tutta la notte, per consentire agli inquirenti di mantenere intatta la scena del crimine: nessun estraneo è stato fatto avvicinare e ai residenti non è stato detto nulla. La donna non aveva dato mai evidenziato depressione o disturbi psichici, come hanno affermato anche i vicini, che non riescono a darsi una spiegazione per questo tragico gesto.

OMICIDIO AD AVERSA: ragazzo 15enne muore per una coltellata al cuore

20130408_corteo-emanueledi Grazia De Marco

Ancora un episodio di violenza, che coinvolge minorenni, avvenuto ad Aversa durante il fine settimana. La vittima si chiamava Emanuele di Caterino di 15 anni, morto per una coltellata al cuore, mentre altri quattro suoi giovani amici sono rimasti feriti in maniera non grave nel corso dell’aggressione.   I cinque ragazzi, poco dopo la mezzanotte, si erano radunati nelle adiacenze di un ufficio postale, nei pressi del famoso locale “Le Bistrot” e,  improvvisamente, sono stati aggrediti dal 17enne Agostino V., che è riuscito a ferirli tutti e ad uccidere Emanuele.

Dai primi accertamenti dei Carabinieri, intervenuti sul posto, pare che all’origine dell’omicidio ci sarebbe una banalissima lite tra coetanei, poi degenerata  per questioni che vedrebbero coinvolte alcune ragazze, ma lo scenario è ancora tutto da approfondire. Al momento gli investigatori stanno ancora cercando di ricostruire  l’esatta dinamica dell’accaduto, grazie anche al racconto di due testimoni molto importanti, amici delle vittime, che si trovavano in Via De Chirico quando è scoppiata la rissa.

Gli inquirenti starebbero anche verificando presunti legami di parentela dei cinque giovani coinvolti con pregiudicati del posto, vicini alla malavita organizzata.                                                                                                                               Di Caterino era infatti il nipote di Gaetaneo Iorio, esponente del Clan Schiavone, mentre altri due ragazzi  feriti sono, rispettivamente, nipoti di Michele Zagaria e di Salvatore Nobis, elemento di spicco della fazione facente capo allo stesso Zagaria, ma, al momento, queste parentele non sembrerebbero aver avuto un peso nel movente. L’assassino, che lavorava presso l’azienda agricola del padre e certamente conosceva la vittima, è stato immediatamente arrestato dai Carabinieri, ai quali  ha riferito di “non ricordare nulla”, ma il GIP del Tribunale dei Minorenni di Napoli, Piero Avallone, ha già convalidato il fermo per omicidio volontario, emettendo un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei suoi confronti. Agostino V. si è presentato al Giudice con il volto tumefatto, sostenendo di essersi difeso da un atto di bullismo, tanto che il suo avvocato difensore, Mauro Iodice, ha chiesto di acquisire le immagini di alcune telecamere posizionate ne pressi del locale dove è avvenuta l’aggressione, perché le stesse potrebbero fornire elementi decisivi per ricostruire l’esatta dinamica dei fatti.

Emanuele frequentava la I E del Liceo Scientifico Enrico Fermi ed era da tutti considerato un ragazzo pieno di vita, sempre allegro e con un sorriso da “fare invidia al mondo”.   I compagni di classe e gli amici, che sembrano non darsi pace per la morte del loro compagno, hanno organizzato una fiaccolata per ricordarlo e soprattutto per esprimere tutto il loro dolore e la rabbia che provano nei confronti dell’autore dell’omicidio, che non perdoneranno mai.

E’ MORTO ANTONIO MANGANELLI: Un fedele uomo delle istituzioni che seppe chiedere scusa

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di Grazia De Marco

Non c’è  la fatta Antonio Manganelli, uno dei più amati Capi della Polizia, ricoverato d’urgenza lo scorso 24 Febbraio all’ospedale San Giovanni di Roma, combatteva da due anni contro un tumore ai polmoni.  Manganelli  è stato operato per un edema celebrale ed era in come farmacologico, ma poi non è riuscito a superare le complicazioni per un’infezione respiratoria. A piangere il Capo della Polizia scomparso sono le Istituzioni dello Stato, ma anche la gente comune e 110 mila poliziotti che lo hanno sostenuto e incoraggiato in ogni momento della sua lotta contro il male fisico.

