Delitto di Perugia, svolta nell’inchiesta: arrestati l’ex fidanzato di Julia e suo padre

alessndroda ilmessaggero.it

Parola chiave: svolta. Da dizionario: «cambiamento di direzione». Applicata al giallo di via Ettore Ricci, all’omicidio di Alessandro Polizzi stroncato nel letto della fidanzata Julia Tosti quindici giorni fa dal colpo di pistola di un misterioso killer, il concetto assume anche quello per certi versi complementare di «accelerata verso la soluzione». Un vortice di elementi, tessere del puzzle che finalmente sembrano in grado di incastrarsi. Tanto sul fronte degli accertamenti tecnici che su quello delle indagini. Del movente che possa aver portato qualcuno ad ammazzare un ragazzo di ventiquattro anni, in quella che dagli investigatori fin dalle prime ore è stata definita una vera e propria esecuzione.

Andiamo con ordine. Nuovi accertamenti tecnici non ripetibili in materia di balistica e biologia sono stati disposti dalla procura sulle auto di Valerio e Riccardo Menenti, e al casolare di Todi. I due indagati per omicidio e tentato omicidio, l’ex fidanzato di Julia e il papà, che hanno sempre respinto ogni addebito professandosi completamente estranei alla faccenda e innocenti. Gli accertamenti in questione probabilmente sono stati ordinati dalla questura dopo l’arrivo da Roma dei risultati della polizia scientifica sulle impronte digitali isolate e analizzate. Secondo quanto si apprende, sarebbero in programma per venerdì.

In particolare i nuovi accertamenti sono finalizzati alla ricerca di tracce biologiche attraverso il Luminol e di residui di sparo. Saranno dunque svolti dalla polizia scientifica venerdì in questura su alcune auto di proprietà o in uso a Valerio Menenti e altre del padre Riccardo. Gli investigatori si sposteranno quindi a Todi, in località Frontignano, presso un casale della famiglia.
«Aspettiamo tranquilli che gli inquirenti completino il loro lavoro» ha detto l’avvocato Luca Patalini che difende i due indagati. I due hanno sempre negato qualsiasi coinvolgimento nella vicenda. Nessun commento dai legali delle altre parti interessate all’indagine come persone offese dal reato, i congiunti di Polizzi e la Tosti, rappresentati dagli avvocati Giovanni Rondini, Nadia Trappolini e Luca Maori. Tutti potranno nominare loro consulenti per seguire lo svolgimento degli accertamenti tecnici.

Movente alternativo. Ma potrebbe esserci di più. Potrebbe esserci contemporaneamente l’emergere di un altro filone di indagine, probabilmente collegato al primo. In altre parole, se l’inserire nel registro degli indagati i due Menenti e gli ulteriori accertamenti richiesti per venerdì sembrano aver indirizzato fin da subito le indagini (in mano alla squadra mobile diretta da Marco Chiacchiera e coordinate dal pm Antonella Duchini) lungo la strada del delitto passionale, potrebbe prendere corpo un’altra via per spiegare l’omicidio. Specie se da quegli accertamenti non emergessero elementi a supporto della prima ipotesi investigativa, oppure ne emergessero alcuni in grado di far svoltare decisamente le indagini verso un movente alternativo.
In altre parole, potrebbe configurarsi uno scenario diverso e rimasto fino a questo momento sullo sfondo. Quello cioè legato al «mondo della notte», fatto di soldi che girano alla velocità delle hit musicali mixate in discoteca. Un mondo di emozioni forti, e situazioni che qualche volta possono essere anche al limite. Un mondo in cui la vittima, la giovanissima Julia e Valerio il tatuatore entrano ed escono seguendo il ritmo dei fine settimana, delle serate in giro per locali e di quelle alle sagre. Realtà del tutto lecite e consentite, che riguardano migliaia di giovani e meno giovani. Ma che in alcuni casi, specie per quanto riguarda il mondo della notte legato ai locali notturni, può rappresentare l’approdo inconsapevole verso situazioni in cui è facile entrare e difficilissimo tirarsi fuori.

In mezzo a questo turbine, c’è una ragazza ancora neanche ventenne che ha visto il proprio fidanzato morire ammazzato da un colpo di pistola, rischiato a sua volta di morire, e che ancora (allo stesso modo della sua famiglia) non si sente del tutto sicura. E c’è una famiglia, quella di Alessandro Polizzi, cui qualcuno ha strappato un figlio ancora senza un motivo ben preciso. Una famiglia che si domanda come sia possibile arrivare ad ammazzare un ragazzo per questioni personali, oppure per altre che al momento sembrano ancora più incomprensibili. Perché Alessandro lavorava nell’azienda di famiglia, mangiava a casa quasi ogni giorno, viveva con i genitori. E una possibile, qualsiasi, altra faccia della medaglia è loro pensiero impossibile.

Delitto di Udine, il racconto delle ragazzine «Era come stare nel videogame Gta»

udine_omicidioda Leggo.it

Il Gip ha convalidato il fermo per il solo reato di omicidio preterintenzionale, per entrambe le ragazze. Le quindicenni trascorreranno i prossimi due mesi in una struttura protetta. Il Gip non ha ritenuto valide le ipotesi di reato per omicidio volontario e per furto aggravato in alternativa alla rapina, che dunque cadono.

UCCISO Mirco Sacher «sicuramente non è morto di morte naturale» quindi «ci troviamo davanti ad un decesso che sicuramente è avvenuto per cause estranee e quindi dovuto a terzi», ma «per sapere di più dobbiamo attendere la relazione completa». Lo ha detto il procuratore dei Minori a Trieste, Dario Grohmann, commentando l’autopsia. «Per andare avanti con le indagini era interessante capire se l’ipotesi portata avanti da noi e avanzata da noi era fondata», ha concluso il procuratore. Per quanto riguarda la convalida del fermo, l’udienza è stata fissata per domani mattina. Le ragazzine saranno sentite nella struttura protetta triestina dove si trovano da giorni.
L’autopsia effettuata sul corpo «conferma che con ogni probabilità la morte non è dovuta a cause naturali, ma ad azione di altre persone», ha detto Grohmann. Il procuratore ha ribadito che nulla lascia pensare che sulla scena del delitto ci fossero altre persone oltre le due minorenni udinesi. Grohmann ha comunque detto di aspettarsi ulteriori chiarimenti dagli altri esami che il medico legale Carlo Moreschi effettuerà nei prossimi giorni.

«NON È STATO SOFFOCATO» L’autopsia non ha confermato che Mirco Sacher possa essere morto per soffocamento. Ci sono lesioni plausibili ma va stabilito che danni hanno fatto. Lo si apprende da fonti investigative.  Secondo quanto si è appreso, il quadro clinico riscontrato nel corso dell’autopsia è complesso e poco chiaro, esito di una dinamica non semplice. Si attendono a questo punto le perizie tossicologiche. Entro trenta giorni dovrebbero essere completate le analisi istologiche. Secondo fonti investigative, l’ipotesi di violenza sessuale perde credito.

Yara, il papà del killer rivelò a un amico «Ho un figlio segreto»

yarada Corriere.it

Un ricordo di cinquant’anni fa, una confidenza tra colleghi che ora diventa un indizio prezioso per venire a capo del rebus dell’omicidio di Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate Sopra uccisa il 26 novembre del 2010 da chi ancora non ha un nome. È una testimonianza che ha il sapore della svolta per la pista del figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni, l’autista di Gorno morto nel 1999, all’età di 61 anni, che secondo gli inquirenti è il padre dell’assassino. A parlare è chi come lui per anni ha guidato gli autobus su e giù per la Valle Seriana e che ai carabinieri ha dichiarato: «Guerinoni mi confidò di aver avuto un figlio fuori dal matrimonio, da una donna della Valle con cui aveva avuto una relazione».

Gli inquirenti erano arrivati a Guerinoni partendo dal Dna isolato da minuscole tracce ematiche trovate sugli slip e sui leggings di Yara: quello del presunto assassino. Confrontandolo con migliaia di profili genetici prelevati in mezza Bergamasca, erano giunti a quello di un frequentatore della discoteca Sabbie Mobili di Chignolo d’Isola vicina al campo in cui la ragazzina fu trovata cadavere, il 26 febbraio del 2011. Dal giovane erano arrivati a due zii, dai profili ancora più somiglianti a quello custodito nei laboratori del Ris. Dai due zii, sono risaliti al profilo genetico del loro padre, Giuseppe Guerinoni, che però era morto da tempo. Secondo i genetisti del pm, l’autista di Gorno è il padre dell’assassino di Yara. Il suo Dna è stato ricostruito al computer con il calcolo biostatistico e poi confermato dall’analisi di una marca da bollo della patente e da francobolli di alcune cartoline. Ma dato che il Dna dei suoi figli riconosciuti non corrisponde a quello lasciato sugli slip di Yara, ecco la pista del figlio illegittimo.