Dagli anni ’70 Manganelli ha operato costantemente nel campo delle investigazioni acquisendo particolare esperienza e preparazione tecnica nel settore dei sequestri di persona a scopo di estorsione prima ed in quello antimafia poi, lavorando al fianco dei più valorosi magistrati, tra cui Giovanni  Falcone e Paolo Borsellino e di organi giudiziari investigativi Europei ed extraeuropei come l’FBI Americana  e il BKA Tedesco, i quali lo hanno considerato negli anni un solido punto di riferimento.

Nato 62 anni fa ad Avellino, Manganelli si è laureato in giurisprudenza a Napoli e si è specializzato in criminologia clinica a Modena e dagli anni ’70-’80.  Dopo l’ingresso in Polizia ha percorso una carriera in continua ascesa, che lo ha visto  impegnato anche come Direttore dello S.C.O  (Servizio Centrale  Operativo), Direttore del servizio centrale di protezione dei collaboratori di giustizia, Questore di Palermo e di Napoli, Direttore centrale della Polizia Criminale,Vicedirettore Generale della Pubblica Sicurezza e  Vicecapo della Polizia.  Il 25 Giugno 2007 è diventato Capo della Polizia, prendendo il posto del Prefetto Gianni De Gennaro,  con il quale è sempre stato legatissimo, uniti nella passione investigativa, che ha segnato, negli ultimi 20 anni, un solco nel contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo.

Manganelli era un convinto assertore della “sicurezza partecipata”, con il coinvolgimento dei giovani, delle scuole, delle agenzie educative, del Sindaco, delle Associazioni di volontariato e dei cittadini. Amava la Polizia fatta di persone perbene, che lavorano più di quanto sarebbe loro richiesto, producendo risultati tutti i giorni, in sinergia con tutte le Forze dell’Ordine, ma non mancava di vedere le criticità e per questo è stato anche disposto a riconoscerne gli errori, quando ha incontrato i genitori del 18 enne Federico Aldrovrandi, ucciso durante un controllo di polizia a Ferrara nel 2005 e, 11 anni dopo l’irruzione alla Diaz, all’indomani de verdetto della Cassazione, che confermava le condanne d’appello per falso, nei confronti della catena di comando all’epoca de G8 di Genova. In quell’occasione ammise: questo è “il momento delle scuse”, scuse dovute ai cittadini, che hanno subito danni e anche a quelli che, avendo fiducia nella Polizia, l’hanno vista in difficoltà, per qualche comportamento errato ed esigono sempre maggiore professionalità  ed  efficienza.

Antonio Manganelli è stato prima un valente investigatore, poi un lungimirante, appassionato, generoso ed efficiente Capo della Polizia, qualità che hanno fatto di lui un leader ed è per questo che oggi, dai suoi più stretti collaboratori, fino all’ultimo agente lo piangono con immenso dolore.

ORRORE A CASTEL VOLTURNO: I resti di due donne ritrovati in un’intercapedine

di Grazia De Marco

Un nuovo caso di cronaca con un finale raccapricciante: gli scheletri di Elisabetta Grande e Maria Belmonte, scomparse nel 2004, sono stati ritrovati senza vita nella loro villa di Via Palizzi 71 a Baia Verde di Castel Volturno.  I loro resti erano nascosti  in un’intercapedine creata tra il garage della villetta e il pavimento. A scoprirli, grazie all’utilizzo di un georadar, sono stati gli agenti del Servizio Centrale Operativo della Squadra Mobile di Caserta e del locale Commissariato, coordinati dal sostituto Procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, Silvio Guarriello e dal Procuratore aggiunto Luigi Gay.

Le due donne vivevano con Domenico Belmonte, 72 anni, marito di Elisabetta e padre di Maria. Proprio su di lui si è concentrata da subito l’attenzione degli inquirenti, i quali, dopo la terribile scoperta, lo hanno condotto al Commissariato di Castel Volturno, sottoponendolo a fermo di P.G., con l’accusa di: omicidio, sequestro di persona e occultamento di cadavere. Belmonte, ex Direttore Sanitario nel carcere di Poggioreale, non aveva mai denunciato la scomparsa delle due donne, avvenuta il 18 luglio di otto anni fa.

L’uomo ha sempre sostenuto che la moglie e la figlia si erano allontanate volontariamente, ma il conto corrente di Elisabetta era rimasto intatto, con la pensione che si è accumulata fino a raggiungere la somma di 145 mila euro e l’auto della donna, una Citroen di colore verde, è sempre rimasta parcheggiata nel cortile di casa. Tutto sembrava essersi fermato a quel luglio di 8 anni fa, fino a quando, nell’Agosto scorso, il fratello di Elisabetta, Lorenzo Grande, ha sporto denuncia facendo scattare l’allarme.

La famiglia Belmonte si era trasferita nella villa di Baia Verde circa 20 anni fa e lì Elisabetta, insegnante in pensione originaria di Catanzaro e la figlia, avevano tentato di avviare un’attività commerciale poi fallita. L’ex direttore sanitario Belmonte, invece, era già finito nell’occhio del ciclone negli anni ’90, per i casi di malasanità che coinvolsero il carcere di Poggioreale, vicenda questa che lo aveva portato ad uno stato di forte depressione. Potrebbe essere proprio questo stato di malessere ad aver innescato la furia omicida di Domenico?

L’uomo viveva in condizioni igieniche precarie, si dedicava solo al suo giardino, non parla con nessuno e trascorre molto del suo tempo a leggere, anche libri di psichiatria. Quando gli inquirenti sono entrati nella villetta, hanno trovato su un tavolo un libro dal titolo “Liberaci dal Male”, aperto al capitolo riguardante proprio la depressione.   I corpi delle due donne non presentano segni di violenza e sono stati trasferiti all’Istituto di medicina legale di Caserta per ulteriori accertamenti.

Sospettato di aver avuto un ruolo nel duplice omicidio ed occultamento di cadaveri è anche l’ex marito di Maria Belmonte, Salvatore Di Maiolo, il quale è stato iscritto nel registro degli indagati.

 

MILANO LE INDAGINI SUL DUPLICE OMICIDIO DI VIA MURATORI PUNTANO SUL TRAFFICO DI DROGA

di Grazia De Marco

Sembrerebbe un’esecuzione in piena regola quella in cui sono rimasti uccisi, lo scorso 10 settembre a Milano, l’imprenditore di 43 anni Massimiliano Spelta e sua moglie Carolina Ortiz di 21 anni, con modalità ed efferatezza simili a quelli adottati dalla criminalità organizzata del narcotraffico.

Gli assassini sarebbero stati almeno quattro, tutti di nazionalità italiana, i quali hanno sorpreso la coppia in via Muratori, mentre si recava probabilmente al ristorante, insieme alla piccola figlioletta, rimasta miracolosamente illesa. Il killer sarebbe sceso da uno scooterone guidato da un complice ed avrebbe sparato 2 colpi di revolver cal. 38 special alla schiena ed alla base della nuca della donna e, successivamente, avrebbe colpito, con altri 4 colpi, Massimiliano Spelta, mentre questi tentava di fuggire, uccidendolo sul colpo.

In considerazione delle modalità dell’omicidio, inizialmente è stato ipotizzato un coinvolgimento della Camorra legata al narcotraffico, successivamente smentito. Tra le varie ipotesi prese in considerazione dagli inquirenti, quella maggiormente accreditata sembrerebbe condurre al traffico di stupefacenti. In effetti, nell’abitazione della coppia, in via Mecenate, sono stati rinvenuti 47 grammi di cocaina, pura al 60% e 3 mila euro in contanti che, tuttavia, non sembrano sufficienti a giustificare un omicidio così efferato.