Ora, ai dati di laboratorio, si aggiunge la testimonianza che di fatto circoscrive la ricerca della madre del killer(ultimo tassello per arrivare a lui) alla Valle Seriana. È credibile? Gli inquirenti vanno con i piedi di piombo, ma ci credono. Il testimone, che vive nella stessa valle, non ha dubbi: «È una donna di queste zone. Un giorno Guerinoni mi disse del fattaccio: aveva messo nei guai una ragazza con cui aveva una relazione». Un dato che apre uno squarcio sulle testimonianze raccolte finora dagli investigatori e che portavano tutte alla descrizione dell’autista come un uomo tutto casa e lavoro. I ricordi non sono limpidissimi, ma l’ex autista indica dei punti fermi: «Sarà stato il 1962 o il 1963, lei non era sposata». Non sa che fine abbiano fatto la donna e il figlio che oggi dovrebbe avere 50 anni: «Non so cosa sia successo, perché a Giuseppe non avevo più chiesto nulla. Secondo me lei è ancora viva, era più giovane di noi, dico noi perché ho la stessa età di Guerinoni». L’uomo chiude gli occhi, li strizza, preme i pugni sulla fronte: «Se mi vengono in mente altri particolari andrò a riferirli, sento che è mio dovere. Ho seguito il caso di Yara e quando ci penso, mi viene da piangere».

OMICIDIO DI DANIELE LO PRESTI: una donna legata alla malavita forse la chiave del giallo

daniele_lo_presti_1di Grazia De Marco

Gli investigatori della Squadra Mobile e del Commissariato di Monteverde, diretto da Mario Viola, stanno indagando a 360° sulla morte, avvenuta lo scorso 1 Marzo, del famoso fotografo calabrese dei vip Daniele Lo Presti.                                                                                            Allo stato, l’ipotesi di una vendetta per un servizio fotografico “scomodo” sembra sempre più lontana ed è per questo che gli inquirenti stanno cercando di fare chiarezza soprattutto sulla vita privata del fotoreporter.

Negli ultimi giorni, infatti, sembra farsi strada una nuova pista collegata ad una donna Calabrese legata ad un malavitoso locale, che Lo Presti stava frequentando e con la quale avrebbe dovuto trascorrere il weekend dell’8 Marzo. La gelosia, quindi, sembrerebbe aver scatenato la furia omicida del killer, che avrebbe freddato con un colpo di pistola calibro 7.65  alla nuca il fotografo, mentre questi stava facendo footing sulla pista ciclabile sotto Ponte Testaccio a Roma. Le ipotesi prese in considerazione dalla Polizia sono comunque molte, tanto che, in questi giorni, sono in corso numerosi accertamenti, perizie e soprattutto interrogatori a parenti e colleghi della vittima.

Molto interessante sembra anche la testimonianza del vicino di casa del fotografo, che lo avrebbe sentito litigare e imprecare al telefono con qualcuno, il giorno dell’omicidio. Il paparazzo, peraltro, avrebbe avuto debiti con qualcuno, tanto che ad un suo amico avrebbe confidato di voler abbandonare la professione, a causa della crisi economica, ed aprire un ristorante a Vibo Valentia,  insieme allo zio.

davide-lo_presti-2Già  alcuni anni fa, comunque, il Lo Presti  subì delle minacce e la sua auto  venne data alle fiamme, ma al momento non ci sono elementi che collegherebbero l’omicidio a quest’episodio, avvenuto in Calabria nel 2009.

Daniele Lo Presti collaborava con LaPresse e con il sito Dagospia e operava soprattutto tra Sabaudia e Latina, dove inseguiva i vip con la sua macchina fotografica. Tra i suoi scoop più famosi ci sono il tradimento di Brad Pitt, lo strip di Sara Tommasi e gli scatti fatti a Rihanna e Scarlett Johanson.

Nei prossimi giorni sicuramente alcune verità emergeranno, anche grazie ai tabulati telefonici del cellulare della vittima, sequestrato dagli inquirenti, che aiuteranno a ricostruire gli ultimi contatti del fotografo ed agli esami balistici, che dovranno accertare da quale distanza è stato sparato il colpo.

Roma, anziana trovata morta in casa: ipotesi di omicidio a scopo di rapina

romada Agenzia di Stampa AdnKronos

Si procede per omicidio per il caso della donna di 88 anni, trovata morta nel suo appartamento nel quartiere di Monteverde, a Roma. Tracce di sangue sono state trovate vicino ai cassetti. Secondo gli investigatori potrebbe essere stata colpita in testa con un corpo contundente. Non si esclude che si tratti di un omicidio a scopo di rapina. Sul caso indaga la Squadra Mobile di Roma che sta scavando anche nel passato della donna per fare luce sul delitto.