Forse i due coniugi sono stati giustiziati per una partita di droga non pagata, o per uno sgarro nei confronti di qualche personaggio che conta nell’ambiente criminale, oppure perché avevano intenzione di mettersi in proprio. E’ stato accertato che i due conducevano una vita sicuramente al di sopra delle proprie possibilità finanziarie. Massimiliano Spelta, infatti, ex titolare, unitamente alla sorella, della ditta farmaceutica specializzata in integratori, Dietetics Pharma, dopo il fallimento volontario e la cessione dell’azienda, non svolgeva alcuna attività lavorativa e risultava percepire unicamente i soldi della cassa integrazione, come evidenziato dagli accertamenti effettuati sul suo conto corrente bancario.

Probabilmente, Spelta, a seguito dei debiti accumulati dopo il tracollo finanziario, aveva incominciato a frequentare persone poco raccomandabili ed un organizzazione criminale dedita al narcotraffico, per la quale svolgeva l’attività di corriere di cocaina tra Santo Domingo e Milano. In effetti l’ipotesi potrebbe trovare riscontro nei frequenti viaggi che la vittima effettuava tra il capoluogo lombardo e la località caraibica, della quale, comunque, era un appassionato estimatore. Nei numerosi viaggi effettuati, lo Spelta era peraltro costantemente accompagnato da un suo amico, verosimilmente consumatore abituale di cocaina, attualmente interrogato dagli inquirenti, che lo considerano una figura chiave delle indagini.

Il Prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi, nel corso di un’intervista, ha escluso collegamenti con la criminalità organizzata, parlando di un fatto isolato maturato in un contesto che riguarda il traffico di stupefacenti e le indagini procedono in questo senso. Proprio il giorno dopo l’omicidio di Massimiliano Spelta e Carolina Ortiz, tuttavia, la DDA di Milano ha coordinato l’operazione “Ulisse”, che ha portato in carcere 37 personaggi, tutti accusati di associazione a delinquere di tipo mafioso, porto e detenzione illegale di armi, usura ed estorsione, appartenenti ad una rete militare della ‘ndrangheta, attiva tra Monza e Milano, che farebbe ipotizzare che il capoluogo lombardo sarebbe diventato ormai, terra di profondo insediamento della criminalità organizzata, soprattutto calabrese.

SALVATORE PAROLISI: RIPRENDE IL PROCESSO DOPO LA PAUSA ESTIVA

di Grazia De Marco

Il 29 settembre riprenderanno le udienze del processo a Salvatore Parolisi, accusato di omicidio, vilipendio di cadavere e depistaggio delle indagini. Per l’accusa, infatti, il Caporal maggiore dell’esercito, il 18 aprile 2011, avrebbe colpito la moglie con 35 coltellate e l’avrebbe lasciata morire dissanguata nell’ormai noto bosco di Ripe di Civitella. Secondo i PM, inoltre, Parolisi non avrebbe premeditato il delitto, ma avrebbe ucciso Melania Rea perché pressato dalle richieste dell’amante Ludovica Perrone, alla quale avrebbe promesso di raggiungerla pochi giorni dopo per essere presentato ufficialmente ai suoi genitori. Melania Rea, in sostanza, sarebbe stata condotta dal marito nel bosco delle casermette e solo successivamente, forse a seguito di una discussione, sarebbe  scattato il raptus, probabilmente scatenato dalla paura di comunicare la volontà di separarsi o per le conseguenze economiche ed effettive di questo gesto.

Salvatore  Parolisi attende la ripresa del processo rinchiuso in una cella del carcere “Castrogno” di Teramo, in compagnia di un ex carabiniere e passa le sue giornate tra libri e ricordi, preoccupato soprattutto di non poter vedere più la figlia Vittoria, dopo  che la Corte d’Appello di Napoli gli ha sospeso la potestà genitoriale. Il 20 settembre prossimo, peraltro, i periti depositeranno l’esito dei loro studi per rispondere ai quesiti posti del magistrato.