Il corpo della donna, 88 anni, è stato trovato dagli agenti della polizia riverso in terra all’ingresso dell’appartamento, vicino sul pavimento alcune macchie di sangue. Poco distante le buste della spesa appena fatta e non ancora sistemata. Gli scontrini risalgono al 4 marzo scorso, probabile data della morte.

A dare l’allarme è stata una vicina di casa, che da giorni non la vedeva né entrare e né uscire di casa. Così ha provato prima a suonare al campanello e poi a chiamarla direttamente sul telefono di casa, per sentire se avesse bisogno di qualcosa, ma non ha ricevuto risposta. Insospettita, questa mattina, alle 11.30 circa, la donna ha chiamato la polizia.

L’appartamento dell’anziana è stato trovato in disordine. Sarà comunque l’autopsia a svelare l’esatta causa della morte.

DAL SOGNO OLIMPICO ALL’ACCUSA DI OMICIDIO, FAVOLA PISTORIUS DIVENTA INCUBO

da Agenzia di Stampa – Italpress

La scorsa estate, a Londra, la sua storia sembrava la classica favola a lieto fine. Di chi, nonostante una grave menomazione, era riuscito a vincere la sua battaglia. Sei mesi dopo, invece, quella favola si trasforma nel peggiore degli incubi. Quel cappuccio che ne copre il volto mentre esce in manette dalla stazione di polizia riporta alla mente altri casi di sportivi passati dalla stelle alla polvere, su tutti OJ Simpson, che non si è mai liberato dei sospetti sull’omicidio dell’ex moglie Nicole. Oscar Pistorius, il “Blade Runner” dell’atletica, rischia ora di fare la stessa fine. La notizia del suo arresto a Pretoria stamane è un fulmine a ciel sereno. Le prime indiscrezioni sono frammentarie, le circostanze non chiare, si sa soltanto che ha assassinato la fidanzata, la 30enne ex modella Reeva Steenkamp, che dallo scorso novembre frequentava l’atleta sudafricano. Originaria di Port Elizabeth, laureata in legge, appena domenica scorsa aveva rilasciato un’intervista in cui descriveva il fidanzato come “un uomo impeccabile che ha sempre a cuore i miei interessi” e ieri, sul suo account Twitter, scriveva: “Che asso avete nella manica per sorprendere il vostro amore domani a San Valentino?”. Già, il giorno di San Valentino. Dietro la sua morte una sorpresa finita male, almeno questo quello che avrebbe raccontato Pistorius agli inquirenti. Mentre Oscar dormiva nella sua casa di Pretoria, Reeva sarebbe entrata di soppiatto e il 26enne atleta paralimpico, pensando si trattasse di un ladro, avrebbe afferrato la sua pistola, una calibro 9, sparando. Quattro colpi hanno raggiunto la ragazza, alla testa, al petto e al braccio. I paramedici vengono chiamati tra le 4 e le 5 del mattino, poco dopo l’arrivo della polizia. Le prime ricostruzioni, lo scambio di persona, tutti a immaginare un Pistorius quasi vittima di se stesso.
“Penso che questo metta in evidenza il livello di paura che la gente sudafricana ha – il racconto a Sky News della giornalista locale Kalay Maistry – Pistorius e’ un uomo che va a letto, la fidanzata vuole fargli una sorpresa ma in quel momento pensa che qualcuno voglia entrare in casa e afferra la pistola”. Il riferimento e’ al fatto che il Sudafrica sia tra i Paesi con il piu’ alto tasso di criminalita’ al mondo e non e’ insolito che la gente tenga in casa delle armi per proteggersi contro eventuali intrusi. Ma qualcosa alla polizia non torna. Le forze dell’ordine hanno ricevuto la telefonata non dall’atleta ma da un’altra persona. E che le cose forse non siano andate come è stato raccontato all’inizio lo si evince dalle prime dichiarazioni ufficiali della polizia, che si dice “sorpresa” dalle ricostruzioni, visto che la zona dove abitava l’atleta era tra le più sicure di Pretoria, e soprattutto perchè le prime testimonianze dipingono un quadro diverso. “Stiamo parlando con i vicini e altre persone che hanno sentito delle urla gia’ la sera prima e quando c’e’ stata la sparatoria”, rivela il brigadiere Denise Beukes, precisando che gia’ in precedenza c’erano stati incidenti “di natura domestica”. E poichè Pistorius e la fidanzata erano le uniche persone presenti nell’abitazione al momento dell’accaduto, per l’atleta, unico sospettato, cambia l’accusa: non omicidio colposo ma volontario. Il 26enne atleta sudafricano viene portato anche in ospedale per essere sottoposto ad accertamenti medici, compresi gli esami del sangue, mentre l’udienza preliminare davanti ai magistrati di Pretoria, inizialmente fissata per il pomeriggio, viene fatta slittare a domani mattina, con l’atleta che passerà la notte in carcere anche perchè la polizia ha già fatto sapere di volersi opporre a un possibile rilascio su cauzione.
In attesa di conoscere la verità, è un sipario pesante quello che cala sul 26enne di Sandton, che ad appena 11 mesi perde entrambe le gambe per una grave malformazione salvo ‘ribellarsi’ e diventare un protagonista dell’atletica leggera. Il grande exploit è alla Paralimpiade di Atene 2004, dove vince l’oro nei 200 e il bronzo nei 100, ma presto si fa strada in lui un’idea folle: correre con i normodotati e farlo in un’Olimpiade. La sua battaglia comincia otto anni fa, quando esprime per la prima volta il desiderio di varcare il muro della disabilita’ e gareggiare a Pechino. Tanti gli ostacoli, anche qualche successo, come quando, nel luglio 2007, si cimenta nei 400 al Golden Gala di Roma. Ma le sue protesi in carbonio lo rendono troppo diverso dagli altri secondo la Iaaf. Per la Federazione internazionale dell’atletica, Pistorius ha paradossalmente un vantaggio e gli nega il via libera. Ma il giovane sudafricano non si arrende, lotta come in pista e nel giugno 2008 il Tas gli da’ ragione, anche se poi fallisce il minimo olimpico e resta spettatore in quel di Pechino, sebbene alle Paralimpiadi cinesi faccia incetta di medaglie (oro su 100, 200 e 400). I successivi quattro anni sono invece quelli della rincorsa a Londra, con Pistorius che gareggia ai Mondiali di Daegu raggiungendo la semifinale dei 400 e poi la finale della staffetta 4X400 dove pero’ il Sudafrica vince l’argento senza di lui. Il minimo olimpico resta ancora una volta tabu’ ma la scelta della sua Federazione di selezionarlo per la staffetta gli spalanca le porte della gara individuale e a Londra diventa, la scorsa estate, il primo biamputato a gareggiare in un’Olimpiade. Centra la semifinale dei 400 e disputa la finale della staffetta 4X400 mentre nelle successive Paralimpiadi aggiunge altri due ori e un argento alla sua collezione. Una favola, appunto. Almeno fino ad oggi.
(ITALPRESS).