L’entomologo Stefano Vanin ha esaminato le larve e le uova rinvenute sul corpo della vittima, mentre la genetista Sara Gino si è occupata delle tracce di saliva rinvenute sull’arcata dentale della povera Melania. Questi ultimi accertamenti, sarebbero ritenuti cruciali per l’accusa, perché testimonierebbero che il Caporal Maggiore era con la moglie, ma non a Colle San Marco, al momento dell’omicidio. Salvatore Parolisi, infatti, ha sempre sostenuto che quando Melania è scomparsa, dopo essersi allontanata per andare in bagno, lui era con la figlia alle altalene di Colle San Marco, anche se nessuno dei numerosi testimoni ascoltati dagli inquirenti ha mai confermato questa tesi.

Alla ripresa del processo potrebbe esserci, tuttavia, una nuova super testimone, mai ascoltata prima dagli investigatori, che sarebbe in grado di fornire una ricostruzione più scrupolosa dei fatti avvenuti in quel tragico pomeriggio e di confermare la presenza o meno dei coniugi sul pianoro di Colle San Marco nel pomeriggio del 18 aprile.

I difensori di Parolisi sarebbero fiduciosi di veder riconosciuta l’innocenza del loro assistito, infatti, i loro consulenti avrebbero ricostruito, nel dettaglio, ogni singolo minuto trascorso tra la scomparsa della vittima e il rinvenimento del suo cadavere, per offrire al Giudice la prova dell’assoluta innocenza del Caporal Maggiore. Le udienze del processo proseguiranno ogni venerdi, sino a ottobre, quando sarà emessa la sentenza di primo grado. Se Parolisi fosse assolto le indagini dovrebbero ripartire quasi completamente da zero, cercando di delineare nuovi scenari, possibili moventi e presunti colpevoli che chiariscano definitivamente una degli omicidi più inspiegabili degli ultimi anni.

TRAFFICO DI ESSERI UMANI: Il fenomeno e le sue dinamiche

di GRAZIA DE MARCO

Sul piano dell’osservazione criminologica, con l’espressione “traffico di esseri umani” si intende un vero e proprio mercato criminale, che si concretizza con il reclutamento, l’illecito trasferimento e la successiva intro­duzione nel territorio di uno Stato di una o più persone. Tale spostamento viene  pianificato da organizzazioni malavitose  transnazionali che ne controllano tutte le relative fasi: partenza dal Paese d’origine, passaggio dalle aree di confluenza e di transito, fino alla destinazione finale. Con il passare del tempo si sono venute a creare vere e proprie multinazionali dell’illecito, in grado di procurare documenti falsi, rimodulare all’occorrenza le rotte e gli itinerari e corrompere o infiltrare gli Uffici Istituzionali dei Paesi di transito.

 

Le cause che alimentano il fenomeno del “commercio di uomini” sono essenzialmente riconducibili a due categorie: i PUSH FACTORS (fattori di impulso) ed i PULL FACTORS (fattori di attrazione).

Tra i fattori di impulso più comuni ci sono:

–       la scarsa opportunità di  impiego, a cui si aggiungono condizioni di vita molto misere, mancanza di istruzione base e di assistenza sanitaria;

–       crisi politiche ed economiche, per lo più causate da conflitti, catastrofi ambientali ed errata gestione della politica economica. Tutti fattori che portano ad una crescita della disoccupazione ed all’aumento del costo della vita;

–       discriminazioni di tipo sessuale, etniche o di casta, che rendono impossibile la ricerca di un lavoro .

Tra i fattori di attrazione invece quelli più diffusi sembrano essere:

–       migliori salari, condizioni di vita più accettabili e maggiori opportunità di carriera;

–       eccessive aspettative sulle opportunità esistenti negli altri Paesi;

–       minori restrizioni negli spostamenti, migliore libertà di movimento, maggiore facilità ad ottenere passaporti, ecc.;

 