Bestie di Satana, borsa di studio per la Ballarin

da TGCOM24

C’è anche Elisabetta Ballarin, condannata a 22 anni per il concorso nell’omicidio di Mariangela Pezzotta maturato nell’ambiente delle “Bestie di Satana”, tra gli studenti premiati con una borsa di studio da seimila euro dal comune di Brescia. Lo riportano i quotidiani locali, spiegando che la 27enne, che deve scontare ancora 9 anni, dopo essersi laureata a pieni voti all’Accademia Santa Giulia di Brescia, sta ora frequentando il biennio specialistico.La Ballarin ha vinto la borsa di studio insieme a due compagne di corso, per l’elaborazione di un progetto per avvicinare gli studenti universitari ai musei.

Il 22 febbraio Ballarin era stata investita da un’auto mentre in bicicletta stava tornando al carcere di Verziano dopo aver frequentato una lezione all’università.

Sarah: zio Michele, l’ho uccisa io con la corda

da Ansa.it

”Ho ucciso io Sarah, questo rimorso non lo posso piu’ portare dentro di me”. Lo ha detto Michele Misseri nel corso della sua deposizione in Corte d’Assise per il processo Scazzi. Subito dopo il suo difensore, Armando Amendolito, ha rimesso il mandato. La Corte d’Assise di Taranto ha nominato l’avv. Luca Latanza difensore d’ufficio. Il legale è stato individuato tramite il call center del sistema informatizzato. L’udienza prosegue perché il nuovo difensore e il suo assistito non hanno chiesto termine per consultare le carte processuali. Prima di Latanza era stato contattato l’avv. Giovanni Rana, che ha comunicato la sua indisponibilità trovandosi fuori città.

“Mi dispiace perché Sabrina si e’ sacrificata per me. Non è stata lei a uccidere Sarah” dice piangendo a Franco Coppi, difensore di sua figlia Sabrina accusata dell’omicidio di Sarah Scazzi. “Quindi a provocare la morte di Sarah è stato lei, lo sta dicendo davanti alla Corte d’Assise”, ha insistito il legale: “Si, sono stato io”, ha risposto il contadino.

“Non ho visto scendere Sarah, era dietro di me. Mi ha detto: ‘zio perche’ stai gridando?’ Le ho detto: vattene. Non ho capito cosa voleva da me, mi stava dando fastidio”. Misseri ha fatto presente che Sarah “insisteva, allora io l’ho spostata, lei mi ha tirato un calcio e io allora ho preso un pezzo di corda e l’ho stretta. Non so nemmeno quanto è durato. Lei si è accasciata ed è caduta su un compressore, che é stato prelevato dagli inquirenti dopo tanti mesi”.

Il contadino ha dichiarato che in occasione del sopralluogo nel garage con gli inquirenti era stato “drogato”, riferendosi a degli psicofarmaci che gli sarebbero stati somministrati mentre era in carcere. L’avvocato Franco Coppi, difensore di Sabrina Misseri, ha fatto presente al testimone che “nel caso, diremo alla Corte d’assise di recarsi sul posto e lei farà vedere come sono andate le cose”. Michele Misseri ha ricostruito quanto avvenuto il 26 agosto del 2010 a partire dalla prima mattinata, quando si recò a un Consorzio per acquistare due lattine di olio e in seguito andò in campagna con il fratello Carmine.

Al ritorno passò dalla banca per depositare un assegno. “Quel particolare l’ho ricordato in un secondo momento. Il bancario – ha sottolineato ‘zio Michele’ – mi disse che ci voleva la firma di mia moglie. Risposi che sarei tornato ma lui mi consentì di firmare al suo posto perché ci conoscevamo da tanto tempo”. Misseri ha poi precisato che quel giorno aveva un forte mal di testa e che al suo ritorno a casa stava facendo un incidente stradale. “L’auto ha sbandato e stavo finendo fuori strada. Non so nemmeno io come sono riuscito a rimettermi in carreggiata. Peccato – ha detto piangendo – perché sarebbe stato meglio, la bambina si sarebbe salvata”. Per continuare la sua deposizione ora Michele Misseri dovrà trovare un difensore d’ufficio dopo la rinuncia al mandato dell’avv. Armando Amendolito.

“La dottoressa Bruzzone mi disse: tu esci subito e tua figlia tra due anni. Per questo ho incolpato Sabrina” ha detto ancora Misseri tornando ad accusare la criminologa, all’epoca consulente di parte, di averlo in qualche modo indotto a cambiare versione e ad addossare le responsabilità dell’omicidio a sua figlia Sabrina. “Non posso andare avanti così – ha aggiunto zio Michele – altrimenti devo pensare al suicidio. Mi dissero: arresteranno tuo fratello e tua moglie. Io lo so che mi inguaieranno perché loro sono creduti e io sono uno stupido contadino. Dissero che mi potevano aiutare”. Piangendo, il contadino ha aggiunto: “Tutti si sono approfittati della mia debolezza. Sanno che mi portano dove vogliono”.

“Di quello che avevo fatto non lo sapeva nessuno, nemmeno Cosima e Sabrina. Loro mi vedevano piangere quando vedevo in tv le immagini di Sarah”. Lo ha sottolineato Michele Misseri nel corso del processo in Corte d’Assise. “Mi stavo suicidando con un potente veleno – ha aggiunto – ma in questo modo però non avrebbero trovato il corpo della ragazza. Quello che dico è: proprio a me doveva succedere?”. Il contadino ha poi parlato nuovamente dell’omicidio ribadendo che Sarah gli aveva tirato un calcio.

“Da li’ – ha precisato – è partito tutto. Per questo mi e’ venuto il calore alla testa”. Rispondendo alle domande dell’avv. Franco Coppi, alla ripresa dell’udienza sospesa per la nomina di un difensore d’ufficio, Misseri ha detto che tutte “le versioni in cui ha accusato Sabrina sono false”. Misseri ha consegnato alla Corte una lettera anonima di minacce nei suoi confronti e ricordato che alcuni giorni prima qualcuno avvelenò i suoi 8 gatti. Inoltre, ha detto che il suo ex difensore Daniele Galoppa gli impedì di raccontare la verità, anche quando, dopo l’incidente probatorio, si era “pentito di aver raccontato cose non vere”.