Le vittime di questo commercio illecito sono giovani senza alcuna prospettiva nei luoghi di origine, attratti da false promesse di lavoro, che non conoscono assolutamente né la vera natura della futura occupazione e neppure le condizioni che saranno loro imposte in seguito.                                                                                                                                                                                                        Uno dei sistemi a cui molto spesso ricorrono le organizzazioni criminali per il reclutamento, soprattutto dei  minorenni, è il sequestro. Una volta giunti nei Paesi di destinazione, la maggior parte delle vit­time viene sprovvista di documenti di identità, di risorse finanziarie e di punti di riferimento. I migranti, inoltre, non conoscendo la lingua, sono estremamente vulnerabili e totalmente assoggettati ai loro aguzzini, che li sottopongono ad ogni tipo di violenza e abuso. Essi, peraltro, spesso non nutrono alcuna fiducia nei confronti delle Istituzioni locali, perché sono abituati alla diffusa corruzione esistente nei loro Paesi d’origine ed inoltre temono ritorsioni nei confronti dei loro familiari  rima­sti  in  patria, da parte delle stesse organizzazioni criminali.

Le più diffuse forme di schiavitù sono quelle che riguardano lo sfruttamento sessuale di donne e bambini, il lavoro forzato e la servitù religiosa e domestica, senza dimenticare anche i rapimenti per alimentare il traffico di organi umani.

I Paesi maggiormente interessati da questi traffici sono:

–       l’India, che comunque sta cercando di abbandonare questa pratica ormai consolidata nel tempo e alimentata dalla locale tradizione religiosa (essere schiavo o padrone è una questione di casta), dalla corruzione della politica e, infine, dal  boom demografico, che ha enormemente accresciuto il numero di famiglie in condizioni di estrema povertà. Le piaghe maggiormente diffuse sono la servitù da debito e il traffico di organi, soprattutto di reni;

–       la Thailandia, dove  la  più frequente forma  di  sfruttamento è quello sessuale, infatti le grandi città del sud del Paese sono invase da giovani ragazze, le quali, spinte da false aspettative di vita, giungono invece nei bordelli thailandesi dove sono costrette  a soddisfare i piaceri di molti uomini. Queste donne, inoltre, vengono continuamente picchiate e violentate per evitare ogni forma di ribellione;

–       la Cina, dove la povertà di alcuni Paesi, la politica di pianificazione familiare e le crescenti disuguaglianze sociali hanno alimentato, sia  il traffico delle donne, che quello dei bambini, venduti su internet a coppie sterili, mentre le numerose condanne a morte hanno diffuso il mercato “via web” di organi umani. Comprare su internet, soprattutto cornee, pancreas e reni di un prigioniero giustiziato è ormai diventato uno dei commerci più floridi del Paese orientale.

–       l’Albania e la Romania che, più degli altri Paesi, alimentano il traffico europeo di esseri umani verso il ricco Occidente. In realtà, però, anche altri territori, negli ultimi anni, hanno conosciuto questo fenomeno criminale. Ad esempio il Kosovo, l’Ucraina e la Bielorussia possono ormai essere considerate zone di provenienza, i Paesi dell’ex Jugoslavia zone di transito, mentre il Belgio e le Repubbliche Baltiche zone di destinazione.

 

Anche l’Italia, negli ultimi decenni, ha dovuto fare i conti con questo fenomeno per molteplici ragioni, tra le quali la massiccia immigrazione clandestina, anch’essa gestita da organizzazioni criminali.  Il nostro Paese può essere considerato, sia come meta di destinazione, che come “porta d’ingresso” verso altre località europee, grazie alla sua posizione geografica, all’estensione delle sue coste e alla molteplicità degli approdi sull’intero bacino del Mediterraneo. In Italia le vittime sono soprattutto le donne ed i bambini, sfruttati, rispettivamente, per  fini sessuali e per mendicare.

 

I sodalizi criminali nostrani, tuttavia, non sono abituate a gestire direttamente il traffico di persone, ma preferiscono cederlo in appalto ad altre organizzazioni, come quelle albanesi, nigeriane, magrebine e, soprattutto, cinesi, che operano in maniera costante e silenziosa. Tra gli strumenti adottati dal nostro Paese per combattere il fenomeno, è utile segnalare l’art 18 del T.U. sull’immigrazione (d.lgs 286 del 25 luglio 1998), che rappresenta il primo strumento attraverso il quale il nostro Stato offre        protezione alle vittime delle tratte.