ZIO MICHELE, CONTESTAZIONI DEL PM – Il pm Mariano Buccoliero ha rivolto diverse contestazioni a Michele Misseri per dichiarazioni che contrastavano con quelle rilasciate agli inquirenti nel corso degli interrogatori. In particolare si è parlato della porta interna della villa di via Deledda che dà accesso al garage in cui sarebbe stata uccisa Sarah Scazzi. In un colloquio in carcere del 7 marzo 2011 con la moglie Cosima, i due coniugi discutevano del fatto che i carabinieri avevano trovato una traccia di sangue per terra. Misseri disse alla moglie: ‘e’ possibile che ti sei tagliata quando sei scesà. Ma, ha fatto notare il pm, il contadino non poteva sapere che Cosima era scesa da quella porta, aperta successivamente dagli inquirenti, ed era andata nel garage. Un’altra contestazione ha riguardato le dichiarazioni di Misseri relative a quanto avvenuto il 26 agosto 2010, dopo che il teste aveva pulito il trattore ed era salito in casa per mangiare. Misseri ha riferito di aver visto Sabrina e Cosima dormire sul letto matrimoniale. Nell’interrogatorio del 6 ottobre 2010, invece, l’agricoltore disse che aveva parlato con Sabrina e che era stata sua figlia a

AVV.AMENDOLITO, AVEVO CONSIGLIATO A MISSERI ASTENERSI – “E’ stata una decisione sofferta. E’ una decisione che deriva non da scelte puramente tecniche. Io avevo consigliato a Misseri di astenersi da posizioni che potevano danneggiarlo ulteriormente. Ne abbiamo parlato fino a un quarto d’ora prima di entrare in aula e non sapevo se la sua scelta sarebbe ricaduta sulla sua posizione di autoaccusarsi, cosa che poi è avvenuta. Io ho precisato a Michele Misseri che nel momento in cui si fosse autoaccusato io avrei lasciato”. Lo ha detto a Tgcom24 l’avv. Armando Amendolito, il legale che oggi in aula ha rimesso la difesa di Michele Misseri in conseguenza delle dichiarazioni che il suo assistito ha fatto alla corte di assise. A chi lo ha accusato di aver abbandonato il proprio assistito, Amendolito risponde: “Non ho mai sottovalutato l’aspetto umano con il mio assistito e mi ha dato fastidio sentire che Misseri è stato abbandonato. Io sotto il profilo tecnico non ero più in grado di offrirgli l’adeguato supporto, tuttavia dal punto di vista umano credo di poter continuare a coltivare un rapporto umano che si è creato in più di un anno di assistenza”.

MISSERI PARLERA’ ANCHE 12 DICEMBRE – Si è concluso dopo oltre sette ore l’interrogatorio di Michele Misseri nel processo per l’omicidio di Sarah Scazzi. Il controesame del contadino di Avetrana da parte del pm Mariano Buccoliero, del procuratore aggiunto Pietro Argentino, dei legali delle parti civili e degli altri imputati, proseguirà nell’udienza del 12 dicembre. Resta fissata l’udienza del 10 dicembre in cui deporranno alcuni testi della difesa, come la psicologa Dora Chiloiro e due consulenti di parte. Nell’ultima parte dell’udienza odierna, Michele Misseri ha parlato dei momenti successivi all’occultamento del cadavere della 15enne nel pozzo in località ‘Mosca’.

DONNA UCCISA A MILANO:arrestato il padrone di casa pronto alla fuga

di Grazia De Marco                   

A pochi giorni dalle celebrazioni per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ancora un caso di cronaca nera che le vede protagoniste di follia omicida. Il 22 novembre scorso, infatti, una donna di 44 anni, è stata trovata uccisa e incaprettata in un appartamento a Piazzale Lagosta I, nel cosiddetto quartiere “Isola”, nella zona nord di Milano.

La vittima si chiamava Laureca Adelaide Lima, era originaria di Capoverde e viveva in Italia da circa vent’anni, dove lavorava come badante. A ritrovare il corpo, sono stati alcuni agenti di Polizia che erano entrati nell’abitazione per una perquisizione.

Nel tardo pomeriggio, infatti, un uomo armato di cacciavite appuntito aveva rapinato il supermercato Simply Market di via Porro Lambertenghi. La cassiera aveva immediatamente chiamato le forze dell’ordine, che hanno fermato il rapinatore, successivamente identificato per Vincenzo Vergata, 56 anni, trovato anche in possesso di alcuni grammi di droga, un mazzo di chiavi e una bolletta con l’indirizzo di Piazzale Lagosta.

A quel punto, come da prassi, gli agenti di Polizia si sono recata sul posto per perquisire l’appartamento e, nella cucina, hanno rinvenuto una donna, nuda, in posizione prona, con  una corda legata intorno ai polsi, tre sacchetti di plastica sulla testa e alcuni pezzi di stoffa ben tagliati e sistemati per coprire determinate parti del corpo, tra cui le natiche. Secondo l’esperta della scientifica Lilia Fredella, la badante di Capoverde è morta per soffocamento, dopo essere stata colpita al capo con un oggetto contundente e accoltellata al viso due volte.

In un primo momento l’uomo era stato fermato per l’assalto al supermercato, poi è arrivata l’accusa di omicidio, anche grazie ad alcune rivelazioni fatte dallo stesso Vergata durante l’interrogatorio. Nell’appartamento di 50m² dell’uomo, gli investigatori hanno ritrovato un piccolo quaderno, dove era appuntato il nome della 44 enne capoverdiana e un biglietto aereo con destinazione Istanbul,  per il 27 Novembre, che Vincenzo aveva acquistato in un’agenzia di Lambrate il giorno prima della rapina, forse effettuata proprio per reperire il denaro necessario a pagarsi il viaggio per la fuga.

L’uomo è divorziato da anni, ha una figlia grande ed era conosciuto nel quartiere come “il drogato”, per il suo passato legato alla tossicodipendenza, che Vergata aveva conoscito , molto probabilmente, a causa di uno stato di malessere sopraggiunto nel 2003, dopo la chiusura del bar che lui stesso gestiva con la madre.

 

 

ORRORE A CASTEL VOLTURNO: I resti di due donne ritrovati in un’intercapedine

di Grazia De Marco

Un nuovo caso di cronaca con un finale raccapricciante: gli scheletri di Elisabetta Grande e Maria Belmonte, scomparse nel 2004, sono stati ritrovati senza vita nella loro villa di Via Palizzi 71 a Baia Verde di Castel Volturno.  I loro resti erano nascosti  in un’intercapedine creata tra il garage della villetta e il pavimento. A scoprirli, grazie all’utilizzo di un georadar, sono stati gli agenti del Servizio Centrale Operativo della Squadra Mobile di Caserta e del locale Commissariato, coordinati dal sostituto Procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, Silvio Guarriello e dal Procuratore aggiunto Luigi Gay.

Le due donne vivevano con Domenico Belmonte, 72 anni, marito di Elisabetta e padre di Maria. Proprio su di lui si è concentrata da subito l’attenzione degli inquirenti, i quali, dopo la terribile scoperta, lo hanno condotto al Commissariato di Castel Volturno, sottoponendolo a fermo di P.G., con l’accusa di: omicidio, sequestro di persona e occultamento di cadavere. Belmonte, ex Direttore Sanitario nel carcere di Poggioreale, non aveva mai denunciato la scomparsa delle due donne, avvenuta il 18 luglio di otto anni fa.

L’uomo ha sempre sostenuto che la moglie e la figlia si erano allontanate volontariamente, ma il conto corrente di Elisabetta era rimasto intatto, con la pensione che si è accumulata fino a raggiungere la somma di 145 mila euro e l’auto della donna, una Citroen di colore verde, è sempre rimasta parcheggiata nel cortile di casa. Tutto sembrava essersi fermato a quel luglio di 8 anni fa, fino a quando, nell’Agosto scorso, il fratello di Elisabetta, Lorenzo Grande, ha sporto denuncia facendo scattare l’allarme.

La famiglia Belmonte si era trasferita nella villa di Baia Verde circa 20 anni fa e lì Elisabetta, insegnante in pensione originaria di Catanzaro e la figlia, avevano tentato di avviare un’attività commerciale poi fallita. L’ex direttore sanitario Belmonte, invece, era già finito nell’occhio del ciclone negli anni ’90, per i casi di malasanità che coinvolsero il carcere di Poggioreale, vicenda questa che lo aveva portato ad uno stato di forte depressione. Potrebbe essere proprio questo stato di malessere ad aver innescato la furia omicida di Domenico?

L’uomo viveva in condizioni igieniche precarie, si dedicava solo al suo giardino, non parla con nessuno e trascorre molto del suo tempo a leggere, anche libri di psichiatria. Quando gli inquirenti sono entrati nella villetta, hanno trovato su un tavolo un libro dal titolo “Liberaci dal Male”, aperto al capitolo riguardante proprio la depressione.   I corpi delle due donne non presentano segni di violenza e sono stati trasferiti all’Istituto di medicina legale di Caserta per ulteriori accertamenti.

Sospettato di aver avuto un ruolo nel duplice omicidio ed occultamento di cadaveri è anche l’ex marito di Maria Belmonte, Salvatore Di Maiolo, il quale è stato iscritto nel registro degli indagati.